Lettre du 9 septembre 1738 (de Padoue): “Apostolo Zeno fa umilissima riverenza al Sig. Dottor Ottavio Bocchi, suo singolar padrone ed amico, e lo ringrazia della bontà, con cui gli ha comunicata la lettera del nostro riveritissimo Sig. Conte Carlo Silvestri intorno alle consapute medaglie, da me giudicate gran parte false, e alcune sospette. Non risponderò a tutti i capi della medesima, ma solo per giustificare la mia asserzione, poichè esso Sig. Conte nomina fra quelli, che han veduto e approvato le suddette medaglie, il dignissimo P. D. Gianfrancesco Baldini C. R. Somasco, comune amico, io sarò contento di rimettermi al sicuro giudizio di questo intendentissimo Religioso. A lui pertanto con la prima posta spedirò a Roma in uno scatolino ben sigillato le già notate medaglie, alle quali anzi ne aggiugnerò alcune altre, che più attentamente ho poi esaminate, e riconosciute per false.
1. Julius Caesar Ægypto capta
2. Augustus Ejusdem caput velatum. Cæsar parens patriæ
3. C. Caligula Caput ejusdem ex utraque parte
4. Trajanus Forum Trajani
5. Plotina Figura sedens
6. Matidia Pietas
7. Marcus Aurelius Ipse eques
8. Pertinax Lætitia temporum
9. Didius Julianus Mulier stans cum timone et cornucopia
10. Idem
11. Julia Pia Æternitas imperii. Capita Carac. et Geta
12. Geta Caput Septimii patris
13. Diva Paulina Consecratio
14. Maximus Cæsar Principi Juventutis
15. Idem Cum eodem typo
16. Gordianus Africanus Junior Pietas Aug. Vasa Pontificalia
17. Sabina Tranquillina Concordia Augustorum
Inoltre alle suddette unirò la medaglia creduta di Germanico con Caligola, ch’è pessimamente conservata, poichè avendola attentamente esaminata, ho conosciuto non esser quella la testa di Germanico, ma quella bensì d’Augusto con corona radiata da una parte, e con le stelle nel campo, e dall’altra v’è la testa di Caligola laureata. La testa di Germanico è una di quelle poche medaglie, ch’io più desiderava di avere, per esser fra quelle, che a riguardo della testa mancano alla mia serie. Quanto poi a quello, che ‘l nostro Sig. Conte le scrive, che le sue medaglie erano state visitate da uomini periti e intelligenti, alcuni de’ quali e’ ne nomina, e che da loro erano state approvate per buone e legittime ; mi permetta di dirle, esser questa una civiltà che comunemente si pratica dalle persone oneste e discrete nelle visite de’ Musei. Tacciono quello che ne sentono internamente, quando non sieno sollecitate e richieste a dir la loro opinione, non volendo esse retribuire un disgusto a chi fa loro un favore, e usa una cortesia. Io pure sono stato uno di quegli, che molti anni sono fui con somma gentilezza ammesso da lui alla visita del suo Museo ; e benchè allora fossi meno sperimentato di quello che sono al presente nel discerner le false dalle buone e sincere medaglie ; ne riconobbi però alcune tra esse, che non parvero degne di piena fede ; e se allora non ne feci motto, che così voleva la convenienza, si sovverrà benissimo il Sig. Conte, che quando di là a qualche anno si venne tra noi a trattato, per mezzo di comune amico, per la compra di tutte le sue medaglie, l’unica difficoltà, che si frappose alla conclusione di tale affare, fu la giusta condizione da me proposta, che per quelle, che fossero trovate e conosciute per non legittime, mi si dovesse dare il compenso a misura del prezzo medesimo […]. Ciò poi non fa il minimo torto alla riputazione e intelligenza del fu Sig. Conte Cammillo, primo lor possessore e padrone, il quale poteva ben sapere, e sapeva quai fossero delle sue medaglie le false, e sospette, e quai le sincere e sicure ; e se ne teneva alcune di quelle mescolate con queste, si sa che tal cosa si pratica da altri valent’uomini, i quali riempiono il vacuo della serie anche con ispurie o moderne, aspettando l’incontro di rimetter in que’ luoghi altre che sieno legittime o antiche. Circa il dire, che fa il Sig. Conte di avermi valutate le 1200. medaglie (per l’esattezza 1195) vendutemi, a ragione di due lire per ciascheduna di esse, non vorrei che tal cosa fosse uscita dalla sua penna, poichè egli sa benissimo, che una medaglia ne val cento, e cento non ne vagliono una” (Zeno 1785, vol. 5, lettre n° 1010, p. 372-377; Tomassoni 2021a, p. 81-83; Tomassoni 2022b, p. 49-50 and p. 131-132, note 260).