-Lettre du 13 mars 1610 (de Rome) : reproche à Orsini d’avoir pillé les ouvrages de Pirro Ligorio dont il s’étonne qu’ils n’aient pas été publiés : Pasqualini n’a pas d’inventaire de sa collection de monnaies qui dépasse les 5 000 exemplaires et n’a pas le temps d’en dresser un ; description de l’état actuel du port d’Ostie : « [c. 36r] Illustrissimo Signore mio osservandissimo, Vostra Signoria Illustrissima fa tante cerimonie con me, et degna di piegar l’ingegno suo di maniera nelle mie lodi, che se io non conoscessi ottimamente l’ingenuità et la grandezza dell’animo suo, crederei che ella si pigliasse trastullo, come si dice, de’ fatti miei: ben mi fa ciò accorgere di quello che doverei far io verso di lei; dalla quale ricevo continuamente honori, et favori, oltre ad ogni dovere: ma queste nostre anticaglie m’hanno non pur trasformato in se stesse, ma si mutati costumi, et voglie, ché più tosto mi compiaccio di mostrar à Padroni l’obligo che io tengo loro col servirgli, che ‘l servigio colle parole: et tanto più mi giova di secondar con lei il genio mio, quanto che il vedermi soprafatto dalle gratie sue, mi fa sentir doppio piacere, si come da doppia causa prodotto; che è l’amor che ella per sua bontà mi porta, et il grado dello stato suo: la dove volendola celebrar con parole, et essendo in ciò da lei vinto, non potrebbe per avventura essere senza nota mia di poca conoscenza de’ favori suoi. Me ne resterò dunque, et spero, le dico il vero, che Vostra Signoria Illustrissima da mo innanzi farà il medesimo, se non per altro, almeno perché non paia, che ‘l desiderio che io ho di servirla, sia non tanto per gratitudine, quanto per interesse delle mie lodi. Ho ricevuto per mano del Navicellaio solito la lettera di Vostra Signoria Illustrissima di XX di Dicembre dell’anno passato, insieme col discorso solo delle Colonne d’Hercole; il quale è stato letto da me con molta avidità, et con molto piacere: et credo sicuramente che non si possa osservar più cose, ne con più circospettione, ne maggior dottrina; et questo dico hora risolutamente: quanto all’applicarlo alle medaglie di Tiro, se ben non mi par che habbia difficoltà; pur mi riserbo à scrivernele un’altra volta: in tanto le mando alcuni impronti ne’ quali vederà la forma dell’incudine antica diversamente figurata: et, se sarà fatto in tempo, haverà la forma di essa ancora in un mio medaglione di Sittimio Severo, che ha per rovescio Vulcano, che fabrica le armi di Achille; si come in una plasma lo vederà, che fabrica le arme di Enea. [36v] Hora vengo alla lettera; et rispondendo col medesimo ordine suo, le dico che mi fa torto grandissimo à pensare che io non habbia havuto più caro di mandare a lei il piombo del re di Francia, che è per servirsene, che di ritenerlo io qui solo senza proposito: duolmi che questa et l’altre cose che io le mandai, non fossero di tal qualità, che per se meritassero di esser tenute care, come Vostra Signoria le tiene per propria benignità, et per amor mio. Veggo il disiderio, et il cosiglio di Vostra Signoria Illustrissima conforme à quello del signore Marco Velseri, che io dovessi dar fuori le cose mie; et per ‘l dispiacer che io sento di non poterle ubbidire, et per l’autorità che hanno sopra di me, sono sforzato à dirnele la vera cagione. Io cominiciai à raccogliere alcune cose antiche, per puro spasso de’ studi miei, senza altro oggetto: ma come avviene di questo nostro disiderio di sapere, che non ama il fine, talché n’è scritto hanc occupationem pessimam dedit Deus filijs hominum, ut occuparentur in ea, mi trovai in breve, haver messo insieme tante cose, che entrai in pensiero di poterne fare studio regolato: et fatto questo ancora, non contento del mio particolar piacere, se non era communicato, come ella sa che è difetto della natura humana; et non ché ne’ libri, ma s’impara nello studio stesso delle anticaglie; credendo io sicuramente, che à questo havesse riguardo Antonino Pio, che in una sua bella medaglia d’oro che io mi trovo, messe due figure in piedi l’una quasi sopraposta all’altra, che si riguardano et lettere, LAETITIA, hor essendo dico, stimolato à communicar il mio piacere, et conoscendo, che gli hodierni signori di quà non s’inclinano a’ così fatte cose, se non per curiosità; ho messo insieme tante medaglie d’oro, et d’argento, et di metallo, et tanto esquisite per rarità et per bellezza; et tanti medaglioni ancora; et oltre ciò tanti camei, et intagli sciolti et legati, et altre cose varie d’oro, et di così strane curiosità, che ottimamente dò pastura à tutti; et per ciò pur troppo spesso vengo corteggiato: et non s’avveggono le genti, che col disiderio di vedere anticaglie, et di sentirne ragionare vengono ad approvarne lo studio, et con non volerne avere palesano la ignoranza, et l’avaritia loro. Et quello che [mi] è [37r] avvenuto nel far conserva delle cose antiche, mi avviene similmente hora nello studio fattovi che venendo io notando sempre alla giornata alcuna cosa, per mio diletto; hor veggo haverne fatto cumulo, che forse basterebbe, per occasione almeno di dare in luce tutte le anticaglie che io mi trovo; massimamente (o massime) che si ridurrebbono facilmente sotto a’ capi principali: onde m’era venuta meza voglia di consentir allo stimolo degli amici: et considerando, che vi era necessario molto tempo, per ordinar, et finir le cose, che tutte sono imperfette; anzi alcune solamente notate per ricordo: et appresso essendovi bisogno di molto otio, et di molta facoltà, per attendervi diligentemente, et per tener più genti in casa a lavorare: et quanto al tempo, essendomene levato sicuramente due terzi dal servigio della Chiesa, et l’altro terzo impedito dalla poca sanità mia, et da tre liti, che io ho in Rota per servigio di un mio fratello; dalle quali sono privato insieme ancora, et dell’otio, et delle facoltà; io havea pensato di accordar le liti alla piggiore, et di rinuntiare il canonicato: et confidando nella domestichezza di trentacinque anni, che io havea col Papa et ne’ servigi, che egli ha d’ogni tempo ricevuto dalla casa mia di Bologna et di Roma; et essendo cosa ragionevole, et ordinaria d’ottenersi da tutti, domandai gratia à Sua Santità di risegnare ? il canonicato in persona di un mio nipote; la qual dopo molte difficoltà propostemi, finalmente mostrò di concedermela, ma compatti che m’erano di tanto danno, et vergogna, che io non l’ho voluta accettare. Ecco lo stato mio disperato affatto di poter mai servir gli amici, et me medesimo. Onde per questo et per le male sodisfattione, che sono qui, et che Vostra Signoria Illustrissima stante le dette cose, si può da se immaginare; massimamente ? che due volte sono stato richiesto di mostrar lo studio mio, per farne stima; et io non l’ho voluto mai lasciar vedere dicendo sempre di non volerlo vendere, come veramente non hebbi mai simil pensiero: per queste cose dico, et per altre molto più gravi, che io non ardisco scrivere; et per bene del mondo accio che questo studio così copioso, et fatto con tanta industria, et spesa; et sopra tutto così sincero, et [37v] reale non venga sepelito anch’esso, come sono quelli di tutti i Prencipi d’Italia, et come potrebbe occorrere facilmente, essendo io di età di sessanta anni, et di poca sanità, mi risolvo, per non dare ancora allegrezza alli miei nemici di vendere ogni cosa: ella può imaginarsi con quanto dolore mi sia disposto à perdere tante fatiche, tanta industria, tanta spesa et à privarmi di tale delettatione: Dio sia lodato di ogni cosa. Io non ho inventario, ne lo potrei fare hoggi, per non haver tempo quanto bisognerebbe; che credo, che le medaglie sole arrivino, et forse possino in numero di cinquemilia: à me costa intorno ad otto milia scudi, ma lo darò per meno di sei, et forse di cinque, per far conoscere al mondo, che à ciò non m’induce avaritia ne altro pensier vile; ma sdegno solamente ragionevole però, conoscendo, che si aspetta la morte mia; et che all’hora ne starebbero privati i miei, con vergogna et danno: sì che non ho amico qui, ne padrone, che non me ne sgridi, et non mi habbia per pazzo, perche io voglia tener queste cose con tanto pericolo, et si evidente. Io supplico Vostra Signoria Illustrissima à procurar diligentemente, che questa lettera mia non esca dalle mani sue, et non sia veduta da altri, per l’importanza di questi particolari, che io confido à lei; et perche sapendosi qui che io voglia vendere ogni cosa, ne sarei impedito al sicuro: et per ciò io non ardisco di parlarne qui in Italia. Se Vostra Signoria Illustrissima sa alcun Signore in coteste bande, o altrove, che sia per attenderci, à me farà molto favore d’incaminare il negotio in quel modo, che più le piacerà, promettendo di me liberamente lealtà, et professione di acquistarmi un Padrone per mezo di questo traffico: io non ne scriverò altrove fin che io non habbia risposta di questa lettera da Vostra Signoria Illustrissima. Hor tornando all’altre parti della sua; ella saperà, che io non poteva nel discorso mio del Porto d’Ostia servirmi della autorità di Plinio, ne di Rutilio perche il signor Gioseffo Castalione, ad instanza del qual feci il discorso, alegava l’uno et l’altro in una sua epistola scrittami su questo proposito; et per ciò à me [38r] bastò di dire, ut tute optime illum notis ex Rutilio et Plinio designasti, et se Dione scrive che Traiano fece porti, senza nominarni uno, doverebbe bastare à nostri moderni, che gli si attribuisce il Porto di Civitavecchia, di Ancona, di Trani, et di Pescara; senza volergli dare ancora tutti i porti del mondo de’ quali non si sa l’autore; massimamente ? che Traiano non haverebbe lasciato di mettervi il nome suo, come era suo costume in ogni cosa; tal che per ciò mi par di ricordarmi, haver letto che Hadriano lo chiamava herba parietaria et se il Porto antico di Civita vecchia non fosse rovinato affatto, non ho dubbio, che vi sarebbono inscrittioni di Traiano. Et non è verisimile, che Suetonio, che fiorì sotto Traiano così buono imperatore havesse voluto levargli la gloria di quell’opera, con scrivere, Claudius Portum Hostiensem perfecit, et come dicono i moderni, che Traiano non lo finisce ma lo restaurasse, dico, non potere stare, et non essere verisimile, che così gloriosa opera, et da Claudio così ambitiosamente intrapresa, et con tanti consigli di Architetti ordinata, rovinasse in forse meno di sessanta anni. Quanto alla forma d’amfiteatro, non veggo, che se ne possa trarre argomento niun buono perche tutti i Porti artificiali ordinariamente hanno la forma d’amfiteatro; ne si può fare altramente, non solo per rendere il Porto sicuro dall’impatto dell’onde marine, come dice Cicer. nel lib. 2.° de gli Uffici moles opposita fluctibus, portus manu factos che in tal caso basterebbe il riparo di un muro solo per traverso opposto all’onde del mare; ma per assicurarlo dalla violenza de’ venti, come dice Vergilio nel 3.° dell’Eneida portus ab accessu ventorum immotus come doveva essere quello che l’istesso Cicer. al lib. IX ad Attico riferisce di Cesare, ab utroque portus cornu moles iacimus così è il Porto di Civitavecchia descritto da Plinio, et da Rutilio: così scrive Vergilio poco innanzi al sopradetto luoco, portus ab eo fluctu curvatur in arcum, obiectae salsa spumat aspergine cautes,ipse latet: gemino demittunt brachia muro turriti ? scopuli. [38v] Così descrive Claudiano il Porto Savonense; così comanda Vitruvio al lib. V che si facciano i Porti; et così mostra l’esperienza, che di necessità debbono essere tutti.Dalla forma particolare sexangolare del Porto dalla medaglia di Traiano, non mi pare, che se ne cavi ragione di difendere i moderni, che vogliono, che sia quello d’Ostia non solo perché Traiano, come ho detto, fece molti porti [aggiunto a margine] delli quali alcuno può essere sexangolare [fine]; ma perche i medesimi autori discordano frà loro in questo ancora: vegga Vostra Signoria Illustrissima l’Occone, che mette una medaglia di Traiano col Porto, come egli dice, d’Ostia ottangolare, vegga tutti i disegni fatti di quel Porto, che non sono sexangolari, ma ovali senza angoli: et per ciò io ne le mando un disegno di Pirro Ligorio, huomo molto celebre, et intelligente; et sopra tutto antiquario primo del secolo suo: ha lasciato molti libri composti da lui; de’quali si tien gran conto; ma non n’è uscito niuno in luce, non so perche: ben so che il signore Cardinare Alessandro Farnese mandò un’huomo à posta à Ferrara, per farne copiare il libro delle medaglie [aggiunta in interlinea] greche et latine [fine] del quale Fulvio Orsino si è servito sempre et così ha fatto credere di haver grande studio; di questo libro ne fa mentione Antonio Agostino nel fine de’suoi Dialoghi, dicendo, che vi sono più medaglie, et iscrittioni, che in tutti altri libri insieme: so che compose un libro ancora di architettura; uno di statue; et uno De Navigijs et forse altri che io non so. Facendo adunque il Porto di Claudio continuato senza angoli, et mostrando la medaglia di Traiano un porto sexangolare, non occorre à dire altro. Et nel vero se si considera bene la medaglia di Nerone, ancor che gli edifici, per la disiuntione loro, rappresentino da una banda, et dalla parte di fuori certi angoli, si vede il porto interiormente [agg sopra] da ogni lato [fine] continuato senza angoli: et sappia Vostra Signoria Illustrissima che quella parte, che dicono essere stata fatta da Traiano, è hora [canc.: quasi ripiena di terra et non serve à niente] [agg. in fondo] parte ripiena di terra, et parte di acqua stagnante, nella quale non arriva il mare se non per angustissimo loco; ma è spatio di lago; et serve hoggi solo per pescare; che gli edifici [fine], che gli edifici sono tutti rovinati: et potrebbe essere, che fossero stati anticamente, non Porto, ma edificio con piazza grande [39v] in modo quasi di cittadella, per guardia, et per comodità del Porto [agg a margine] et per poterne scrivere più sicuramente, voglio ne’ primi buon tempi andar à veder il luoco proprio; et se vi troverò cosa che lo meriti, ne darò notitia à Vostra Signoria Illustrissima [fine]: et che questa parte sola non possa essere scolpita nelle medaglie di Traiano, l’ho provato nel mio discorso colla consuetudine degli antichi.Della Tavola itineraria non mi ho potuto servire, non disputando io della forma di quel Porto; oltre che è fatto in maniera, che, se non ci fossero le medaglie, senza dubio non si trarebbe la forma del Porto d’Ostia da quel disegno: in somma della dottrina di quella Tavola io ne fò molta stima; ma le figure mi paiono fatte da antiquario poco diligente, et osservante; non da persona dotta, et intelligente, come è quella dell’itinerario: et quando ancora vaglia la scusa del copiatore, non segue però che altri si possa fidare di niuna di quelle figure, che possono essere copiate male; perche non si sapendo quali stiano bene, si dubita conseguentemente, et con ragione di tutte. Vegga ella per cortesia se si ha riguardo alla Tavola, come si può intendere Rutilio quando dice:Tum demum ad naves gradior, qua fonte bicorni Dividuus (??) Tiberis dexteriora secat.et così dice Ovidio, come ella potrà vedere nelle note del Castalione in Rutilio: et così è la verità, che il Tevere sbocca in mare diviso in due rami dall’Isola detta sacra; ma questo forse non fu stimato cosa d’importanza dal Compositore di quelle figure; si come stimo poco il mettervi la via Portuense così famosa, et così necessaria; perche da Porto ad Ostia vi sono più di tre milia et la via Ostiense è di qua dal fiume, et la Portuense è dall’altra banda; si che non può servire l’una per l’altra; oltre alla distanza grandissima, come ho detto, et come ella [canc: potrà] vederà tutto benissimo osservato nel disegno di Pirro Ligorio; il quale io le mando così, come à me è stato dato: et credami pur, che à Roma non occorre à pensare di trovarne altro, se non in qualche studio. Resta à riconoscere l’entrata del Porto di Ostia nelle medaglie di Nerone [39v] la qual entrata senza dubio è da quella banda, dove sta la figura in piede: et se bene potrei alegare la Tavola itineraria, nondimeno perche veggo, che ella questa volta non ci ha creduto; le dico, che io ho osservato in [agg sopra] quasi [fine] tutti i Porti descritti dalli Autori antichi, che sempre piantarono alla bocca del Porto uno ostacolo alle onde marine; et certo con molta ragione; che altramente i legni sarebbono stati con più pericolo ne’ Porti pe’l danno che haverebbe ricevuto l’uno dall’altro, che non sarebbono stati in alto mare: et per ciò nella bocca del porto d’Ostia vi misero il faro; et à Civitavecchia fecero un Isola, come scrive Plinio, dicendone la propria ragione riferita da me: et così fatto ostacolo è quello, che Vergilio nel sopralegato luoco chiama obiectae cautes della figura, che guarda verso il continente, è stata bellissima consideratione, et molto sottile; ma non fa però pregiudicio alla verità; dico quando così [agg sopra] veramente [fine] fosse stata collocata nel Porto; il che io non credo; ma stimo, che l’intagliator del Conio habbia tenuta quella positura, per convenienza, et in gratia della medaglia; si come [agg sopra] era solito; et io [fine] non mi ricordo di haver mai veduto cosa in contrario delle medaglie. L’habito di Roma so che è stato vario, et io ho una medaglia molto grande d’oro di Valente, nella quale è Roma sedente, vestita da matrona, disarmata, senza celata, senza scudo, senza diadema [agg. a margine].?. corona, con acconciatura simile in qualche parte à quella di Matidia, et di Marciana; col mondo et una Vittoria sopra nella mano destra, et un dardo nella sinistra: [fine] ma queste son cose rare, che si debbono lasciar più che si può; overo imitarla bene, poi che la rarità le fa oscure: et la autorità di Rutilio non serve, se non per far in parte scusabile l’errore della figura della tavola itineraria: ma di simili acconciamenti [agg sopra] et scuse [fine] se ne troveranno per ogni grande errore; et già chi vorrà difendere l’haver fatto sboccare il Tevere nel mare co un ramo solo, lo potrà fare coll’autorità de’ tempi antichissimi col testimonio di Dionisio Alicarnas.[so] et similmente si potrà difendere l’haver lasciato la Via Portuense coll’autorità del tempo innanzi che fosse fatto il Porto, dal qual pigliò il nome, o per dir meglio, lo mutò quella via. Sig.re mio io ho sempre havuto in tanta veneratione le cose, [40r] et gli Autori antichi, che vi ho consumata l’età mia tutta, et spesovi molte facoltà: et il cercar diligentemente la verità delle cose, et mantenerla più che si può illesa dalli errori delli scrittori, che non l’hanno conosciuta, è un favorire, et honorar le cose, et gli scrittori buoni, che n’hanno trattato, et finalmente, per riverenza, et per honore delle cose antiche, sono sforzato à credere, et à desiderar che lo creda Vostra Signoria Illustrissima ancora, che l’Autore delle figure di quella Tavola non possa essere antico, poi che ha fatto tali errori.[15] Il formar medaglie ad imitatione de’ tempi superiori è costume cominciato fin à tempi di Augusto; et per ciò direi, con Vostra Signoria Illustrissima che la moneta di Hadriano Papa fosse fatta ad imitatione di quelle de gli imperadori: ma in tal caso non si potrebbono interpretar le lettere CONOB per Costantinopoli obrizum (???) ; se non si volesse dire, che vi si fossero messe tali lettere per inadvertenza; ma questo sarebbe un confondere tutte le cose, senza trovarne mai verità sicura: tal che credo, come altre volte ho scritto, che bisogna cercare altra interpretatione per quelle lettere.[16] Il mettere testa et figure in faccia nelle medaglie fu consuetudine fin de’ tempi della Rep. Romana continuata ne’ tempi di Augusto, et di alcuni altri pochi imperadori [agg a margine] anco ne’ tempi stessi dell’Imperadori [agg a margine] anco ne’ tempi stessi dell’Imperadori d’Oriente si come Theodosio, Maioriano, Anthemio, et simili, che di tutti ne ho io medaglie in faccia [fine] : et fu costume ancora de’ Greci; né credo, che vi fosse misterio niuno altro che ‘l capriccio puro degli artefici: et l’haverlo fatto rare volte, penso che sia proceduto, parte per la difficoltà del fare i Conij et parte perche così maneggiandosi le monete si viene ad offendere, et à guastar la più nobil parte di essa, che è il viso; là dove nelle gioie, che non v’era bisogno di questo riguardo, si è fatto più spesso. mass.e dalli Artefici buoni.[17] Ho molte medaglie colla Fenice, et frà le altre un medaglione bello di Costantino Massimo con due figure, et una Tigre, o leone a’ piedi; l’una delle quali figure tiene in mano il mondo con la Fenice sopra: in altre sta posata in terra in altre tiene ne’ piedi certe verghe: in altre tiene non so che pur ne’ piedi, che non si può conoscere; come si vede nella [40v]medaglia d’oro di Hadriano, di che ella mi ha mandato impronto; la qual cosa già dissi, che io credeva, che forse conoscesse qualche misterio; ne specificai altro, per non ne essere io sicuro: ma poi che Vostra Signoria Illustrissima ne mostra disiderio, io mi contento di più tosto parere con lei sciocco, che huomo che tenga in molto prezzo le mie cose. Dico dunque, che io non giudicai che la Fenice di quella medaglia tenesse serpe ne’ piedi, non vedendo à che proposito potesse servire; poi che è animal solitario, che habita fuor d’ogni commercio humano, et niuno scrittore parla di cosa simile; et concludono, che tal uccello viva, non di cibo materiale, ma di odori solamente: che se ben tutto è fastidioso, nondimeno non è lecito ad uscir de’ termini attribuiti, et publicati dalli inventori delle favole: et per ciò pensai, che potesse essere il funeral suo, che ella portasse in Egitto; non dico più, per tema di non diventar ridicolo: vegga Vostra Signoria Illustrissima Claudiano De Phoenice; et Achille Tatio al lib. III che certo ne haverà piacere, così bene la descrivono, et tante belle cose ne dicono: faccia poi quella conclusione d’ogni cosa, che à lei più piacerà. Potrà vedere Herodoto ancora al lib. 2o dove tratta degli animali sacri d’Egitto et vederà che s’accorda con Plinio, in somigliarla all’aquila.[19] Ho caro che l’anello piccolo, che le mandai, le sia stato grato; se bene non mi è nuovo che la cortesia sua le faccia gradire ogni segno della mia servitù. Il discorso che ella ne aspetta, à me pare impossibile di havergliele promesso, poi che veramente io non vi ho fatto niente.[20] La corniola dell’Achille mandatami è sicuramente buona, et antica senza niuno scrupolo, et la rimando. Il solfo, come credo altre volte havere scritto, non mostra il vero, se non circa la maniera del disegno; ma in niuna altra parte [agg sopra] non [fine] si può fidar di lui: bisognerebbe quando si fanno, che sono ancor caldi, ungergli d’olio leggiermente, et replicarlo il giorno seguente ancora; che così non divenirebbono spongosi, come fanno; et rappresenterebbono meglio la pulitezza, et altre parti dell’antico; se bene non potrà mai niuno nella maggior parte delle cose dar giudicio sicuro dell’antico, o moderno senza vedere le pietre stesse. [41r] Quanto al colore si resterebbe inganato quasi sempre, perche i moderni adoperano le pietre antiche non lavorate; delle quali se ne trova copia; et anco segano le antiche lavorate, quando la grossezza di esse lo permette.[22] Il vetro ancora è antico, et lo rimando similmente.[23] La Cassandra messa dal Sada vene di Spagna cavata dalla pietra propria, di che parla Antonio Agostino.[24] L’interpretatione data da lei alle lettere di quel suo intaglio, cioè , L L C, che significhino Lucius Licinius Crassus, è tale, che non occorre à cercar altro; massime che pare che vi si riconosca proprio l’aria, per dir così, di quei tempi: et è cosa da stimar [molto.Le mandoil disegno del Parazonio, che è quello stesso che io non le volsi mandare l’anno passato; perche se bene è mal fatto, quelli nondimeno che ha fatto fare hora sono pessimi, et indegni d’essere veduti: non si potrebbe dire quanta carestia è oggi in Roma di huomini buoni per simili cose: Vi manca il manico tutto, che i cavatori lo ruppero per poterlo portar nascosto: né per diligenza niuna, se n’è potuto rinvenire mai niente: non s’è nettato tutto per timore di romperlo, ma è bene lavorato tutto.[26] Per la medaglia di C. Mitreio, cha pareva che dicesse Matreio, ella vegga bene che non dica C. Matrinius, che fu gentil’huomo romano dell’ordine equestre; del qual fa mentione Cice. nella settima Verrina. Nella mia medaglia è notata la parola IVVENT; in questo modo proprio, cioè col T più lungo dell’altre lettere; et si vede la sua linea traversa assai bene; ma il getto fu mal fatto.[27] Mi piace l’interpretatione che ella dà à que’ segni che paiono croce nella medaglia di Costantino, cioè che significhino i Castori; se bene questi [agg sopra] segni [fine] della medaglia non sono molto simili à quelli degli Astrologi; ma in un segno tanto difficile è molta loda il cogliergli vicino: mi par però di vedervi gran difficoltà in applicar bene tal significato alla medaglia, et temo che la figura di Apolline, et la nota de’ [41v]Castori implichino questa contradititone: io per me non era salito tanto alto, contentandomi di star ne’ termini puri antichi, et più ordinarij, conforme al mio sapere: et benche io mi ricordi chiaro di non haver mai detto sopraciò cosa per ispositione indubitata, ma solo per modo di ragionare; et per dar sodisfattione à lei, che me ne richiedeva; nondimeno in quel mio pensiero non vi ho ne anco mai trovato tante difficoltà, quante mi vengono hora fatte da lei: et per provare se di tante se ne può superare alcuna; poiche di nuovo mi comanda, che io dichiari il mio pensiero; dico che da quei segni ci si viene significato l’amore, et la concordia de’ figliuoli di Costantino, et forse in comapgnia di esso Costantino padre loro ancora; et per ciò sono le linee multiplicate à tanto numero, oltre à quello di Plutarco: et da tale unione nasce l’unione ancora, et conseguentemente la virtù et le gloriose imprese dell’essercito. Questa interpretatione è accomodata, come quella della medaglia di Claudio, con una vittoria col Caduceo in mano, et un serpe a’ piedi, et lettere PACI AVGVSTAE. Antonio Augustino et altri dicono, che quella figura è della Pace, ingannati dalle lettere delle medaglie; ma veramente è una Vittoria accomodata in simbolo di Pace [aggiunto sopra] per il Caduceo che tiene in mano [fine] : et ci vien significato da quel rovescio, che la Pace data al mondo da Claudio, era acquistata col suo valore; et come dice Cice. nel X delle ep. fam., et negli Uffici in più luochi, Pax, non pactione sed victoria quaesita, et Emilio Probo, o Cornelia Nipote, in Epaminonda conferma il medesimo dicendo, Paritur pax bello; et queste parole sono l’ispositione proprissima, à mio giudicio, di quella medaglia: Hora, applicando, dico, che nella medaglia di Claudio vi è una figura di una Vittoria; et in questa di Costantino vi è una figura della concordia, et dell’amore; da quella vittoria ne nasce l’effetto della pace; da questa concordia ne nasce ogni gloria, et ogni felice successo; le lettere di quella medaglia non riguardano la prencipal figura, che è la Vittoria, ma l’effetto, che è la Pace; le lettere di questa non riguardano la prencipal figura del simbolo della concordia et dell’amore, ma l’effetto, che è la virtù invitta dell’esercito; quasi dica concordia et amor mutuus Caesarum est virtus exercitus; si come nel sopradetto mio medaglione di Costantino colla Fenice è scritto, GLORIA SAECVLI VIRTVS CAESS, et chi volesse fare[42r]più aparente la cosa, potrebbe ricordare quel celebre fatto del Re di Sicilia, che essendo vicino à morte, et temendo della disunione de’ figliuoli dopo lui, diede loro un fascio di verghe legate insieme, et comandò, che le rompessero; il che non havendo potuto fare niuno di loro, sciolse il fascio, et mostrò loro che ad una ad una si rompevano senza difficoltà; con tal essempio essentandogli (?) a stare uniti sempre: Ma mi oppone ella , che le lettere Virtus Exercitus, non si trovano, se non con figure, torri e simili: qui potrei ricavare molte cose simili fatte senza essempio da posteriori Imperadori ma dirò solo, che questa oppositione si può fare à molti altri: et chi mai vide, o prima, o poi due mani giunte con lettere AMOR, et anco, CARITAS, et anco, PATRES [agg a margine] et anco PIETAS [fine], come hanno fatto Balbino, et Pupieno nelle sue medaglie? et per non mi discostare dal nostro proposito; chi vide mai prima de’ tempi vicion à Costantino il Castro Pretorio, o altro edificio che si sia, con lettere VIRTVS CAESS? et in somma si vede queste cose essere state composte ad libitum, ma ben sempre accompagnate da ragione. La figura di Apolline è tanto familiare de’ posteriori imperatori che non può essere messa così stravagantemente , che non stia bene; ma qui pare a me che sia posta eccellentemente; perche essendo quel segno simbolo di amore, et di concordia, dalla quale nasce l’honore, et la gloria dell’Imperatore conveniva à punto, che tanto bene si riconoscesse da Dio: et è il medesimo, che, Soli conservatori, et Soli invicto comiti, così frequentato da Posteriori, et massime dalli Costantini: et io mando à Vostra Signoria Illustrissima una medaglia di Aureliano con la concordia segnata con due figure, et in mezzo vi soprastà la testa del Sole; che quanto al significato è l’istesso proprio di questa nostra: so di havere un intaglio, che ha due mani giunte et sopra di esse vi è posto, con bellissimo significato, una figura intiera di Mercurio che ne manderò impronto se haverò tempo di trovarlo. Hora Vostra Signoria Illustrissima si appiglierà à quello, che più le piacerà: Ben dico, che io non credo, che quel segno sia insegna militare, poiché è senza hasta, et la medaglia è latina. Ben consentirei [agg. in fondo in piccolo] et non mi darebbe gran noia, se alcun volesse che questo segno potesse essere stato disegnato nel labaro ò in altra insegna imperiale, ancor che sia senza autorità; si come vi portarono disegnata molti Imperadori la croce: la qual nondimeno, quando è senza hasta, non si può dire che sia insegna, né per tale disegnata; altramente tutte le aquile, tutte le mani, tutti i serpenti, che si veggono in medaglie, et le istesse teste degli Imperadori si diranno essere insegne militari [42v-43r mancano] [43v] Il Signor Ludovico Compagni non ha, né si ricorda di haver mai havuto la medaglia di Gordiano con quell’arboro, che ella scrive haver veduto nel libro del signor Vincenzo pittore. Le medaglie d’argento di Othone, di Vespasiano, et l’altre che Vostra Signoria Illustrissima ha havute, sono belle, et molto rare; et credo che siano antiche; dico, credo, perche dalli impronti delle medaglie non si può in modo niuno conoscere altro, se non se vengono dall’antico; ma la medaglia, sopra la quale sono fatti gli impronti può essere, che anch’essa sia impronto; ma che la sua prima origine sia antica [agg. a margine] ben la diligenza straordinaria fatta da lei in far gettar il cerchio della medaglia di Otho separatamente mi fa conoscere che ella è medaglia antica senza dubbio [fine]. Io ancora ho della medesma grandezza, et peso molti Augusti, Clausij, Vespasiani, Tito, Domitiano, Traiano, Hadriano, et altri più bassi, greci, et latini, et quasi tutti i greci col rovescio dell’aquila, overo della figura, che tiene i piedi sopra l’altra figura, come le medaglie di Antiochia. Io la ringratio quanto posso di tante belle cose mandatemi; et per ringratiarla quanto doverei, bisognerebbe, che io mi facessi un’echo, et le rimandassi le sue parole proprie: l’Alletto io non l’havea più veduto; et il Carausio è molto meglio del mio: se io farò fuora *** dello studio, come penso, le rimanderò in mano sua, come debbo. Io non ho trovato, se non una medaglia di Tiro; non so se mi siano state rubate, o se pur non le habbia sapute ritrovare: questo dico perche il settembre passato mi furono ribati molti argenti da’ servidori; et con essi alcune medaglie di poco prezzo, che stavano fuor dello studio; et alcuni intagli, che erano insieme et gli havea cavati perche ne volea fare impronti, per mandargli à lei: et so che vi era uno intaglio grande molto bello della porpora: ne le mando hora alcuni restatomi, perche stavano chiusi nello studio ocn le altre cose; et non lo poterono aprire: credo che ne sarà impiccato unom se bene non è de’ prencipali, che sono fugiti: et mi dice il Giudice, che io ho corso molto pericolo della vita: tal che per questo ancora mi si sono fatte abhominevoli tutte le cose che io ho: io scrivo liberamente ogni cosa a Vostra Signoria Illustrissima rendendomi sicurissimo di trovarne compassione. non lascierò però mai l’occasione di servire gli amici, e padroni, per mezo dei libri[44r]poi che questa è suppellectile abhorita non che tuta, da ladri grandi et piccoli. Della Cidari io non ho che dirle; né credo, che [agg sopra] non [fine] si potrà mai salvar la pratica, et i libri: è buon pezzo che io ci sto avvertito se ritroverò cosa à proposito gliene darò aviso.[33] La testa con lettere CC, somiglia mirabilmente ad Alessandro Imperadore; et la corona di lauro, et la pelle di lione sono tutte cose sue: che se bene scrive Lampridio che non accettò il nome di magno, nondimeno si veggono le sue medaglie ordinarie, et anco contornite con la pelle del lione, come sono alcune del Magno: se non si trova poi mentione negli scrittori di quello CC, non mi darebbe noia, che si sia, che in quei tempi si cominciò a tener poco conto di simili Artefici. Resterebbono molte altre cose da dirle, ma non posso, che hoggi ho da consignar le cose al Navicellaio; anderò di giorno in giorno, secondo l’agio sodisfacendo al rimanente di questa ultima sua lettera, et di altre prime ancora; et nella prima comodità, le manderò poi ogni cosa: In tanto la supplico, con ogni affetto à perdonarmi dello scrivere mio libero, et senza cerimonie; che se io la volessi imitar lei, ben sarebbe più conveniente à me, ma ella venirebbe servita, se pur è servita, di poche cose.[34] Degni Vostra Signoria Illustrissima di favorirmi di dire al signor du Perier, che l’angustia del tempo non permette che io le scriva, et impetrarmene perdono: Il Medaglione suo di Lucilla è moderno; ben credo tragettato su l’antico: Dell’intaglio temo ancora grandemente; et non saprei dire per chi fosse fatto; Io non ho mai veduto l’effigie di Platone; et di [agg sopra] simili à [fine] quella dell’Orsino io n’haverei forse più d’una frà miei intagli; ma vorrei, che se ne fosse veduta una con le lettere; et all’hor mi quieterei di tutte. Per la strada che io hebbi da SS un medaglione di Caracalla, et un Vespasiano, le rimandai le [agg sopra] istesse [fine] medaglie, et la risposta, con molte particolarità assai prencipali, per conoscere l’antico; et le dava notitia insieme, che nelle sue lettere non erano denari di niuna sorte. Prego Dio benedetto, che conservi Vostra Signoria Illustrissima, et le doni ogni contento, et ogni bene. Et nella sua buona gratia raccomandandomi, le bacio la mano con molto disiderio, che la baci per me al signor du Perier. Di Roma, li xiii di Marzo 1610 » (Carpentras, Bibliothèque inguimbertine, Ms. 1831, f. 36r-44r et Paris, BnF, Manuscrits, Fonds Dupuy 667, f° 33 ; voir Vagenheim 2007, p. 587, note 46 ; Missere Fontana 2009, p. 74, note 251, p. 77-78, notes 263 et 265, p. 96, note 381, p. 382, note 114, p. 443, note 90 ; Carpita & Vaiani 2012, n° XXXVII, p. 211-225 et Serafin 2013, p. XXIX, note 49).