Lettre du 17 septembre 1747 (de Mereto): “Circa il mio medaglione m’atterrò al consiglio da Lei favoritomi, cioè di farlo per terza mano passare sotto l’occhio del Sig.r Cardinale Alessandro Albani, che fa da capo, così ella mi accenna, un’altra collezione di medaglioni. Ma non saprei a qual prezzo dovrei farglielo offerire. Per sbrigarmene presto io non starei sul rigore, e lo lascierei a prezzo mediocre. Ma a quale? Io per verità nol so come mal pratico di simili pezzi. Mi favorisca, la supplico istantemente, di dirmi con libertà il Suo parere col tenersi piuttosto basso che alto; e potrò consegnarlo ad alcuno del seguito di questo nostro Sig.r Cardinal Delfino, che in breve dee fare il viaggio di Roma. In quanto a quella operetta della rarità delle Medaglie Imperiali, quello che più io bramava, era di sapere donde, o sia da qual libro avrei io potuto ricavare, i gradi di rarità de’ Medaglioni solamente da Giulio Cesare fino a Trajan Decio, poichè da Trajan Decio in giù io già li so. Ma forse niun autore di questi ne dice la rarità, e per questo forse intorno a ciò Ella non ha favorito di risposta. Degli altri lumi, che in proposito di questa mia fatica m'ha favorito di parteciparmi, come che mi sono riusciti molto cari e grati, così gliene rendo somme grazie. L’aggiungere, com’Ella mi consiglia, nè diritti le appellazioni come Dacicus, Parthicus, Germanicus, Persicus, e de’Consolati, questo era già fatto dove dette appellazioni portano qualche grado di rarità alla medaglia; ma quando non lo portano, le ho omesse come superflue in una operetta, che dee essere di mole piccola, e che non dee trattare che della sola rarità in qualunque metallo e grandezza. Così ancora il notificare in qual museo si trovi ciascuna medaglia mi pare superfluo, perchè questa notizia non fa a proposito della rarità delle medaglie, la quale da detta notizia non viene nè accresciuta nè diminuita, e per ciò non servirebbe che ad accrescere la fatica e la mole fuor di bisogno del libretto, in cui non si tratta che della sola rarità. Le epigrafi poi sono tutte poste per ordine di alfabeto in ciascun metallo e in ciascuna grandezza separatamente; talchè per compimento dell’operetta dopo i lumi, ond’Ella m’ha favorito, parmi che ora non ci manchi che il sapere i suddetti gradi di rarità de’soli medaglioni da Giulio Cesare fino a Trajan Decio. Il saggio, che le [c. 519r] mandai di questo mio libricciuolo, non occorre che me lo rimandi. In quanto poi all’Appendice alle Antichità d’Aquileja, io non so quando mai potrò darla fuori, mentre ogni altro giorno me ne capitano, onde poterla accrescere, siccome ho fatto anche in questi giorni accrescendola di alcuni sigilli Patriarcali, e anche di alcune Monete, che mi mancavano, e che ho tratte da una bella dissertazione del suddetto P. de Rubeis, intitolata De Nummis Patriarcharum Aquilejensium, da lui dedicata già pochi giorni al Sig.r Cardinal Delfino. Inoltre mi spaventano le tirannie e i struscj, che usano certi stampatori, com’è accaduto anche a me quando feci stampare la mia raccolta; poichè oltre l’impaccio avuto di farmi venire di posta in posta i fogli corretti, a quali io dovea spesso aggiungere altre correzioni omesse dal correttore, ciò nonostante parecchie correzioni sono state omesse dalla negligenza dello stampatore; il quale inoltre dopo essersi impegnato meco in scrittura di darmi compita la stampa nel termine di un anno, egli non me la diede, benchè sollecitato spesso e gagliardamente, che dopo due anni. E questo ritardo fu poi cagione, che l’Imperadore, a cui era dedicata la mia fatica, la quale io sapea di certo, ch’egli bramava di vedere, non capitò in Vienna sennon un giorno o due prima ch’egli morisse, senza poterla nemmen vedere, nonchè premiare, com¿egli stesso s¿era espresso di voler fare, col dire, che non solamente avrebbe ricevuta la dedica, ma che l’avrebbe gradita ancora. Di più i rami, che lo stampatore erasi impegnato di far intagliare a sue spese, e che per spender poco li facea intagliare da un goffissimo intagliatore, io dovei risolvermi di far venir qui a mie spese un buon intagliatore, che me li intagliò poi sotto i miei occhi dopo averlo tenuto qui più di due mesi. Vegga quai danni, e quai angarie, e quindi qual voglia possa aversi di far stampare.» (Firenze, Biblioteca Marucelliana, BVII, 4, f° 518r-519v – online).