-Lettre du 5 avril 1603 (de Montpellier) : « [f. 57] Al Sig.r Lelio Pasqualini, Roma, Molto Ill.re et M. R.do Monsig.r mio oss.mo, Con lettere da Padoa delli 29 Gennaro mi vien dato aviso che si legge su i riporti del sig.r Abbate Montano che Dio habbia, il che s’è bene m’è restato non so che picciola speranza che i riporti, al solito, possino haver detto buggia cotesta volta, nulladimeno mi hà recato una estrema afflittione, et stimo ch’ancor a lei, se tale è stato il piacer d’Iddio, debba dolere la perdita di questo Prelato. Io gli havevo scritto del (sic) mese di Decembre passato, et insieme raccomandato un piegghetto con certe cosette curiose per V.S. molto Ill.tre, ma hò gran dubbio che non si perda ogni cosa, (se pur non è già avvenuto con questa occasione così sinistra) se V.S. non usa qualche diligenza a ricuperarlo da quei della famiglia dell’Abbate; a che se potrà farli servire il mezzo del sig.re Pietro Antonio Ghiberti Auditore dell’Ill.mo Card.le d’Acquaviva, dal quale (mancando il povero sig.r Abbate) V.S. puotrà sempre haver ragguaglio del stato mio, et pigliar informatione de ricapiti che s’haveranno da dare alle sue lettere. In quel pieggo le mandavo prima un discorzetto del sig.re Marquardo Frehero sopra il Saffiro di Costanzo, del quale altre volte le mostrai costì l’impronto in cera spagnuola. Di più un impronto di quel d’Augusto in Nicolo, co’l nome di Dioscoride, ch’io le ho mentionato più d’una volta; et certe altre cosete che so di certo non le fossero spiacciute. Hora le ne rimando alcune di nuovo, dispiacendome non poco si non poterle insieme rimandare una altra copia del sudetto discorao, et un altro impronto dell’Augusto: ma procurerò d’haverne de gli altri per farlene parte, quanto prima potrò. In questo mentre V.S. vederà un poco di trassonto del Giovino, del Basilisco, del Mario Tyranno, l’uno de’ Trenta sotto Gallieno, et d’un Costanzo battuto (se s’ha da credere alle lettere S.M.ANT.) in Antiochia, con i simolacri, s’io non erro, delle città di Roma et d’Antiochia nel rovescio, quella al solito con la celata in capo, l’hasta et la vittoriola nelle mani, a concorrenza di quella, et finalmente un rostro di nave [f. 58] sotto il piede, invece della mezza figorina del fiume oronte; forze per ciò che già da città christiana s’incomminciavano a lasciar gli Idoli poco a poco, fin che non si tennero, come V.S. sa, quasi altri simolacri che de’ Principi, delle vittorie, er della città. L’occasione di questa foggia d’impronto così commoda me la fa anco mandar qualche copia di quella testa ch’io le scrissi altre volte d’haver veduto in Lione, ch’haveva il conciero simile al suo Empedocle et queste lettere appresso ΑΕΤΙΩΝΟΣ; le quali io tengo per nome del scultore et stimo che l’effigie sia di qualche grand’huomo molto noto in quei tempi; mà stimo che sià molto difficile di venirne in cognitione adesso, et massime supponendosi molte cose che s’hanno da supporre di necessità, et particolarmente che la testa di questo taglio, a parer mio, è la medesima con quella che si vede nella medaglia d’argento dell’ill.mo Contarini nella città di Soli in Cilicia et con quella (ancor che gli habbino fatta la testa calva per non haver saputo riconoscer questa beretta ne far rinettar la medaglia) de la medaglia di metallo de l’istessa Città col nome di Pompeiopolis battezzata per Philemone da Fulvio Ursino, così a proposito, come per Arato l’altra testa d’Hercole ch’è nel roveschio non havendo saputo ò voluto discernere le ciatte della spoglia Lione, che meglio si scorgano (sic) in quella del Contarini. Hora se vogliamo dire che l’effiggie sij di Solone fondatore, secondo alcuni, di quella città, ò di Arato, ò di qualche altro Philosofo deificato in quei paësi, non so comprendere come egli si possa tollerare quella Cydari in testa, proprio ornamento de’ Re Orientali: se all’incontro dicchiamo (sic) per causa di questa Cydari che sià l’effigie di Creso, di Cyro, di Dario, ò d’alcun altro Re ch’habbia dominato in quei paësi, non veggo come possa stare che la Città habbia battuto medaglie con la sua effigie si longo tempo doppò sua morte, cioè doppo Pompeio, come mostra quella dell’Ursino. Starò apettando il giudicio di V.S. Del resto s’ella desidera sapere il modo di far questa maniera di trassonto, volentierissimo ne la farò partecipe, come desiderosissimo di servirla in ogni occasione ella mi giudichi buono a ciò fare. Et con tal fine le baccio le mani. Di Montpeliere alli 5 Aprile 1603.Devotiss.mo ecc. » (Aix-en-Provence, Bibliothèque municipale, ms 209, f° 57-58; voir Carpita & Vaiani 2012, lettre n° XVI, p. 81-83).