-Lettre du 5 sept. 1605 (de Paris): “[f. 63] Al Sig.r Lelio Pasqualini, Roma, Molto Ill.re et M. R.do Monsig.r mio oss.mo, Non mi potea venire nuova di maggior contentezza e sodisfattione che l’haver inteso da lei medesima ciò ch’havevo sempre desiderato con tanto ardore, cioè il miglioramento di sua sanità; et che a si buona nuova V.S. ha aggionto un dono di tante cose curiose, et accompagnato il tutto di tante dimostrationi dell’affettion che mi porta, che di necessità mi costringe ad esserle perpetuamente obligato. Di che la ringratio con tutto il cuore, assicurandola che se ben non vorrei liberarmi di questo debito, vorrei ben nondimeno impiegarmi tutto in servitio di V.S. per mostrarle all’incontro qualche frutto dell’osservanza mia verso lei, et per accrescere con questo mezo l’obligo che le tengo, poi mi risulta in honore et gusto singolarissimo il sempre servirla. Hebbi dal P. Provinciale il piegho di V.S. con gli due scatolini un giorno solo avanti ch’io partissi per questa Corte, il che mi fu molto discaro, per vedermi togliere ogni commodità non solo di far scielta di alcune cosucchie che le haverei voluto mandare in scambio delle sue; mà anco di risponderle così prontamente com’era del debito et desiderio mio. Mà non si poteva differire questo viaggio per rispetti a me di molta importanza: e ben vero ch’io spero essere di ritorno in Provenza per la più longa per questo Natale prossimo: et all’hora non macherò di supplire a questo debito con quella maggior prontezza et amorevolezza che sarà a me possibile.In tanto pregola di volermi scusare se così tardi gli rispondo, et incolparne la solita molteplicità de disturbi di un tal viaggio, massime in questa corte nella quale ogni dì ci conviene essere a cavallo per seguitare la Maestà Christianissima di questo nostro Re, tanto riverito e tanto amato, da Pariggi hora a Fontainebleau, hora a S. Germain, hora a Monceaux, et hora [f. 64] ad altri luoghi, in ciascuno de quali egli non suol stare fermo molti giorni. Il che m’impedisce ancora con molto mio dispiacere di rispondere a V.S. M.to Ill.re con tutta quella accuratezza ch’io haverei desiderato. Le dirò dunque brevemente che:Quanto alla Anticaglia V.S. ha da sapere che la Medaglia Consulare ch’io le dissi havere della famiglia Hostilia non è nel Golzio altramente: anzi è di quel medesimo L. HOSTIL. SAPERNA che fece battere tutte le altre che si trovavano, mà l’impresa di questa è molto diversa delle altre; sendovi d’una parte tre figure di donne che caminano sopra un Ponte, quali un mio amico stimava essere donne Albane ch’entrano in Roma poco liete, dà rovescio poi c’è quella medesima testa che il Sig.r Fulvio giudicò Pallore; mà sendovi oltre la testa tutto il petto con una mano al mento in atto di piangere, mostra che sia più tosto simolacro di Provincia soggiogata, (et forzi anco de la medesima Città d’Alba) che della Deità di pallore. Del resto la Medaglia è con l’anima di rame, sì che non ci entra alcun sospetto di moderno, sì come V.S. giudicherà quando le n’haverò mandato l’impronto; il che sarà, con l’aiuto di Dio, subito che sarò di ritorno di (sic) questo viaggio. Et insieme le mandarò l’impronto del mio Herode di metallo di mezza grandezza, acciò vegga se sarà il medesimo del suo, il che desidero molto di sapere, non giudicando il mio altro Herode che colui che fù Re di Chalcide, il quale era fratello del primo Agrippa. Ho ben Medaglia del Grande Herode il primo, et anco di Herode Agrippa, mà non ci sonno (sic) i ritratti loro. Jo (sic) non so di haver veduto quello di V.S. mà ne vederò l’impronto con questo grandissimo se le piaccerà favorirmene, per giudicare qual possa essere fra [f. 65] tanti che hanno regnato in Levante. Mi sonno (sic) stati carissimi i dissegni delle tre Medaglie per pruova della dignità della mano destra: mà non so come possa stare che la tenghi la moglie dove è presente il marito, se non è per dar luoco al ritratto intiero del marito, sì come sarà forzi di tutte l’altre Romane che hanno due teste l’una sopra l’altra. Del pronto della Diana di Dioscoride ne ringratio sommamente V.S. pregandola di favorirmi ancora del trasonto dell’Apollo del medesimo maestro s’è in suo potere, che le n’haverò un grand’obligo: sì come le n’ho un grandissimo del dissegno mandatomi dalli ornamenti muliebri antichi di V.S., i quali veramente mi fanno entrar in qualche dubio se quei miei furono, come havevo creduto, Acus crinales. Pure non so a che potesso (sic) servire queste cose, se non furono di quelle fibule con che si accomodavano i pieghi delle vesti; di che desidero sapere ciò che ne pare a lei: avvisandola che ne i miei non ci sonno (sic) altre gioie che queste, (ch’io credevo haver notate sù il disegno) cioè Smeraldi fini de’ quali è piena la Viriola, un Robino balasso ch’è legato in oro in forma di pendente, le Perle vere che sonno nei Recchini, et ne gli Aghi, ò fibule, un picolo (sic) Saphiro in forma di Gocciola pendente; un Smeraldo fino con l’intaglio del Monte Argaeo, leggato in annelluccio d’oro trovato con la viriola; et una punta di Granato legata pure in annellino d’oro, trovato con l’Agho, ò fibola, et col stalagmio d’oro: mà in ogni modo non c’è cosa di momento; le altre sono solamente paste di vetro. Di nuovo hò havuto una Corona antica, trovata in Provenza in un sepolcro sotto terra, pochi mesi sono; la quale io giudico fosse ornamento muliebre più tosto che di huomo, per molti rispetti, ma principalmente per haver’il giro un poco più grande che non comporta la testa d’un huomo, tutta nuda, il che [f. 66] può sopportarsi più facilmente in testa di donna per rispetto della quantità de i Capelli et tresse (sic) che si sogliono acconciare d’intorno. Ben che la forma è tale che pare sia una di quelle che si vedono in capo a quei Costantij, Valentiniani, Theodosij, et altri Imperatori di quel secolo. Io ne le manderò il dissegno al mio ritorno; in questo mentre le dirò che la Corona è tutta d’argento, sed finissimo, indorato molto bene, et è di molti pezzetti acconciati insieme di certa maniera che così facilmente si può pieghare attorno il capo come se fusse una tressa (sic), il che non saprebbono ben imitare i nostri Orefici; i pezzetti sonno di due diverse foggie, ordinati alternativamente l’un tra l’altro.Ne i minori è legata una gran èasta di vetro anticho di color pavonazzo la quale occupa tutto il piano del pezzetto a guisa di smalto, et è forata in meggio, et per quel buzzetto esce un bel fiore d’argento con una pietruccia bianca in cima. Ne maggior pezzetti è rimesso in mezzo un fiore in forma di croce di cinque pietrucce verdi, tonde et ben legate a guisa di perle, con un’altra pietruccia tonda et rozza, legata medesimamente come una perla, et saldata su ciascun cantone del pezzetto. Nel mezzo della corona era legato in oro un bel Cameo anticho che rappresenta l’effiggie d’uno di quei Imperatori del suddetto secolo, però con Corona di Alloro, et non di gioie. Il Cameo l’ho io, ma la guarnitione d’oro fù fonduta prima ch’io ne havessi nuova, che non l’haverei lasciata guastare: mà in ogni modo il restante rende una veduta assai vagga et gentile, ne punto dissimile della Corone che si veddono in testa d’Imperatori et donne Auguste di quel secolo. Et per ciò che la Corona non è d’oro, et che le gioie non sono fine (sic), vo imaginando che sia ornamento di qualche sonna di conditione mediocre. Per conto delle Medaglie et solfi mandatimi per non [f. 67] haver hora portato meco gli scatolini di V.S., non potrò dirlene altro se non che ne la ringrazzio infinitamente, et la prego a dirme se l’impronto che c’è della Medaglia di Pompeo Magno è cavato da quella sì stupenda Medaglia d’oro che V.S. comprò cento et più scudi, ò da qualch’altra simile. Del Taglio di M. Marcello non occorreva ch’ella mi domandasse altro aviso, poi ch’ella hà costì gli originali per confrontarlo pure per mostramele: in tutto obbediente le dirò semplicemente ch’io non so che si truovi alcun ritratto antico di Mario, poiché in quello dell’Orsino non truovo alcune note, et desidero grandemente di sapere se se ne truova; et ch’io crederei che questo taglio si dovesse assomigliar molto, se ben mi ricordo, a quel marcello restituito da Trajano che V.S. mi mostrò un giorno; il quale pare che habbia un’aere (sic) alquanto diverso dell’ordinario che noi habbiamo, con la comparatione si chiarirebbe il tutto se ne havessimo l’impronto. Mà non ardisco di chiederlo, per non essere tanto importuno appresso V.S., massime havendole da dimandare in gratia (il che fò con ogni riverrenza) l’impronto ò il dissegno di quella sua bella Medaglia d’oro di Hadriano co’l rovescio di SAECULUM AUREUM, se non le sarà grave, ò almeno un poco di descrittione della figura ch’è dentro il Zodiaco, per potere pensare un poco alla raggione che puol haver mosso gli Antichi di dare tale iscrittione a quella figura. Gli altri intagli di Diogene sonno del tutto belli a gusto mio, mà per quello che ha le lettere pare quasi di primo aspetto che sia una di quelle Larve ò Maschere Thimeliche, de i giuochi di Baccho, delle quali nelli intagli et bassi rilievi di marmo se ne truovan assai che s’accostanp a questa somiglianza. Restami l’impronto dell’Imperatore Carlo per il quale, tanto maggiori sonno le grazie che le ne rendo, quanto [f. 68] maggiore è la sodisfattione che ne ho sentito, et l’obligo che le ne tengo, come di cosa la più grata che mi potesse avenire.Io ci leggo con essa lei KAROLUS IMP. AUGS. mà se le devo confessare il vero, non mi ci resta poco dubio per il mancamento del titolo di MAGNUS, non sapendo distinguere per che sia più tosto il Magno, che il Calvo, ò il Grosso, quali non siano stati tutti tre Carli et Imperatori, et Augusti: Et quello che mi preme ancor più, si è la parola RENOVATIO, la quale pare più conveniente a i tempi et al’ambitione di Carlo il Calvo, (il quale se ben con molta fatica ristotò in certo modo l’Imperio doppo la morte di suo fratello) che di Carlo il Magno, fundatore più tosto, che rinovatore del splendore dell’Imperio Francese. In ogni modo tanto stimarei sempre la Medaglia se è di Carlo il Calvo, come se fosse di Carlo Magno. Mà sia detto questo per maniera di raggionamento ch’io non intendo di dovermmi scostare punto dal parere di V.S. in questo particolare, come in ogni altra cosa; per ciò lasciando a parte qual si voglia raggione, non ne crederò altro che ciò che piaccia a lei.Io mi ritruovo una Moneta d’argento di Ludovico Pio figliuolo di Carlo Magno, dove è il suo ritratto con la Corona et la barba raza (sic) come questo di V.S. et spero haver in breve il dissegno d’un Marmo antico di basso rilievo, dove è il ritratto di quel Pipino che fù Padre del sudetto Carlo Magno, dove intendo che non si vede ne anco Barba, se ben fin adesso havea creduto altramente la posterità. Ho ancora una Moneta di oro di Clotario Re di Francia molti anni avanti Carlo Magno, nella quale si vede il suo rittratto (sic) senza Barba, coronato con un filo di perle, et vestito del tutto come gli Imperatori del suo tempo, cioè come Anastasio, Giustino, et gli altri di che le farò parte quando le piacerà. [f. 69] Qui ho havuto di nuovo fra altre cosette curiose, tre Medagliete (sic) di metallo straordinarie; una è di Æliano uno de i Trenta Tyranni, ch’io non havevo ancora, il quale somiglia con la sua longa barba a Posthumo; mà l’Iscrittione di legge distintissimamente in questo modo. IMP. C. L. AELIANUS. P. F. AUG. nel rovescio non c’è altro ch’una Vittoria. L’altra Medaglieta (sic) è di Victorino un altro de i medesimi Tiranni, mà è straordinaria per legervisi il pronome di M. et il nome si non m’inganno di ANTONIUS, almeno vi si leggono ben distinctamente le lettere, IMP. C. M. …TONIUS VICTORINUS P. F. AUG. il che non hà saputo il Golzio. La terza è di Tetrico il giovane con queste tre lettere C.P.E. molto chiare et distinte, con i medesimi punti molto apparenti, poste avanti il cognome TETRICUS in questa maniera C.P.E. TETRICUS. Sì che non è maraviglias’io havevo dubitato altre volte intorno i Titoli di quel Prencipe (sic). Io credo che le due prime si possino leggere, Caius Pinesus, ma la terza non so come supplirla, V.S. ne vederà i pronti col primo commodo. V.S. deve haver veduto il libro di Gorleo de Annulis Sigillaribus de gli Antichi, se non è venuto costì lo manderò io a V.S. con il libro di Gioan: du Pois intorno le Medaglie, il quale io le ho qui. Vegga di gratia V.S. in che potrò servirla, mentre sarò in queste bande, et mi favorisca di qualche suo commandamento con ogni libertà, indrizzando (sic) sue lettere ò per via del Nontio di S. S.tà al sig.re Cesare Cerami Gentilhuomo Luchese, che me le farà capitare: ò vero con una sopracoperta in Lione al Sig.ri (sic) Buonviso al solito, mà bisognarà per più facilità fare, se le piaccia, la soprascritta di sue lettere in Francese A Monsieur de Peiresc, et del Callas, acciò non possino andare di male. [f. 70] Ho hora mi vien riferito che si parte il corriere, si che non potendo scrivere a Mons.r Aleandro, ne al P. Sirmondo, ne al Sig.r Auditor Ghiberti, pregarò V.S. vedendogli di voler loro far miei schuse, et salutargli carissimamente a mio nome; non mancherò di supplire la prossima posta. Et con questo le baccio le mani, et la certificò sic che non tiene più affettionato servitore di me. Nostro Signore la guardi et prosperi. Di Pariggi alli 5 settembre 1605.” (Aix-en-Provence ms. 209 (1027), ff. 63-70 [47-54]; Si tratta di una copia: in calce al f. 63 è scritto “au Reg. 41.1 pag. 351”. La minuta autografa di Peiresc è infatti alla Bibliothèque Inguimbertine di Carpentras, ms. 1809, cc. 351r-352r; voir Carpita & Vaiani 2012, lettre n° XXI, p. 101-108).