-Lettre du 2 nov. 1608 (d’Aix): “[f. 81] Al Sig.re Lelio Pasqualini, Roma, Molto Ill.re Sig.re mio oss.mo, He (sic) un pezzo ch’io stavo apettando il passaggio di queste Galere, et del Sig.r Duca di Nivers per poter inviare una altra scatola a V.S. M.to Ill.re in luogo di quella che hà (sic) rubbato il Mazzei, la cui perdita m’hà doluto tanto più, quanto che puol essere stata occasione di farmi tener con lei discortese, et poco riconoscente de gli oblighi che le tengo, benché senza mia colpa. Oltre la brigga che V.S. hà pigliata in vano per ricuperarla, onde s’accresce sempre più l’obligo mio verso di lei. Io ho rifatto la maggior parte delle cose che c’eranno per conto de i libri, impronti e dissegni, mà delle Medaglie originali non si poteva rimettere altra che quella di Mario Tyranno, la quale non è mal conservata, giovandomi assai l’haver inteso che V.S. habbia il Læliano et il Carausio. Dell’Allecto ne tenni un impronto ch’io le mando, assicurandola che userò ogni diligenza possibile per haverne un altro, con occasione di un viaggio che il Sig.re ….. se ne va fare in Inghilterra et Fiandra. Ma prima di raggionare delle cose della scatola, io risponderò all’ultima lettera di V.S. M.to Ill.re portatami dal P. Provinciale de i Francescani, la quale mi fù gratissima à fatto, et massime in quella parte dove ella mi dà qualche speranza di lasciar venire fuora un discorso suo in materia di Antichità, ch’io starò aspettando col maggior desiderio che mi potesse premere al mondo, sicuro di quanto honore ne [f. 82] riuscirà à lei, et utile al publico, à cui ella darà a connos(cere) infinite cose che mai non furono considerate, ne intese da(i) maggiori letterati del nostro secolo: farà vedere molti errori segnalati commessi dagli authori che ne trattanim de i quali sonno tenute le opinioni come oracoli; per non essersi trovato un Mons.r Lelio, che habbia voluto palesare le singolarità recondite nel thesoro del suo studio che non credo che sia in potere di qualsivoglia altro al tempo d’hoggi di far queta opera, havendo io veduto et conosciuto la maggior parte di quelli che si dilettano d’antichità, ne trovato mai un solo in tutti i miei viaggi che potesse arrivare di gran lunga alla cognitione che V.S. ne tiene, et ancor meno alla radunanza di si gran numero di cose rare quante si ritrovano appresso di lei, dalle quali s’impara, come ella dice, ogni altra cosa che dà i libri. in somma V.S. non deve inviadiare al mondo questo suo parto, mà ne haver risguardo all’invidia che le portano alcuni à lei, anzi par che questa la debba stimolar tanto più à pubblicarlo, accioche ne duri la memoria alla posterità, et che non habbino più speranza gli invidiosi di poter pubblicare essi come sue, le cose di V.S. le quali da ognuno saranno per tali riconnosciute co’il mezzo di questo discorso. M’incresce infinitamente che V.S. patisca tali disgusti ma ella sa troppo meglio che virtutis comes invidia, et che questo è un certisiimo inditio à tutti de i meriti di V.S. Pure io vorrei bene che ci fosse qualche modo di leberanela (sic) almeno de gli effetti. Et mi maraviglio grande-[f. 83]mente che per mezo di tanti Cardinali che amano V.S. et riveriscono i suoi meriti ella non habbia ottenuto dà S. S.tà una dispensa ò facoltà di testare, ch’allora par che dovessero cessare i dissegni che si fanno sopra il suo spoglio. Et quando V.S. ci trovasse delle difficoltà, io credo che non le sarebbe difficile d’impiegarci la recomandatione del Christianissimo verso sua Beatitudine ogni volta che V.S. si risolvesse di lasciarsi connoscere costì al Sig.re Ambasciatore nostro che ne procurarebbe lettere di S. M.tà. A che s’io potessi giovare in alcuna cosa, mi ci impieggarei con tutto il cuore. Vegga V.S. et non mi sparmi, ch’ella non si valerà mai di persona che la serva più volontieri che farò io in questa, et in ogni altra occasione. Per le medaglie ch’io le mandai già con la testa ornata di capuccio, io giudicai all’hora che fossero non di Diana, come vuole l’Erizzi, mà di quel Deus LUNUS che s’adorava nell’oriente in persona masculina, et specialmente apud Carras come dice Spartiano in Caracalla, che ne racconta superstioni (sic) grande; l’istesso che Strabone chiama nel 12° et et Tertulliano nel 15 de l’Apologetico Masculum Lunam et dissi far à proposito dell’Empedocle per essere quel capuccio (sic) proprio de i Popoli Orientali, i quali usvano particolrmente della Cydari per ornamento Regio. Et quando fosse puramente una Diana poco importerebbe; ch’io pigliarei sempre argomento dal Cappuccio, per dire che fosse adorata in quell’habito, da quei Popoli orientali, che usano di portar della Cydari, si come io giudico essere [f. 84] battuta la medaglia dell’Erizzo, non in quella Città Nysa che gli dice appresso Athene, mà in quel altra vicina all’india et similmente un’altra ch’ho veduto appresso il Vincenzo Cobergo battuta in Antiochia sotto Settimio Severo con l’istessa figora (sic), stimo che sia battuta questa in Antiochia vicino à Carris. La Medaglia dell’Erizzo è molto bella, et ne hò io un pronto donde ho tratta l’Iscrittione in maniera che si può meglio interpretare che nel modo ch’egli la (sic) voluta leggere, dicendo gli, ΑΥΤΟΚΡΑΤΟΡΩΣ ΚΑΙΣΑΡ ΑΝΤΩΝΕΙΟΥ ΚΑΙ ΟΥΗΡΟΥ ΕΜΙΣΤΑΤΟΥ ΔΙΟΔΟΤΟΥ ΝΥΣΑΕΩΝ, ove restano errori di ortografia et di Grammatica grandi, non che mancamenti della lettura, dovendosi leggere all’accusativo caso plurale, et singolar respettivamente, ΑΥΤΟΚΡΑΤΟΡΑΣ, ΚΑΙΣΑΡ, ΑΝΤΩΝΕΙΝΟΝ, ΚΑΙ ΟΥΗΡΟΝ, che vuol dire Imperatores Caesares, Antoninum et Verum all’usanza greca. Et nel rovescio ΕΠΙ. Γ. ΑΥΡ. ΔΙΟΔΟΤΟΥ ΝΥΣΑΕΩΝ, sub Caio Aurelio Diodoto, Nysaeorum, come V.S. vederà dalla copia del pronto che le mando. Questo dico per mostrare che non sarebbe grand (sic) cosa ch’egli similmente havesse mal letto COSMUS SERACUSUS, in luogo IBERI CUSUS che non credo ch’io mi fossi ingannato di tanto, pure non vorrei affirmarlo ostinatam.te senza vedere l’originale o un Trasonto. Bastasi che non possono essere se non stupende quelle due Contornite di V.S. M.to Ill.re che sonno rimesse di argento si curiosamente come ella dice. Si come anco quella che hà l’iscrittione URSE VINCAS, la quale non so se si possa giudicar battuta [f. 85] avanti la vittoria, et se non potrebbe essere stato un grido ò una voce generale, ò della fattione del suo colore, ò privata che col grigargli (sic) URSE VINCAS l’havesse giovato à vincere; in ogni modo è cosa molto stranna (sic), et poiché V.S. fa discorso, sarà soggetto molto degno di essevi inserito et la descrittione di tutte quelle contornite qu’ella (sic) dice d’havere sarà soggetto molto degno di esservi inserito. Quei due Medaglioni di Antonino Pio co’l carro di Roma et l’Esculapio bisogna che sijno stupendissimi; et di quello di M. Aurelio co’l rivescio di Commodo: mi duole sommamente ch’ella sia stata costreta di privarsene, che se le meritava a lei più tosto che à qualsi voglia altro.La ringratio della cortese offerta de i dissegni d’ornamenti mulibri (sic) havuti di nuovo, io gli starò aspettando con gran divotione. Il Discorso del Sig.r Scaligero sopra la Medaglia di Costantino co’l segno che par Croce, giudicai che non potrebbe sodisfarle a lei, si come non havea mai fatto à me, mà volevo che V.S vedesse ogni cosa. Ho caro d’haver inteso che V.S. habbia un riverso simile in Medaglia di Licinio per chiudere la bocca di quei che vogliono sia Croce, ben che la figura dell’Oriente ci sia un’ostacolo perpetuo. Il pensiero di V.S. del nodo di Hercole è galante, mà l’ostacolo qu’ella (sic) ci fà con l’authorità di Plinio è molto grande appresso di me. Ne mi sovviene più dell’isposittione che V.S: dice havermene detta in Roma tratta da Plutarcho, pregandola di volermela scrivere per sua gratia, che sin’hora non trovo cosa ch’appaghi. [f. 86] Per conto della Moneta di Papa Hadriano, io ne hò una simile, pure di argento finissimo nella quale non appare alcun minimo segno di moderno, et non dimeno per salvar l’interpretatione del CONOB. haverei creduto facilmente che fusse gettata da qualche Medaglia d’oro; mà poi considerando la barbarie del suo secolo, ho giudicato che volendo l’artefice imitare le Medaglie de gli Imperatori di Costantinopoli, poteva haver fatto questo fallo innocentemente. Et chi sa ancora che il medesimo conio destinato a moneta d’oro, non potesse essere stato adoperato per battere qualche moneta d’argento, massime in quei tempi che non s’usava tanta diligenza come ne i superiori. Certo che si V.S. trovasse Medaglie d’argento del secolo di Costantino con le letere CONOB., io ci farei qualche consideratione, mà questa non mi può muover punto dalla prima risolutione, oltre à che, si come a tempi di Cedreno (?), si credeva che l’Iscrittione di CONOB. si dovesse interpretare CIVITATES Omnes Nostrae Obediant Benerationi (come se non se ne vedesse con Iscrittioni diverse, TR. OB., TES. OB., AR. OB., MED. OB., SISC. OB., et altre infinite, che non puono ricevere tal commento) potrebbe essere che si fosse havuta qualche simile opinioni a tempi di detto Hadriano. V. S. vederà l’impronto del mio et la prego di favorirmi de l’impronto del suo per vedere si il conio è diverso, ò no. Quanto all’iscrittione pare che nel mio si scorga HADRIANUS PP I. (con trattino alto) ò pure DN. ADRIANUS PP. I (con trattino alto) che sarebbe forzi PP. primus se pure i vestigij del primo et ultimo carattero non sonno i cantoni della sede apostolica nella quale sia sentato [sic] [f. 87] detto Papa. In ogni modo quando non s’havesse risguardo al’vestigij del numero come dubito, crederei sempre che tal maniera di caratteri non potesse convenire meglio che ad’Hadriano primo, ò al secomso; et nel rovescio non starebbe forzi male di leggere VICTORIA DN. N. per dire che la croce sia la vittoria di nostro signore. Resta la figorina del fiume che V.S. disse rappresentare Daphne, al cui proposito non so di haver mai inviato Medaglie di Tyro, non ricordandomi di haverne mai veduto tal figorina: ben parmi di haverlene forzi mandato alcune dove erano certe colonne molto stranne, in una delle quali dove sacrificava Hercole appresso dette colonne legeva l’Iscrittione V.S., si ben mi ricordo PETITURUS REGNA DEORUM, laquale pure io stimai sempre essere battuta in TYRO, come s’è confirmato poi da una Medaglia del Contarini dove sonno dette colonne, et si legge chiaramente COL. TYRO. METR. nella quale si veggono assai distinte le Conchilie della porpora tanto famosa, che V.S. ci hà osservato; et poi che V.S. ci hà pigliato gusto, io non voglio mancare di mandarle un impronto d’una medaglia che hò trovata ne i miei ultimi viaggi di Caracalla giovane con Iscrittione IMP. CAES. M. AUR. A(NTO)NINUS AUG., et da rovescio un’albero frà le due medesime colonne, ben che molto più grosse, con lettere TYRIORUM, nella quale si vede sotto’l piano il Cane di hercole che devora la porpora, onde se ne prese la prima inventione, sendone restati coloriti i peli di detto cane, come racontano Æliano et molti altri lib. 13 e 35 Pollux lib. 1 cap. 4 et molti altri. Si vede questa conchiglia in molte altre mie Medaglie, et tagli antichi [f. 88] et particolarm.te a un taglio bizzarro ch’io hò in Sardonio vero Indico, cioè Pietra composta di Sarda e di Onyce, nel quale è scolpito questo animale mezzo di cavo, et mezzo di rillievo, in maniera che la Conchiglia si trova di colore bianco, et la polpa dell’animale di color rosso, onde giudico ch’habbino voluto rappresentare con i colori della pietra, la Porpora Tyria che era rossa e non tanto violacea quanto quella d’Africa. Et c’y hanno apponto (sic) quattro altri animaletti cioè una Squilla, un Granciolo, una Conchula, et un Polypo che sogliono servire di esca à detta Porpora, et di commodità a Pescatori per poter pigliare detto animale. Se si potrà spogliare il solfo, V.S. ne haverà un impronto, mà dubito che non sia lavorato sotto squadra. Della altre cose che si veggono in dette Medaglie di Tyro, credo che non sarà cosa facile di darne alcuna interpretazione molto sicura. Ho ben sempre havuto certa opinione che quelle colonne (disegno) fossero quelle famose Colonne di Hercole, dove erano andati i Tyrij più volte, et ne pigliano argomento grande d’all’auttorità (sic) di Strabone, al fine del suo terzo libro, dove raccontando la diversità che si trovava appresso gli authori à tempo suo per conto del sito di dette Colonne, dice che alcuni stimavano che ciò che l’oracolo chiamava Colonne d’Hercole, non era altro che i Promontorij che stringevan il mare et i Monti di Calpe et Abila, che erano l’uno nell’Europa, et l’altro nel Africa, che egli altri dicevano dette Colonne fossero due picciole Isole vicine a detti Monti, che gli Spagnuoli negavano che nel distretto si vedesse niente di simile à Colonne, et per ciò volevano che fossero due colonne di bronzo che erano nel Tempio di Hercole [f. 89] Gaditano. Finalmente gli risolve che siano le due Isolette che sonno nel distretto, ò vero i Promontori che formano detto Distretto; ò perché fossero dà principio stati posti Termino ò Torri in dette Isole ò Promontorij, ò perché delle Isole ò Promontorij con la loro eminentia rappresentassero in certo modo, una Colonna ò Colonnella. Et in effetto (sic) dice Plinio chiaramente lib. 6 cap. 31 che si chiamavano Colonne, certe Isolette del Mar Rosso. Descrive pure Herodoto il Monte Atlas, non molto lontano dalle Colonne d’Hercole, , dic’egli, __η, cioè angusto et terete attorno in modo di colonnata, anzi aggionge che gli habitanti lo chiamano Colonna del Cielo: mà non so se i Tyrij haverebbono voluto imaginare dette Isole ò Promontorij di forma terete come quella, basta si che le Medaglie non se ne scotano (sic) troppo, anzi pare che la diversità di proportione che si truova nella larghezza di queste Colonne, che sonno strette in certe Medaglie, larghe in altre, eguali in alcune, et ineguali in altre, pare, dico io, che mostri la difficoltà ch’havevano gli scoltori di rappresentare Colonne che fossero scogli, ò scogli che dovessero assomigliar a Colonne. Vide Maximo Tyrio Serm. 38 pag. 290 de COLLO Montis Atlantis vel pag. 266. V.S: mi favorirà del suo parere, se le piace intorno a questo particolare, et potrà considerare parimente se queste cose potessero rappresentare quelle due , cioè Pile, ò Cippi, ò Colonne l’uno d’oro, l’altra di Smeraldo che stavano dritte nel Tempio di Hercole Tyrio, et erano, dice Herodoto libro 2, de i più ricchi donarij che fossero in detto Tempio, delle quali fanno [f. 90] ancora mentione Theophrasto e Plinio: et vero che si potrebbe dire, che non fossero più in essere dette Colonne à tempo che furono battute le Medaglie, non trovandosi memoria che fossero conservate nell’espugnatione di Tyro, sotto Alssandro Magno. Dell’Arbero sic che c’è non saperei che dirne, se non è, ò il Popolo dedicato ad Hercole, ò quel oleastro onde egli si fece una corona in Olympo, come dice Plinio lib. 16 cap. 44. già che Hercole Tyrio si vede sempre coronato di olivo in Medaglie, ò Querco che pare, si veggano corone di Querco, si pur non sonno di Apio in molte Medaglie di Tyro, benché non siano in testa d’Hercole, il quale piantò du Querci segnalati appresso Heraclea di Ponto, secondo Plinio ibidem. Mà di particolar memoria di quest’albero io non ne trovo punto scrito in Philostrato lib. V cap. 1. dove descrive le colonne Gaditane, et l’opera d’olivo d’oro depignatione (sic) con l’olive di Smeraldo. Del Fiume non le dirò altro fuor che vidi in Londra appresso il Sig.r Gia. Colio Nipote dell’Ortelio, una Medaglia di Probo battuta in Siscia con l’immagine della Città, quasi simile a quella di Gallieno che le feci vedere altre volte, et ci sonno due mezze figorine di fiumi appresso, delle quali non si può dire ciò che V.S. mi opponeva allora che siano separati dal piano, perché si trova detta Città in meggio de i detti Fiumi circondata dall’acque che escono da i loro vasi, le quali si congiongono avanti della Città à che molto bene convengono le parole di Plinio lib 3. cap. 25. dicendo, Amnes memorandi CALAPIS in Savum (?) influens juxta Sisciam gemino alveo Insulam ibi efficiens quam Segestica appellatur; et a questo proposito havendo io acquistato un Antonino Pio simile a quelli dell’Erizzo [f. 91] con la Syria, et la figorina in atto tale che pare voglia notare, io le ne mando un impronto, et insieme un dissegno della fogura di Antiochia dell’Itinerario, cavato su l’originale con i colori che rappresentano l’acqua del Fiume che casca dall’urna, et si divide poi in diversi rami. Io non so se scrissi mai à V.S. che nella chiesa di S. Eusebio di Vercelli appresso Turino, si veggono pitture antichissime nel volto, et frà i segni celesti c’è rappresentato l’Eridano solamente dalle spale (sic) in su, si come sonno anco certi Fiumi, che mi ricordo havere veduti costì nelle Colonne Trajana et Antonina. Mà pure io sarò sempre prontissimo à passare a quella oppinione che V.S. vorrà costituirne; non sendo detto questo che per maniera di raggionamento, acciò V.S. me toglia le difficoltà che ci facevo, et che mi faccia partecipe delle sue raggioni, come ne la prego con ogni instanza, pur che possa segguire senza suo scommodo. Questo è quanto all’ultima sua lettera. Quanto alle precedenti io le rispondevo à pieno in quella lettera che se (sic) smarrita con la scatola nella quale io le davo un poco di raguaglio del mio viaggio d’Inghilterra et Fiandra, al cui mi risolsi all’impronta, non volendo tornarmene à casa senza haver veduto l’Inghilterra et la Fiandra; di modo che presi la posta verso Calais, et ivi trovai un’Ambasciatore (sic) di Francis che s’imbarcava, co’l quale passai in Inghilterra in sette ò otto hore, nella cui mi trattenni da due mesi, la maggior parte del tempo in Londra, dove io vidi certi studij preciosissime di cose antiche, et conobi molte personne letterate et degne di essere cognosciute. [f. 92] Passai poi in Hollanda in due giornate, et ivi andai a visitare il Sig.re Scaligero col quale mi tratenni alquanti giorni, et havendo veduto le cose del sig.re Abrahamo Gorleo, et le più famose Città di quegli stati, in tutte le quali, hò vedutto sempre di bellissimi studij di antichità, et delle personne curiosissime, et di molta dottrina. Venni con passaporti dell’Altezza di Borgogna, nelli paesi della loro obedienza; et sendomi fermato qualche tempo in Anversa, et in Brusselles dove non mancano Antiquarij, volsi vedere tutte le altre Città più famose di Brabantia, Fiandra et altre Provincie contigue; et andai a visitare il Duca d’Arscot il quale venne à posta à Beaumont (in) una delle case sue bellissima nella quale si serba il suo studio; et ivi mi tenne fin a dieci giorni et più, prima ch’io havessi finito di vedere tutte le sue Antichità, dà che V.S. puotrà considerare il numero infinito di esse. Di là venni riprendere la posta à Cambray, et arrivai a Fontainebleau à tempo per vedere la solennità del Batesimo del Christianissimo Delfino nostro. Del resto portai via quasi da tutte le parti qualche curiosità notabile, et radunai insime (con maggior facilità di quei signori ch’io non haverei creduto) tutte le monete d’oro et d’argento che si trovorono in tutti quelli studij appartenenti alla prima et seconda famiglia de i nostri Re Francesi, le quali ascendono sino al numero di quaranta et più in oro della prima stirpe, con alquante in argento dell’isetssa, et cinquanta in circa della seconda famiglia di Carlo Magno, tutte in argento eccetto una di Hludovico Pio. Le quali quasi tutte acquistai per via di baratto, con tutto che gli patroni di [f. 93] esse non fossero avezzi a privarsi mai delle loro cose, anzi fu sì buona la sorte ia che mi forzavano talvolta a prenderle in dono; fra gli altri il Duca di Arscot religiosissimo del resto in non privarsi mai di niuna cosa, non volse mai lasciarme partire di casa sua ch’io non accettassi in dono non solo tutte le Francesi ch’egli haveva sì in oro come in argento, ma ancora molte Greche d’argento et di metallo curiosissime fino a sessanta et più, senza che gli potessi allora dar altro in scambio che una sola Medaglia d’oro di quel IOANNES ch’hebbe d’Imperio ne i tempi di Pla. Valentiniano; la quale havevo comprata otto o dieci scudi in Anversa; della quale veramente a pena mi sarei privato senza il desiderio che havevo di mostrar qualche rissentimento presente dell’obligo mio verso quel Principe sì gentile et gratioso. Oltre a che ho portato ancora una migliaia si pronti curiosissimi da per tutto. In somma non si poteva fare un più bel viaggio, et più felice di quello ch’io feci all’hora. Sendo poi di ritorno à casa volsi valermene dell’occasione delle Galeri (sic) di Malta, et del passaggio di quel forfante Mazzei: s’io havessi saputo qualche ricapito sicuro in Ostia, questo non sarebbe avvenuto, che non mancavano Cavalieri honorati miei amici, ch’haverebbono consignato fedelmente detta scatola in Ostia; ma non sapevo a chi farcela ricapitar, et per ciò prego V.S. à procurare qualche buon ricapito in ostia, ch’allora non mancaronno passaggi di Galere per inviarle ogni dì qualche cosa di nuovo. Che per le [f. 94] lettere non occorre cercar altra via più commoda, né più sicura di quella del Sig.r Jaquet maestro delle Poste di sua maestà in Lione. In somma io le mando di nuovo i libri ch’ella desiderava di Pietro Pithoro (?), di Antonio Pisone, di Fulvio Orsini, et di Abrahamo Gorlaeo, et di più quello di Giacomo Strada, nel quale non si vede molta fedeltà; ma nondimeno l’ho voluto mandare a V.S. quando non fosse per altro che per farle vedere che da questo a (sic) preso nota ad litteram, il povero Orsino quando ha fatto mentione di Medaglie di tutti i trenta Tyranni; o poco meno nelle sue note ad Trebellium Pollionem, donde ha preso copia poi l’Occone in questa seconda editione; di che mi ricordo havere veduto meravigliare V.S. altre volte mostrando grandissimo desiderio di sapere dove potesse haver veduto l’orsino tante Medaglie rare incognite ad ogni altro che a luy (sic). C’è ancora un libretto di Levino Hulsio dove gli errori sonno infiniti, ma bisogno (sic) haver ogni cosa; et di più l’indice delle Medaglie Consolari di Abrahamo Gorlaeo nella gionta del quale V.S: troverà alcune Medaglie di Sebastiano del Piombo, ch’egli voleva fare scancellare da i rami quando ne lo feci accorgere, ne so come sianno venuti fuora i libri senza essere emendati. Nell’altro esemplare della sua Dacthyliotheca, che s’è perduta nella scatola, c’era gionta di alquanti fogli, stampati doppo la prima editione, li quali non ho potuto più ricuperar di nuovo, me ne dispiace. Nel libro dell’Orsino de Viris Illustribus V.S. troverà la gionta dove è la Medaglia di Cicerone con i discorsi suoi tradotti in latino da Gio: [f. 95] Fabro, li quali se V.S. non gli ha già veduti le daranno assai trattenimento in ogni modo: et per ciò che l’hebbi in Anversa, et che parlando con Gallaeo intesi che c’erano ancora certi rami che non s’erano stampati, et fra gli altri un Pompeo del quale Gaveano (sic per haveano) havuto l’ordine dall’Orsino prima che morisse, di romperlo et di non stamparlo: io glielo feci stampare a posta con alcuni altri, et n’ho fatto legare copia nel libro che le mando; stimando che quello sia il Pompeo scolpito da Cesare de i Camei. Ne mi acquetai con questo, anzi intendendo che l’Orsino havea ordinato che si stampassero due o tre diversi ritratti di una medesima persona, secondo che se ne trovavano in diverse Medaglie, statue o tagli; et sapendo che gli dissegni erano ancora tutti in Anversa, io gli volsi vedere et ne feci dissegnare una dozina de i principali, de i quali manderò copia a V.S. quando le piaccerà.Si aspettano varij libri di nuovo in questo genere, et subito non mancherò di mandarne a V.S. che le capitaranno presto se habbiamo ricapito in ostia; dispiacendomi sommamente che queste non siano cose degne di lei, ma ella mi farà gratia di accettare la buona volontà; et se mi fa vedere l’indice di tuta sic la sua serie, o di quelle che le mancano, io procurerò di ricuperarle tutte quelle ch’io potrò ricordarmi di haverle vedute. In scambio di che ho da pregare V.S. M.to Ill.re di mandarme de gli impronti di tutte le Monete o Medaglie d’oro et d’argento che potranno ritrovarsi in man sua, o delli suoi amici, battute a tempi delli nostri Re Francesi della prima et seconda famiglia, et non solo di quelle, [f. 96] ma ancora di certe altre che gli Antiquarij sogliono chiamare Gothice (sic), delle quali havendone io radunato più di docento fra oro, argento et rame, ho comminciato di cavarne qualche constrotto, ma non ardisco palesarlo ch’io non ne habbi messo insieme maggior quantità per maggior confirmatione del mio concetto; massime sendo per lo più di sì goffa maestria che difficilmente vi si può riconoscier (sic) niente a pieno senza haverne tre o quatro (sic) simili con le istesse imprese et Iscrittioni. Per ciò si V.S. s’imbattesse in alcune di esse che fossero doppie, non lascij di gratia di farle improntar tutte, se bene ce ne fossero anco quatro o sei per sorte. Anzi quando fossero in mano di persone che se ne volessero privare, et che V.S. non si diletasse più che tanto di queste sorti di Medaglie, V.S. m’obligarebbe infinitamente degnandosi comprarle tutte per conto mio, et massime quelle dove resta qualche apparenza di lettere; et io non mancherai di risarcirle subito la spesa; il che sia deto anco delle Francesi, quando V.S. non habbia gusto di tal cose; ch’altrimente io non comportarei che V.S. si privasse d’altro che dell’impronto. Et accioche V.S. possa più facilmente distinguerle, et comprendere l’intentione mia, io le mando una douzina (sic) di pronti di Medaglie delle due prime famiglie regie Francesi, et altretante di quelle che la maggior parte de gli Antiquarij chiamano Gottiche. C’è (sic) n’è anco di una altra sorte di Gothiche di quei Re loro che regnorono in Italia, delle quali ben ch’io ne habbia buon numero, nondimeno se V.S. ne haverà delle doppie, mi farà favore singolare di farmene parte, o almeno [f. 97] de gli impronti; pur che non sijno di quel Theodahato ordinario del quale io ho già tre o quatre (sic) belle. Mi dispiace sopra modo di doverle dare tanta brigha et tanta importunità, ma suplico V.S. di volermene scusare pro sua amorevolezza, et di voler compatir in certo modo a la passione mia verso la patria et al desiderio che ho di togliere qualche parte dell’ignoranza che si ha delle nostre cose più vecchie.Restami hora di rispondere a due lettere di V.S. l’una delli 26 Gennaro, et l’altra delli 16 Maggio dell’anno passato, con un scatolino pieno di cose curiosissime, et di grandissimo mio gusto, et sopra tutte quella Medaglia di Hadriano con SAEC· AUR· onde a V.S: m.to Ill.re ho da essere obligatissimo in vita; in scambio della quale io le mando l’impronta di una Medaglia d’oro di Trajano s’incera (sic) appartenente al Sig.r Willerio di Tornay, col rovescio della Phenice ornata del suo circolo, o corona radiata come dice Lactantio parlando di questo animale aequat_ toto capiti radiata corona; Phoebei referens verticis alta Deus. Simbolo di eternità, quel che non si vedeva in quei secoli, che in quelli di Costantino se ne veddono molto: Et pare che tenga un serpente ne i piedi che mostra ancora che sia così utile al mondo, come bello; io non l’havevo mai veduto rappresentato dal naturale sì diligentemente; onde si vede che non ha coda, et ha il collo et le gambe molto longue, come gli uscelli di natura aquatica (sic), et per ciò non doveva haver havuto bona relatione il Plinio, quando ne fa comparatione con l’Aquila, et che gli fa una coda; che nel resto par bene che non li convenga male, massime quando dice, cristis faciem, caputque plumeo apice honestante. [f. 98] Il discorso suo intorno la puoca fede che puono fare le Medaglie che hanno due teste l’una sopra l’altra, per provare la dignità della mano destra, è tanto essatto et tanto diligente, ch’io non credo che ne possa essere altro che ciò ch’ella giudica, restandone io appagatissimo per conto mio. Mi rallegro dell’acquisto fatto da lei di quel si bello Parazonio antico, et le lascio imaginare con che divotione io ne aspetto il dissegno che così cortesemente le piace offerirmene; accrescendo ancora il contento mio l’opinione che ho che questo sio forzi il medesimo Parazonio che fu trovato in quei tempi, vicono a Roma in un sepolcro nel quale si vedevano ancora le reliquie di un uomo armato tutto d’arme di metallo, se ben mi ricordo, d’haverlo veduto così all’hora su i riporti; giovandomi credere che le dette armi sijno pervenute tutte in mano di V.S. Le manderò con questa il dissegno della mia corona antica, tale quale si puotrà haver, che no habbiamo qui la commodità de i Pittori, che si ha in Roma; V.S. non lascierà però di accettarlo si le piace, come se fosse fatto meglio, et conforme al mio desiderio, dispiacendomi non poco che non si rappresenti l’effetto di questa opera come sarebbe convenevole. Et per conto della opinione di V:S. che fosse veramente Corona Imperiale ma finta et dicis causa, posta nel sepolcro, non è senza raggione; al cui proposito (se bene non è argomento necessario) io le dico di haver veduto in Pariggi i sepolcri di varij Re antichi di quattrocento et più anni, sopra le statue de i [f. 99] quali giacenti su le sepolture erano affisse certe corone di metallo indorato per rappresentare le vere corone d’oro portate in vita: et ne ho veduto anco delle simili dentro le sepolture istesse sopra le ossa di varij Prencipi, et Prencipesse delli medesimi secoli. Pure per non parere in certo modo invagghito delle cose mie, io non ho l’ardire di assicurare niente, fin che habbia veduto le altre prove che le piace promettermi per questo particolare, et per gli Anneletti minimi, il che la preggo non vaghisca [?] se non con ogni suo commodo. Del Diogene io tengo certo, come le dissi altre volte, che possa essere una Larva comica rappresentante l’effigie di Diogene dal naturale, si come si rappresentavano in dette maschere le imagini di Bacchi, di Pane, di Sileno, et di altre persone che si potevano riconoscere al solo aspetto: et lodo grnademente l’altro intaglio che ha tanto somiglianza con questa maschera. Ma credo che sarebbe buonissimo che V.S. ne facesse comparatione con un marmo che soleva essere costì altre volte nella Vigna del Card.le di Carpi; dove ne coperchio di una sepoltura era rappresentato avanti un portico Diogene nella tara [?] co’l bastone et il manto appresso, insieme con un cane; io ne mando uno schisso (sic) a V.S. cavato da un mio che è tanto scancellato nella parte della testa, che non si conosce più come era la barba; et il peggio è ch’io non me ne ricordo molto, et forzi ch’era rotto in quella parte. Ma V.S. potrà suplire questo diffetto (sic) andando a rivedere il marmo a suo commodo; di che la prego poi volermi dar conto, et mandarmene anco un dissegno più diligente, massime per il particolare della testa, assicurandola che [f. 100] se non l’ha già veduto ne riceverà grandissimo piacere, et ci potrà osservare che era di terra il dolio di Diogene, et non di legno; onde con raggione dice Juvenale Sat. 14 DOLIA nudi NON ARDENT Cyniciecc. Sensit Alexander TESTA cum vidit in illa: et che si serbasse il vino in FICTILIBUS DOLIIS, non solamente lo confirma Plinio lib. 35 cap. 13, ma aggionge anco che defunctos sese multi fictilibus dolijs condi malveri ecc. come s’havesse voluto assestare Diogene questa sepolchrale habitatione. Ma basta che di lui parlando San Girolamo 2° contra jovianum dice che habitabat in portarum vestibulis et PORTICIBUS CIVITATUM; il che è benissimo rappresentato nel marmo per quella fabrica di quatro colonne che ci appare. Del bastone, del Pallio, della Sacoccia, et del Cane sono infiniti gli Authori Greci et Latini che ne parlano, et fra gli altri ce n’è due Epigrammi Greci assai belli nel lib. 3 Antologiæ, et nell’Ausonio Epig. 52 Pera, polenta, tribon,, baculus, scyphus, arcta supellex Ista fuit Cinici; et nell’Epitaph. 31 Diogenes, cui pera penus, cui dolia sedes, Additus est iustæ nunc CANIS Erigonæ. Et chi sa che quel distico di Martiale lib. 14. 86 quando dice, Ne mendica ferat BARBATI prandia NUDI, Dormiat et tetrico cum CANE pera regat, non sia a proposito del nostro Diogene igniudo e barbato, et del suo cane. Ma del bastone, del pallio, et del sacchetto, pare che ne passasse l’usanza alli Monachi Eremicoli dell’Egitto (gli quali erano i Philosofi Christiani) poi che a loro gli attribuisce Cassiano lib. 1 cap. 9 et Collat. XI cap. 3 Instit. Monachor. [f. 101] nel libro del Sig.re Folvio Orsini V.S. vedrà mentionata una Medaglia di metallo Contornita, nel cui rovescio si vede un vecchio sedente che ha una clava di Hercole in mano, la quale non è male appropriata a Diogene come V.S. potrà vederci; et per ciò che l’havea fatta dissegnare il Sig.re Folvio da essere stampata insieme con l’altre cose, io ne feci fare la copia in Anversa a posta per V.S. M.to Ill.re insieme con un’altra cavata da un intaglio mentionatoci ancora; sopra il cui dissegno era scritto DIOGENES PHUS (con tratto lungo sopra) di mano propria dell’Orsino, et non Pitagora, come pare che voglia affirmare il Fabro, contra la mente dell’Authore, del quale egli non è stato che tradottore; benche pare che gli si attribuisca l’intera lode di questo commentario; del quale havevo io molti fragmenti composti in volgare dal Sig.re Folvio, li quali si trovano tradotti ad verbum in questa edizione. In somma non stimo che le debbano spiaccere questi schizzi et principalmente quello della Medaglia, con tutto che l’Orsino ci habbia fatto fare il naso quasi aquilino per accomodarlo al suo marmo già stampato: che non credo che l’originale possi rappresentare fedelmente in testa così picciola, come deve essere questa, se il naso è più aquilino che scimo. L’altro lo mando solamente accioché V.S. vedendone mentione nel Fabro non desideri di vederlo; che in vero io non posso credere che sij fatto per Diogene, poi che in un de i Camei antichi del già Patriarcha di Aquileia stampati in certi fogli separati a Venetia, si truova questa medesima figura con quatro o cinque altre, et certe vittime che non hanno a far ponto con Diogene. [f. 102] Et forzi che non trovandosi mentionata beretta fra la supellettile di Diogene, ne che gli comparisse altrimente che mezo igniudo, potrà anco essere che non haverà più che fare con Diogene l’altra figura ancora della Medaglia, che ha tunica sotto il pallio et beretta in testa. Quanto al Carlo Magno ho tante cose da dire a V.S. che non so da donde prencipiare. Pure per ciò ch’ella mi parla d’una Moneta d’argento veduta in mano di un Fiamengo con la parola MAGNUS, io le dirò con licentia se le piace che me sarebbe cosa molto difficile di credere che non sia o battuta per altri Carli della sua stirpe, et in tal caso poco sincera in quella parte di Iscrittione, o battuta longo tempo doppo mmorte; poiché si truova bene che gli fu dato in Roma fra molti altri titoli quello di MAGNUS, mentre l’incoronarono Imperatore, ma non credo che si truovi ch’egli l’accettasse mai mentre visse: anzi pare che solamente doppo morte gli fosse appropriato, il che si vidde pratticato in molti altri Re posteriori: et in effetto gli attribuisce Eginardo che era suo contemporaneo di (sic per il) titolo di Magnus solamente nella Iscrittione della sepoltura; et quel Monacho Engolisme_e (?) stampato dal Pithoro (?) parlando della sua incoronatione nella quale era stato acclamato dal popolo KAROLO AUG. A DEO CORONATO MAGNO ET PACIFICO IMPERATOR ROM. VITA ET VICTORIA; aggionge distinctamente, ANTEA enim Domus Carlus vocabatur REX FRANC. Et PATRICIUS ROM. sed post laudes, a D.no Ap.lico, more antiquorum Principum adoratus est, atque ablato Patricij nomine, IMP. ET AUG. est appellatus, senza dire MAGNUS; il che vien confermato da molti altri, et in particolare da molti Privilegij suoi, li quali si ritrovano ancora hoggidì [f. 103] in essere in molti Monasterij del suo Imperio: et io ne ho veduti in diverse Abbatie di Francia et di Fiandra, parecchi scritti in quelli medesimi tempi, in certo carattere Francese di lettura molto difficile, della quale non di meno havevo pigliato certa prattica tale, che non ci mancavo molto; et in essi ho trovvato sic spesse volte secondo la diversità delle date, hora solamente REX FRANCOR. VIR INLUSTER, hora REX FRANCOR. ET LONGOBARDOR. VIR INLUSTER, hora REX FRANCOR. ET LONGOBARDOR. AC PATRICIUS ROMANOR. et talvolta IMP. AUGUSTUS solamente.Ma non ci ho mai trovato il titolo di MAGNUS; et così ne anco in nissuna Moneta sua, ancora che io me ne ritrovi una dozina tutte diverse l’una dall’altra. Si come in Moneta di Hludovico suo figliolo non si troverà mai il titolo di PIUS, loquale pure gli fu dato sempre doppo morte. Sendo il simile di molti altri Re Francesi a qualisi sonno dati varij titoli non accettati da essi mentre vissero, et continuati poi solamente doppo morte. Hor che non possa essere di Carlo Magno quella Moneta che V.S. dice, non stimo che sia lieve argomento ancora.L’osservatione che V.S. ci fece del mancamento della barba, trovandosi qualche sorte di mentione di quella in varij Authori, et specialmente un Privilegio concesso da lui all’Abbate di S.to Albino di Angers, nel quale si fa mentione, che per maggior testimonio furono posti de i capelli della sua barba nella cera del suo sigillo, liquali vi si veggono ancora: io non ho veduto questo, ma ne ho relatione da personne (sic) segnalate, et si truova scritto anco ne gli Annali Andegavensi nella seconda parte, al capitolo nono. Et so certo di havere veduto io de [f. 104] i simili capelli in alcuni suoi sigilli nella Abbattia di San Dionisio, quali mi facevano talvolta molto impedimento quando ne volevo cavare l’impronto; ma all’hora io non havevo questo aviso, et certo non ne era fatta mentione nello istrumento, ch’haverei osservato più diligentemente la positura, longhezza et colore di essi, un’altra volta ci si potremmo forzi imbattere, et supplire questo disfetto.Basta sì che si trovano hoggidì varij ritratti buoni et legitimi di Carlo Magno con la barba, non molto longua veramente, ma però tale che non si può dire che sij senza barba; come è quella testa che si vede nella Moneta d’argento che V.S. dice et nella sua Bolla di piombo. Hor questi sonno di quei tempi, et quello che è più da stimare in Mosaichi et Gioie, et ne i suoi proprij sigilli scolpiti in cera commune (non su spago come si usa hoggi) ma su la istessa carta pergamena nell’ultimo cantone di abbasso, nel quale si facevano non due fissure in forma di croce, accioche fosse più difficile di disgiungersene la cera che ci si metteva sopra, in maniera che ne passava una parte per le fissure sidette, laquale dilatandosi poi nel rovescio della carta con la compression dell’annello, non poteva più levarsene senza andare in pezzi: il quale cpstume a (sic) durato in Francia sino all’anno 1112 che Ludovico Crasso cominciò di usare i sigilli di cera pendenti; sì come ne fanno fede Petrus Capellanus, et gli Istromenti fatti a quel tempo, de i quali ne ho veduti a centinaia. Et benché alcuni moderni habbino scritto che Carlo Magno portasse il suo sigillo nel pomolo della sua spada, non ne ho trovato mai alcuna authorità che vaglia sic, et per ciò stimo che siano scolpiti detti sigilli col suo proprio annello, sì come ne fanno fede [f. 105] gli istromenti stessi, ne i quali si leggono sempre queste parole o quasi simili, Et ut haec auctoritas ecc. firmior habeatur, nostrisque vel futuris temporibus melius conservetur manu propria subterfirmavimus et DE ANULO NOSTRO sigillari iussimus. La forma di detti sigilli può farsi ancora giudicio assai probabile che la testa del Prencipe era scolpita in una gioia di grossezza di uno Amandola, con guarnitione d’oro che sopra avanzava, scolpita sopra la pietra, di un poco d’altezza et di larguezza proportionata per contenire la iscrittione che c’era scolpita sopra. Io ne mando tre pronti a V.S. cavati da tre diversi istromenti dell’Abbattia di San Dioniggi di Francia, ce n’erano molti altri, ma erano parte rotti affatto, et parte scancellati in maniera ch’io non potei cavarne pronto che vagliesse. Nell’una che era molto fragmentato (si) si vede la testa di questo Prencipe di rilievo assai grosso, con la barba tonda, et distinta in cordonnetti all’usanza antica; et c’è qualche vestigio di corona o fascia tondeggiatta (sic) attorno la testa, la cui capellatura è molto mediocre, et crespata: ci appare anco il Paludamento fermato su la spala dritta, ma la iscrittione è quasi tutta andata in pezzi. Era rotta anco questa cera in due pezzi, et perciò non è potuto venir bene il naso. Era dattato (sic) in fondo l’istromento dove era affisso questo sigillo, Mense_ Octobr. Anno XI et Quinti Regni nostri Actum Goddingavill_ in Dei nomine feliciter amen. Cioè l’anno undecimo del Regno Francese, et il quinto del Regno Longobardico. Ne gli altri due impronti i quali vengono da sigilli più conservati, ma su i qualinon era mai stato compresso [f. 106] l’annello tanto che bastasseper fare penetrare la cera sino al fondo di tutti i cavi di esso annello, si veggono i proffili (sic) della medesima testa, et la iscrittione intera che dice + XRE PROTEGE KAROLUM REGE (con trattino sopra) FRANCR. Erano dattate in fondo queste charte, l’una Octavo decimo Kal. Octobris, Anno Sexto, Regnante D.no n.ro (con trattino sopra) Carolo gloriosissimo Rege. Actum Dura Palatio publico ecc. Et poco di sopra si vedeva al solito come in tutte le alre di quel secolo il Monogrammata del nome del prencipe, fatto di mano propria del Prencipe in questa sorte (disegno del monogramma) annotato poi di mano del Notaio in lettera majoscola in questa maniera Signum (disegno del monogramma) Gloriosissimi Regis Caroli Gloriosissimi Regis. Et poi sotto scritto et paraffatto [?] dal Vice Cancelliere così, Ego Wigbaldus ad vicem Hiterii recognovi. L’altra carta era dell’anno ottavo et secondo, in Theodone villa. Si ritrovava anco il medesimo sigillo in un istromento fatto Idus Januari__ Anno primo Regno n.ri (con trattino sopra) Actum Aquisgrani Palatio publico ecc. Onde stimo che l’imagine rappresenti il Prencipe di età di venticinque anni in circa et non più, benché la grossezza di questo capo et specialmente delle guancie paia in certo modo che questa testa potesse rappresentare un huomo più attempato, il che vien forzi da alcun diffetto della cera o dall’imperitia de lo scoltore, ch’allora non potevano essere eccellenti; o forzi anco della gran corpulenza del Prencipe la quale pure non è disordinata in Capitano di tal valore et vigore come è stato quello, fin dal principio della sua età. Del resto poi gli altri ritratti di questo Prencipe che si ritrovano costì ne i Mosaichi antichi fatti da Papa Leon III nella Chiesa di Santa Susanna, et nella sala Leonina [f. 107] di San Giovanni Laterano dove sonno hoggi i Penitentieri sonno tanto somiglianti a questo, se ben sonno fatti nella sua età di cinquantacinque anni poco più, che non credo ci possa restare dubio alcuno. Et benché sia in potere di V.S. di vedere gli originali ogni volta che le piaccia, pur che non si sieno guastati con le fabriche nuove di Papa Sisto e d’altri, ho voluto nulladimeno mandarle copia de i dissegni che ne ho havuti in Fiandra; accioche V.S. gli (sic) possa confrontare con gli istessi Mosaichi, et che si degni farne cavare de gli altri con maggiore diligenza, et farcene parte a suo commodo, ch’io ho un desiderio incredibile di godere un ritratto perfetto di questo nostro Heroe Francese. Non dierò niente a V.S. per adesso di quella Tavoletta quadrata, che gli si pinge dietro alla testa simile a quella della quale parla Jo. Diacono nella vita di San Gregorio, che si metteva per dinotare ch’era fatta la pittura in vita della persona dipinta; ne anco del tondo che si vede dietro alla testa di San Pietro, del quale se ben hanno detto cose belle il Baronio, Antonio Augustino, il Scaligero, et altri, pure un giorno con maggior commodo spero dirle alcuna cosetta forzi di suo gusto: sì come anco de lo stendardo, et de gli Habbiti Imperiali di Carlo Magno. Solamente io la pregarò di fare avvisare minutamente se le Rose de lo stendardo sonno realmente rosse o no, o se tirano punto al giallo: se ciò che è in testa del Principe, è una celata, o vero una beretta, o pure capellatura biancheggiante o canuta; se ciò che par fiore in cima la testa, è la crista (sic) della celata, o un fiocco di capelli o no: [f. 108] et del resto della sembianza io ne me rimetto alla sua solita isquisitezza, pregandola sopra tutto di fare vedere diligentemente quella parte di iscrittione che è fra la crocetta, et la voce CARULO, dove il Pittore haveva posto quatro punti, ch’io stimo che si sia forzi errato supplendoli con le lettere DN. et che non vi sia altro che una haspiratione; havendo io una Moneta d’argento nella quale si truova scritto + HKARLUS REX F. sì come si criveva HLUDOVVICUS, HLOTHARIUS ecc. Di più si vedde in San Dioniggi l’Altare maggiore, o per dire meglio la guarnitione del sepolcro di quel Santo con i suoi compagni fatta in argento indorato et smaltato fin da tempi di Carlo Magno, sì come giudicai io da certi fragmenti di Iscrittioni che ci restano ancora, il che nisciuno haveva mai avvertito prima di me, et ci si leggeva in Caratteri di smalto negro con la estremità rosse (sic) in campo d’argento dorato + BERTERADA DMVENERANS XPOQUE SACRATA+ et poi in un altro lato (lettere ruotate di 90°) PROPIPPIHORE(OEFEL)ICISSIMO QUONDAM, et altre cose: et perciò che in quelli ornamenti c’erano delle gioie di grandissimo prezzio et molti Camei antichi bellissimi, et fra gli altri uno di Augusto, et uno di Claudio di straordinaria grandezza quanto puiò capire la palma della mano; in mezzo de i quali, et quasi nel più apparente luoco di tutta l’opera era sortito [?] un Cameo di Agata non molto più grosso di una mandola intiera, nel quale era scolpita una testa che rendeva una vista molto bella et vaga, per incontrarsi i diversi colori dell’Agata in modo che la faccia era bianca, i capelli et barba biondi, et la Corona di Alloro nera, il campo sotto era nero quasi nera, il campo sotto era nero, et nell’orlo di tutta [f. 109] la pietra haveva conservato lo scultore un filo de i tre colori di medesima altezza con la corona neggregiante di sopra, rosso in mezzo, et bianco in fondo; et perciò che l’opera non mostra quella buona maestria de i tempi antichi, anzi più tosto que’ medesimi secoli Carolini; et masime che hai poi molto dell’aria di Carlo Magno, et che si truova che haveva fatto fare quell’opera sua madre Berterada o Bertha, io giudicai facilmente che potesse rappresentare l’effigie di Carlo Magno: se pur non è di Pippino suo padre, poi che per esso pare che fosse fatta la spesa di detta Berterada sua moglie: ne sarebbe gran cosa che il padre somigliasse il figliolo così bene. V.S. ne vederà un trasonto che le mando, il quale non è troppo ben venuto, ma non si poteva fare con quella commodità che si richiede, et me ne dirà, se le piace, sua opinione.Acciò che non paia stranno a V.S: che si siano conservati sigilli cerei di ottocento et più anni; V.S. ha da sapere ch’io ne ho veduti de gli altri più vecchi assai di Clodoveo secondo figlio di Dagoberto, di Childeberto, Chilperico, et altri. Et per conto de i successori di Carlo Magno, io ne ho veduto di Hludovico Pio suo figliolo, di Hlothario suo nipote, di Pippino Re di Aquitania fratello di esso, et di Calvo (sic per Carlo) Calvo l’altro fratello; et poi più abasso di Hludovico Balbo (?), di Carlo il semplice, di Ludovico Oltramarino, et de gli ultimi di quella stirpe. Et in seguitto di questi, di Roberto, di Henrico I, di Philippo I, di Ludovico Crasso, et così di mano a mano quasi tutti fono al Re d’oggi. Et ne mando a V.S. gli impronti di due o tre per sorte di Hludovico Pio, di Hlothario, di Carlo Calvo [f. 110] et di Carlo il semplice, acciò che V.S. vegga gli aspetti loro tanto rispondenti alle qualità che gli sonno attribuite dalla posterità. Che quando non si trovassero per essempio di Hludovico Pio nelle quali si vide pure il medesimo ritratto che è nel suo sigillo, non ci restarebbe alcuna difficoltà per confirmatione di esso: apparendo pur troppo in questo ritratto la dolcezza et benignità di quel Prencipe, si come una certa fierezza et magnanimità in quello di Carlo Magno; et al contrario una schiocchezza et dappocagine incredibile in quello di Carlo il semplice. Et in quello specialmente di Hlothario V.S. potrà osservare che bisogna che venghi da qualche gioia molto preciosa poiché per non sminuirla, volsero più tosto lasciarla tutta informe, cioè di figura più triangolare che ovata; il che non dovette avvenire in quelle di Hludovico Pio, et de gli altri, per le quali è credibile che ci fosse della pietra di avanzo per farle ovate proportionalmente. Né si può dubitare della sincerità di essi, havendone io trovati di un medesimo Imperatore in varij luoghi di Francia et di fiandra ne i quali si vede sempre non solamente la medesima effigie et iscrittione, ma ancora l’impronto del medesimo annello con tutte le sue misure; ben che le potesse parere talvolta minori l’uno dell’altro, per rispetto che la creda che gli facevo formare si sminuisse fa poco tempo; et spesse volte non havevo tempo di farci buttare il solfo sopra quel medesimo giorno che si erano formati, anzi talvolta per [f. 111] essere compressa nel portarla da un luogo all’altro rendeva l’impronto più largo o più corto che non doveva.Le Iscrittioni poi sonno di carattere proprio di quei secoli, et sempre le istesse.
In Carlo Magno + XPE (con trattino sopra) PROTEGE CAROLUM REGE (con trattino sopra) FRANCR.
In Hludovico Pio + XPE (con trattino sopra) PROTEGE HLUDOVICUM IMPERATORE (con trattino sopra).
In Hlothario + XPE (con trattino sopra) ADIVVA HLOTHARIUM AUG.
In Pippino suo fratello + XPE (con trattino sopra) CONSERVA PIPPINUM REGEM.
In Carlo Carlo Re + KAROLUS GRATIA DI con trattino sopra REX.
In Carlo semplice + KAROLUS GRATIA DI con trattino sopra REX. Et così de gli altri.
Di Carlo Calvo solo ho veduto due sorte de sigilli cerei, l’uno fatto quando comminciò di regnare; l’altro doppo haver acquistato l’Imperio; et un terzo pendente che si chiamava Bolla, forzi l’istesso, se così parrà a V.S., con la sua Bolla di piombo, pigliandone argomento non picciolo non solo della calvitie o diffetto de i capelli di testa, dalla somiglianza che ha con il sigillo cereo fatto in medesimi tempi, lo quale ho trovato in Fiandra nell’Abbatia Marcianense, nel quale si legge + KAROLUS (GRATIA) DI con trattino sopra (IMPE)RATOR AUGUST. et è fatto l’Anno XXXVIII Regni et Imperij II°. Et anco in certo aere che ha con il primo sigillo fatto nella sua età giovanile; benché l’imperitia de gli scoltori di quel (sic) [f. 112] secoli et forzi anco la poca larghezza della pietra dove si scolpiva, possa haver fatto restare quel capo molto lunguetto (sic) disproportionato della strettezza, et per conseguenza possino haverci lasciato delle difficoltà grandi: ma ancora dalla Iscrittione del rovescio, et in particolare della voce RENOVATIO, della quale oltre lo scritto già, io le dirò che fra molti Privilegij di questo Prencipe, che si serbano nell’Abbattia di San Cornelio di Compendio, c’è (sic) n’è uno chiamato communemente da quei Monachi, La Chartre dorée, il quale è il più ampio di tutti, et il più liberale, Dattato III Non. Maij Anno XXXVII Regni Domni Regis Karoli Imperatoris in Francia et in Successione Hlotharij Regis VII et Imperij secundo. Actum Compendio Palatio Imperiali in Dei noie (con trattino sopra) feliciter Amen. Nel quale non si fa mentione di Annello come in tutti gli altri che hanno il sigillo in cera, ma si leggono queste parole, Et ut haec nostrae donationis auctoritas ac Edicti Constitutio, atque immunitatis robratio ? per omnia tempora inviolabiliter in Dei nomine conservatur, veriusque credatur Manu propria subterfirmavimus et BULLARUM NOSTRARUM IMPRESSIONIBUS insigniri iussimus. Et poi seggono (sic) le signature di questo Imperatore, et del Re suo Nipote Ludovico suo Nipote. Ma cò che è molto degno di nota, si è che il Monogrammate di Hludovico (disegno del monogramma) è fatto con inchiostro negro all’ordinario, ma il Monogrammate dell’Imperatore suo zio (disegno del monogramma di Carlo Magno) è fatto con inchiostro rosso tirante al pavonazzo; ch’io stimo certo fosse il sacro encausto riserbato alla sola persona sola dall’Imperatore (sic), o del suo Gran Cancelliere, poiché sotto c’è la signatura del Notaio che dice, Ego Audacher [f. 113] Notarius ad vicem Gauzlini recognovi et subscripsi; et che sopra l’istessa signatura si veggono mischiati certi paraffi del medesimo encausto rossi, li quali pare che si possino leggere così Gauzlinus. Del resto nell’ultimo cantone d’abbasso del pergameno (sic) non c’è apparenza alcuna di fissure in forma di croce come si truova in tutti gli altri che hanno havuto sigillo di cera: ma nel meggio del fondo della carta detta charta, si veggono tre buggietti tondi per gli quali passava all’hora il spago che sosteneva la Bolla, come si usa hoggi costì.La qual Bolla per quanto affermano tutti i Monachi era d’oro, et fu robbata solamente da cinquanta anni in qua: et in fede di questo mi fu mostrato una Sententia del Parlamento di Pariggi pronunciatavi fin dal Anno M.CC.LXXI nella quale si fa mentione di detto Privilegio et della Bolla Aurea che ci pendeva. Et ho veduto delle copie di esso privilegio fatte autenticamente in presenza di molti Notari, et una specialmente fatta l’Anno M.D.XXI nelle quali si fa mentione di detta Bolla d’oro. Et oltra di ciò mi furono mostrate certe lettere originali cavate dal processo che s’era principiato contra un certo Pellonio secretario dell’Abbate accusato di questo latrocinio, et di altre cose.Dove affermava il Priore del Convento che detta Bolla pesava otto o dieci Ducati d’oro in circa; et che c’era espressa da un lato, une Medaille, dice gli (sic), per dire il capo del Prencipe, con la iscrittione, Karolus Imperator, et dall’altro lato, gli pareva, dice egli, che c’era scritto, Renovatio Imperij Roma et Franc. Hor lascio adesso imaginare a V.S. se si poteva ingannarsi o no il Monacho, secondo l’idea che ne potea haver ritenuto in mente, [f. 114] senza haverla avanti gli occhi, forzi qualch’anno doppo haverla veduta. Et se può essere che s’habbia da intendere che venisse dalle medesime forme dalle quali vienne la Bulla plumbea di V.S: M.to Ill.re o pure che possa essere con tutto ciò di Carlo Magno benché se vi si truova qualche somiglianza con Carlo Magno, non deve essere cosa nuova che il Nipote s’assomigli alquanto all’avolo. Pure del tutto mi rimetto al giuditio suo, pregandola di scusarmi s’havessi per sorte fatto errore in questo; che non voglio sia detto per altro che per maniera di raggionamento, et di discorso, nel quale par che consiste la maggior dilettatione che s’habbia dalle Antichità.Io credo che chi cercasse diligentemente dell’Abbattie più vecchie d’Italia se ne trovuarebbono sic de i simili parecchie; et forzi che s’haverebbe qualche cosa più rara. Io prego V.S. di farci un poco di diligenza, et di darmene aviso, incontrando cosa degna, ch’io mi risolverò forzi un giorno di dar fuora alcuna cosa in questo proposito, havendo già comminciato di far stampare uno di quei Hludovici Pij solamente per pruova; il che ho tralasciato per non haver maestri che riescano a mio modo in representare fedelmente quelle cose.In risposta della lettera delli 16 Maggio dirò brevemente che de gli intagli da ella giudicati moderni, non ne fo meraviglia, se non di due o tre che m’havrebbono ingannato certo, et specialmente la testa che stimavan Miltiade, et l’Achille su il carro; ma sopra tutti quei due della figura Bacchante, delli quali mi sarebbe molto difficile di risolvere niente, se non ci fosse la auttorità [f. 115] di V.S. M.to Ill.re la quale io antepono ad ogni mio parere, senza cercarci mai altra raggione. Et certo non è picciolo il fondamento che V.S. fa, su il discorso tenutole altre volte da Cesare. Ma fuora di questo poi ch’ella mi lo comanda sì espressamente, io non le tacerò che a me non mancano difficoltà in questo, non sapendoci io riconnoscere alcuna parte di maniera moderna, né altro che non possa ben stare il soggetto thimelico. Dove al contrario mi obsta in certo modo la nudità nel diaspro di V.S. per credere che sia Cassandra, non havendo io veduto né letto mai che si dipingesse Pallade nuda fuori del giudicio di Paride, né per consequenza le Vergini che gli erano dedicate, et massime se si concede che il mio Sardonio sia buono et sincero, poi che in esso è vestita questa Vergine.Anzi ho havuto di nuovo un altro taglio in Corniola del quale V.S. haverà il pronto, ove è forzi rappresentata la medesima Cassandra, vestita come l’altra mia, et da Ajace straccinata et tirata per la chioma con gran violenza dall’Altare, o base della statua di Pallade, la quale era forzi stata buttata a terra con quel movimento; et oltre a ciò non so quasi imaginarme come possa intendersi il Strabone et gli altri che parlano di quel atto che fece la Dea di voltarsi da sua posta sic, se la teniva in mano Cassandra, et se non era posata la statua sopra cosa soda et immobile. Et poi non mi servono troppo bene gli occhi per distinguere nel taglio di V.S. se ciò che tiene in mano l’Idoletto è più tosto un scudo (sic), che un corno da bere, o da cantare, o un timpano, o altro istromento thimelico. Io hebbi [f. 116] in questo mio viaggio una pasta che ha grandissimo segni (sic) di antichità, dove è la medesima figura quasi simile al più piccolo Sardonio del Re; ma co’l ripulirla modernamente nel piano di sopra, gli hanno portato via quasi tutto l’Idoletto; ma pure è sì bella quella pasta, che molti Lapidarij l’hanno pigliata per un Sapphiro fino; ne so se hoggi se ne sappia fare di sì belle. In somma io non ho detto niente che per obedirle, né pretendo di constituire niente altro che ciò che parrà a lei.Il pronto dell’Archelao m’è stato molto caro per la Iscrittione di dietro. Le mando in scambio l’impronto, tale ch’è potuto venire dal mio Herode di metallo promesso, nel quale si legge della parte della testa ΒΑΣΙΛΕΥΣ ΗΡΩΔΕΣ (ΙΛΟΚΛΑΥ)ΔΙΟΣ et dentro la Corona del rovescio si lege ΚΛΑΥΔΙΩ ΚΑΙ ΣΑΡΙ ΣΕΒΑΣΤΩ ΕΤ Γ. detta Medaglia della Famiglia Hostilia; et ci sarà anco l’impronto di una Medaglina di metallo ch’io ho acquistata in questo viaggio, simile dal dritta a una che V.S. mi fece vedere con l’Iscrittione C. MATREIUS L.F. MAG. IUVEN., ma, se ben mi ricordo, in quella di V.S. c’è una corona con il numero di XI dentro come sogliono essere in certe Medaglie pocohoneste che chiamano di Tiberio. Onde io vo imaginando, che questo ritratto sia forzi di qualch’uno di quei Istrioni famosi che rappresentavano al popolo tante forfanterie, et che per ciò sij chiamato MAGister IUVENum.Haveva ancora V.S. un getto di un mio peso anticho del solido aureo de i tempi di Honorio; il quale è in metallo de la forma quadrata; et ha da una parte la effiggie di [f. 117] Honorio al solito con Iscrittione DN. HONORIUS AUG. dall’altra la figura della Dea Moneta con fragmento di Iscrittione EXAGIUM SOLIDI et perciò con raggione dice Cassiano Collat. 1 cap. 22 parlando delle Monete fruste, Illa quorum pondus ac pretium vanitatis arrodens EXAGIO seniorum, adaequari non sinit, et Numismata levia atque damnosa minusque pensantia recusemus ecc. Onde nel Capitolo precedente, quando dice, Ea protinus ad EXAMEN PUBLICUM frutinantes ecc. ut tanquam integra atque perfecta illisque COLLIBRANTIA suscipiamus ecc. io crederei che fosse errore di scrittura, examen publicum, in luogo di EXAGIUM PUBLICUM. Actuario et altri Medici descrivono un certo peso che chiamano EXAGIUM, et dicono che pesava giusto la Sextula quatro scropoli, o la Sextula Romana, che è appunto il peso del solido aureo, ma tengo più tosto che la voce Exagium non fosse ristretta solamente al peso del solido, anzi commune a tutti i pesi publici, che potevano servire per giustificare gli altri, massime trovandosi quella Iscrittione antiche in Casa Colonna, che dice che si vendessero pecore SUB EXAGIO. V.S. ne potrà confrontare il contrapeso che le mando, con quello ch’ella mi mostrò con Iscrittione SOLIDUS, per vedere se è giusto, ben che la ruggine potrebbe haver diminuito alquanto l’originale. Le quattro Medaglie originali che le mandavo nella altra scatola erano di ALLECTO, l’altra di CARAUSIO, Tyranni sotto Diocletiano, la terza di Mario, uno de i trenta, l’ultima era di LAELIANO altro de i trenta Tyranni. Dico Læliano, per ciò che ne ho veduto una in Ingilterra in mano del Sig.re Roberto Cottono Cavalier prencipalissimo nella quale (sì come V.S. vederà dal pronto che [f. 118] le ne mando ) si legge forzi (IM)P C. ULP. COR. LAELIANUS. Onde non è meraviglia se ciò che dicono Trebellio Pollione et altri di Lolliano, si truova recitato quasi ad verbum in Sesto Vittore, Eutropio et altri di Aelinao, o Lucio Aeliano: et così appare che han fallito grandemente quelli che hanno fatto due Imperatori di uno solo; et Golzio sopra tutti che ha finto de i nomi et cognomi galanti di A. Pomp. Aeliano, et di SP. SERVIL. Lolliano.Con questa haverà ancora V.S. l’impronto di una Medaglia altra Scylla in Corniola che ho havuta di nuovo, ma di brutissima maestria rispetto all’altra, et mal trattata dal tempo: et l’impronto di una pasta anticha, se pur non è spetie di Berillo, o d’Aqua (sic) Marina (che ha molto della gioia); nella quale c’è una testa non del tutto dissimile da quella bella che V.S: ha in Amethisto, fatta da Dioscoride; ma in questa mia si leggono queste lettere L.L.C. dalle quali se si potesse venire in cognitione della testa di V.S., io n’haverei un piaccere indicibile; in ogni modo ci sarebbe forzi bene che dire sopra, se V.S: la trovasse buona come pare, di che la preggo darmene aviso.Non posso lasciar di dirle che incontrando per sorte in Inghilterra in mano di un huomo curiosissimo la Corniola con lettere ΑΕΤΙΩΝΟΣ, della quale io le havevo scritt altre volte, feci che finalmente sì bene che finalmente lo feci risolvere a lasciarmela portar via con pretio di cinquanta scudi d’oro et più; io non posso persuadermi di haver mai acquistato cosa più bella di questa, ma pur temendo che la propria passione non mi [f. 119] faccia stravedere, ho voluto mandarmene (sic) l’impronto come fo, pregandola di non tacermene la verità della sua opinione, così circa l’anticho o moderno, come circa la interpretatione di essa. Stimava il Sig.re Marco Welsero che questo ritratto fosse di quel Aetione Pittore, del quale fa mentione Luciano nel suo discorso intitolado (sic) Herodotus sine Aetio, il quale dipinge in Tavola le Nozze di Alessandro et Rossane così eccellentemente che Prossenide giudice de i giuochi olimpici ambì di haverlo per genero: ma non mi poteva sodisfare questa congiettura per non potere credere che un semplice Pittore havesse portato la Cidari, proprio ornamento Reale; et poi per trovarsi questa effigie (o poco simile) in una Medaglia d’argento del Procuratore Contarini di Venetia battuta nella Città di Soli in Cilicia, sì come non par molto differente quella di metallo, che ha stampato l’Orsino per Philemone, battuta nella medesima Città, sotto nome di Pompejopoli, che non è difficile a credere ch’habbia errato il maestro che nettò detta Medaglia di metallo, non havendo saputo riconnoscere (sic) ilportamento di questa Cydari, mentre era brutta la Medaglia, et havendoci fatto parere una testa calva, in luogo di una che portasse la Cydari, rendendo ciò più credibile il trovarsi nel rovescio della Medaglia de’ Constantini una testa di Hercole con le ciatte (?) dello spoglio leonino la quale il Sig.re Folvio ha dipinta, quasi con i medesimi profili, per Arato, come V.S. vederà da i trassonti. [f. 120] io giudicavo che fosse l’imagine di Aetione Re di Thebe nella Cilicia Trojana Padre di Andromacha, socero di Hettore, vestito regalmente della Cydari Phrygia, riverito poi com’è credibile longo tempo doppo morte dalla posterità sua nella Cilicia Syriaca del quale dicono belle cose Homero che ne fa un altro (sic) Numa Pompilio et Strabone nel XIII et altri infiniti. Et in particolare Strabone al fine del XIV riferisce da Callistene che gli Cilici Trojani scacciati da Campi Thebani, vennero parte in Pamphilia, et parte (come dice l’istesso al fine del XIII) in Syria, dove s’impatronirono sic del paese, che si chiamò poi Cilicia: et che sì come in Pamphilia si mostravano della Città con nome Trojani di Thebe e Linnesso (???); così nella cilicia si mostravano de gli altri monumenti in memoria di Trojani; et forzi qualche Tempio, o statue di questo Aetione tanto celebre, che hanno dato il cognome di Aetionea alla città di Thebe, capitale della Cilicia Troyana (sic). Ovid. Metam.Aetioneas implevi sanguine Thebas La quale Homero chiama ΘΗΒΗΝ ΙΕΡΩΝ ΠΟΛΙΝΕΤΙΩΝΟΣ Iliad. __. __. 366.L’habito della Tiara confirma grandemente questa mia opinione, per essere appunto proprio di quei paesi della Troade, che (per lasciar da parte tutti i capucci che si veggono in capo ad Etys appresso Cibele, a Ganimede, a Julo appresso Enea, et a molti altri come V.S. sa, così nelle statue come ne i tagli et Medaglie antiche) se ne conserva sempre l’usanza fra i sacerdoti di Cibele, come appare da quel luogo di Giuvenale Satyr. Et PHRYGIA vestitur bucca TIARA. [f. 121] Et appunto Bucca, perché le due fascie che pendono non restano dietro alle spale in questo mio taglio, ma passano alla parte d’avanti (sic), dove potevano forzi fare l’istesso officio che faceva quella parte della Casside anticha, chiamata Buccula, dall’istesso Poeta, quando dice: Et fracta de Casside Buccula pendens. Massime havendo io una Medaglia di metallo con una testa tiarata, (ben che senza Diadema), dove le due fascie non pendono, ma vengono a fasciare il mentone, giusto come le Buccole de i cimieri.Faceva scropolo il Sig.re Lorenzo Pignoria di credere che questa fosse imagine di Re, per ciò che scrive Suida che Re Soli portava la Tiara dritta, gli altri piegata, come pare che stia nel taglio. Ma per pruova del contrario la Medaglia del Contarini dove si vede il Diademate sopra detta Tiara, deve bastare, et che non sia altro che il Diademate, si cava dalla comparatione del Tigrane, et d’una Medaglina d’argento che ho havuta di nuovo, nelle quali si discerne chiaramente il Diadema sopra la Tiara. Mi resta ancora una picciola difficoltà nella scrittura della prima lettera, che gli Authori scrivono Ionicamente, per H in luogo di A. Ma è cosa ordinaria, et della quale Strabone al XIII pone un essempio eccellente a questo proposito; quando su quel luogo di Callirio, ove fa mentione dell’pimpeto che fecero i Cimmerij sopra gli ESIONI, col quale pigliorono la Città di Sardes, dice che Sceptio andava congietturando che Carlino havesse scritto alla ionica ΗΣΙΩΝΕΙΣ per ΑΣΙΩΝΕΙΣ, per ciò che la Meonia si chiamava Asia. [f. 122] Quanto alla somiglianza, io non ci vorrei fare troppo grande fondamento, dubitando che è questa, et tutte le altre de’ Trojani, et altri Heroi, siano finte la maggior parte, come l’effigie d’Homero; ma pare nondimeno che gli scoltori gli habbino voluto rappresentare una certa rusticità di quei primi secoli, sì nell’attrocità dell’aspetto, come nella capellatura così mal composta, il che si vede commune anco alle imagini di Homero. Io ne desidero grandemente il parere di V.S. M.to Ill.re.V.S. mi donò altre volte un pezzeto di Calamita che era di stupendissima virtù nel tirare il ferro, ma per disgratia mea s’è smarrito, et perciò che so che se ne truova costì più facilmente ch’altrove, io l’ho voluta pregare di farmi gratia ancora d’un altro pezzeto, se le piace, che sia del migliore che le potrà venir nelle mani, et mi obligarà grandemente.Il Sig.re Du Perier ha finalmente dato via il suo studio, et vendutolo alla Maestà Chritianissima con pretio di tremille scudi; egli le baccia le mani affettuosissimamente, et la prega di conservallo nella gratia sua.Restami ancora una supplica a farle instantissimamente per sodisfatione propria; mentre non m’è lecito di godere della sua gratissima presenza; et hè (sic), ch’ella si degni favorirme di un ritratto suo dal naturale, ch’io serbarò fra le più care, et più degne cose dello studio mio: a che potrà servire l’occasion del ritorno di questo patrone, ogni volta che le piaccia di mandarlo in tela, di grandezza del naturale, come ne la preggo quanto più so et posso assicurandola che sì come è infinita la affettione et riverenza singolare che le porto, così sarà infinito l’obligo che le n’haverò, conforme alla contentezza infinita che ne ho di riceverlo. [f. 123] Dell’haver scritto per mano altrui, me ne dispiace sopra modo, sì perché so che ci saranno restati de gli errori non pochi senz’altro, come perché la scrittura è mal netta, et non sarà ben facile a leggere come io haverei desiderato sommamente. Ma V.S. per sua gratia si degnarà di scusare il poco tempo che me lascia l’essersitio (sic) del nostro carico nel Parlamento, dove ci convienne essere et mattina et sera; et il mancamento che habbiamo qui di personne che sappiano scrivere in Italiano. Havendo da sapere V.S. M.to Ill.re che colui che ha scritto, non c’intende quattro parole, il che mi dà tanto maggior dispiacere di non haver potuto scrivere io stesso, come era il debito mio; ma dove è la necessità, bisogna risolversi, et l’ho fatto tanto più facilmente quando ho considerato la cortesia di V.S. che è pur inclinata a scusare di maggiori diffetti. Con che li baccio le mani di ___ di Aix alli 2 Novem. 1608. »
Aix-en-Provence ms. 209 (1027), f. 81-128 [65-107]. Si tratta di una copia: in calce al f. 81 è scritto “au Reg. 41.1 pag. 285”. La minuta autografa è alla BNF n.a.f. 5172, 213r-224v [285r-322v]. Nello stesso manoscritto alle cc. 212r-v [284r-v] c’è una copia della parte iniziale della missiva. Una copia è alla Bibliothèque Inguimbertine di Carpentras nel ms. 1809, cc. 288r-299v e 300r-305r, nella quale Peiresc ha scritto di suo pugno le iscrizioni latine e greche, nonché la data della missiva nel margine superiore a sinistra. Ulteriori copie della parte centrale di questa missiva sono alle cc. 246r-250v: prive di lacune, queste carte dipendono dalla medesima fonte copiata dallo scriba di Aix. La lettera è parzialmente copiata da Esprit Calvet, Avignon, ms. 2349, cc. 279v-281v: MA con data 3 maggio 1607! E alle cc. 281v-283r: MA con data 28 aprile 1608; e alle cc. 298v-303r s.d. Parzialmente edita da Jaffé 1992, p. 118; voir Carpita & Vaiani 2012, lettre n° XXIX, p. 138-173).