-Lettre du 20 déc. 1609 (d’Aix): “[f. 147] Al Sig.re Lelio Pasqualini, Roma, Molt’Ill.re Sig.re mio oss.mo, Doppo il ritorno del Navicellaio Martegale, io ho scritto tre volte a V.S. Molt’Ill.re per via del Sig.re du Pont del Signelasso (?), et della posta, senza rispondere particolarmente a tutti i cappi (sic) della lettera di V.S. sperando di supplire con occasione dell’andata de Padri Carmelitani, gli quali m’havevano promesso d’avisarme qualche giorno prima che passassero per di qua via i deputati della Provincia; ma non so si selo scordassero, o si come dicono, io mi trovai assente della Città in quel tempo. Basta sì che furono partiti quando volse (sic) esserne informato a pieno. Et poi mi convenne fare un viaggio in Linguadoca per una litte (sic) importante che si verteva fra il Marchese di Oraisone, et casa nostra, dove io fui ritenuto alquante settimane: et finalmente sendo di ritorno, io mi sono trovvato (sic) assalito di febre continua, con dolori di capo grandissimi, onde sonno stato in letto molti giorni. [...] Mentre io anderò considernado l’eccessiva cortesia et liberalità di V.S. in privarsi di sì raro tesoro quanto è quello delle Monete di Francia ch’ella haveva radunate in tanti anni. Et singolarmente di quel Piombo originale ch’è forzi l’unico di quel secolo che sia pervenuto a noi, massime sapendo io quanto caramente egli era conservato da lei. Onde io mi risolvo di rimandarlo a V.S: con infinite grazie, subito che sarà gionto qui un intagliatore di rami ch’io aspetto di Fiandra, al quale io desidero farlo dissegnare et scolpire da stampar sì il più diligentemente che sarà a me possibile, con certe altre cosucce di quel secolo. Et sarà la prima opera ch’io gli rimetterò nelle mani per liberarme, quanto prima io potrò, di questo peso. Non potendo io supportare ch’ella ne dovesse restare priva. Ma in ogni modo è stato sempre grandissimo il fallo mio di domandargli Monete Francese (sic), sendo pervenuta la cosa a tal disordine quale io non haverei mai preveduto; et io ne sento un dolore interno sì estremo, che vorrei che mi costasse ogni gran cosa, et poter ricuperare le parole ch’io le ne scrissi, acciò si fosse sparniata (sic) quella briga a V.S., et questo scontento di privarsi di cose che non siano doppie, et che siano sì rare, et sì squisite come queste. [f. 149] La Medaglia d’oro di Carlomagno, io la stimo rarissima ancora; et tanto più, ch’in tutte le altre ch’io havevo di quel Prencipe, io non ci havevo mai trovato il Titulo DN., né mai m’era accaduto di vedere Moneta d’oro di quella Stirpe Francese, eccetto una sola di Hludovico Pio suo figliolo, ove è la sua Imagine coronata d’Alloro con Iscrittione MUNUS DIVINUM. Onde per non havere veduto Moneta d’oro di quei Prencipi, credeva il Sig.re Petavio Conseigliere (sic) Regio nel Parlamento di Pariggi, Gentilhuomo curiosissimo, et di molta et di molta dottrina, che non se ne fosse battuta alcuna di quel metallo, et che non s’usasse altra Moneta d’oro in que’ secoli, che i zecchini sarraceni con caratteri Arabi, fundata sua oppinione (sic) sopra un luogho d’un Auttore di que’ secoli, che (LACUNA) certo pagamento in Moneta d’oro Arabesca. Ma io credo che tutti i Prencipi assoluti battevano Moneta d’oro, se a loro piaceva, poiché se ne trovano diverse, et io ne ho una simile giusto a questa sua di Carlo magno, sì nella grandezza, a come nella maniera, la quale è del Re Desiderio, et è battuta in Milano. Di quella del Re Offa (?) io ne donai due in Inghilterra al Sig.re Roberto Cottono, il quale ha una grandissima radunanza di monete (LACUNA) di quel paese; ma appresso di lui io non ne vidi alcuna del Re BEOTRICO, che V.S. mi ha mandato. Io gliene manderò tutte dua, se V.S. l’haverà grato; et so che gli saranno di grandissimo piacere. Il Sig.re Palamede mio fratello è stato un mese intiero in Londra, dove io spero ch’egli haverà acquistato qualche cosetta per V.S. ch’io aspetto con grande impatienza, non ch’io speri di potere mai pagare ciò che le devo, né darle in scambio (LACUNA) memento, ma per servire al meno di un picciolo saggio di quella gratitudine che le devo; egli fa il (LACUNA), giro ch’io feci per la Hollanda et fiandra; et tengo qu’a (sic) questa hora egli possa essere molto [f. 150] vicino di Pariggi; faccia Iddio ch’egli habbia ritrovare qualche degna occasione di procurare cosa grata a V.S. M.to Ill.re.Quanto alla dottissima et cortesissima lettera di V.S. cosa di stupore di vedere quanto caramente con sì cortesi ringratiamenti paga V.S. una sì [LACUNA] testimonianza ch’io le havevo voluto rendere della riverenza et affettione ch’io le porto, connoscendo benissimo quanto sijno disproportionati a me il quale le devo più che non posso. Dispiacendome infinitamente di non haver forze maggiori per renderle quella servitù efficace ch’io desiderarei, conforme all’obligo mio, et merito di lei.Non senza gran raggione è stimolata V.S. sal Sig.re Marco Velsero, et da altri, di dare fuora tutte le cose a beneficio della posterità, [LACUNA]. Io non son per mettermi in Dozzina con persone tali, ma per quel poco giudicio che la natura mi ha lasciato, gionto alla relatione ch’io ho da tanti chiari ingegni quali hanno cognitione de’ meriti di V.S. et della squisita sua dottrina, et alla tenera memoria ch’io tengo dell’eruditissime osservationi con le quali suole accompagnare V.S. cortesissimamente le rare antiquità dello studio suo, mostrandole ad amici suoi et servitori, o scrivendo a loro in questa materia; io non posso ritenermene di farle anch’io questa giusta supplicatione di volere concedere questa grazia a gli amici: et massime hora che ho veduto quie dotissimi [sic] suoi discorsi intorno il Porto d’ostia et la Cidari Regia: soggietti molto reconditi et ne quali era difficillissimo [sic] di costruire rissolutione alcuna, sì come li venne altre volte per conto del labaro di Costantino; havendo ella posto ogni cosa in [LACUNA] felicissamente [sic], et fattoci mostra segnalata del giudiciosissimo et umanissi[m]o [?] ingenio di lei, in rendere (se così è lecito parlare) la prima vita a cose morte et sepolte da tanti anni. Il che promette a me tanto, et sì buona riuscita in tutti gli altri soggietti, che V.S. si [f. 151] degnarà abbrasciare, ch’io ardisco di permettere ad altri dell’opera di lei, una compinta [sic] dicchiaratione delle più oscure, et più incognite difficoltà che n’habbiano lasciate i più dotti uomini di questo secolo, nella esposizione delle cose antiche: oltre un mundo di rarissime et curiosissime osservazioni che mai furono tocche da altri. In somma le cose di V.S. non sono tali che si possino bastevolmente lodare per essere maggiori le sue virtù, che le lodi, et poi che le sue attieni per se stesse si celebrano, dispiacendomi non poco di non saperlene rendere quella testimonianza, che sì giustamente è da me dovuta prima alla verità, at poi all’intima affezione che le porto. Per non parere dunque di haver studiosamente ricercato occasione di lusingarla avenga che ella conosca le sue cose.Io mi contento di scriverle semplicemente, che sì come sin hora sono state ricon[o]sciute le opere di V.S. dal Sig.re M. Velsero, et da tanti altri grandi uomini, et tenute in grandissima stima, così saranno ancora gli altri suoi componimenti quando ella si disporrà di abbellirne questo universal teatro. Risolvasi pure V.S. non permettendo di esserne ritenuta da alcun dubio. Anzi senza astringersi [sic] altro ordine, quando ella si risolvesse a dare fuora una dozzina di quei discorzi que sono già finiti, o più disposti ad essere distesi in scrittura, io tengo che non sarebbe male. Imperoche è sì ampia et vagua [sic] la materia di antiquità, che per trattarla con ordine bisognerebbe abbracciare infinite cose insieme, di che non le darebbono forze il tempo necessario le sue occupazioni publiche, e domestiche, oltre molti altri impedimenti. Et in questo modo se comincia V.S. a lasciarse uscire dalle mani alquanti discorzi, sarà un certo pegno per invitarla a darne de gli altri secondi, che gli andarà componendo; et finalmente non sarà poi difficile di statuire nella seconda edizione tal ordine che le piacerà. In tanto vedendo ella come saranno ben veduti et ricevuti da ognuno i primi stampati, non potrà facilmente negarne de gli altri; et così haveremo noi poco a poco il nostro intento, et ella non sarà ne anco a fatto defraudata del suo. [f. 152] Altramente io m’imagino quel mancamento di tempo, et di quiete che V.S. mi dice sì grande et sì importuno, che non le lasciarebbe facilmente ordinare, et finire ogni cosa osservata quella sua natural isquisitezza. Hor in particolare del Porto Trajano quando pur non ci fosse quel luogo di Rutilio che ne descrive il sito, come sta nella Medaglia. Molibus aequoreum concluditur Amphiteatrum. Interior medios sinus invitatus in aedes. Quello di Plinio che lo descrive similmente di forma d’un Amphiteatro, che s’andava fabricando a suoi tempi par molto bastevole, per confirmatione dell’opinione di V.S., massime aggiungendo a parole habebit HIC Portus.. etiam nomen auctoris, lo quale non poteva essere altro che Traiano, che resideva [sic] all’hora a Cincelle, ma con tutto ciò non stimo che sia totalmente senza schusa l’opinione di quelli che hanno tenuto che il Porto Trajano fosse appresso di quel di Claudio, poi che si sonno fondati su le reliquie antiche di un Porto Sexangolare, non molto dissimile di quello che nella Medaglia [sic] di Trajano, le quali sono restate a Ostia. Io non ho veduto il dissegno di Pierio [sic] Logorio del quale fa mentione V.S., ne so qual diligenza egli possa averci usata, et non farei gran conto di quello ch’ha stampato in dritto Stephano du Perac Architecto, ben ch’egli affermi che sia accuratissimamente delineato, jaxta antiqua vestigia. Ma quell’altro dissegno in Pianta ch’ha stampato Antonio Labaco discepolo del famoso Bramante, col un discorso appresso, nel suo libro di antichità, non credo che sia da sprezzasi [sic], parendo che egli rapresenti ogni cosa con gran diligenza et fedeltà, poi che gli ci ha osservato tante minucie di misure quante non sonno solite a mettersi in cose finte et immaginarie, et ch’egli afferma nel discorso haver visto et misurato ogni cosa con gran fatica. Descrivendo le fabbriche d’intorno, et le Colonne da legare le Barche, et i gradi da scendere all’acqua. Et attestando finalmente ch’à tempo suo, sì come era secco per tutto il [f. 153] Porto maggiore, così l’interiore sexangolare era ancora pieno d’acqua; sì che non si può dubitare che non sia stato Porto anticamente, et di figura conveniente a quella dell’Amphiteatro, che non è meraviglia, se cossì facilmente si sonno ingannati quei ch’hanno giudicato che fosse quello di Trajano. Non lasciare di dirlo che non sarebbe forze indegna di qualche consideratione la Tavola Itineraria [sic] antica di Peutingeri in questo proposito, nella quale si veggono certi vestigii del Porto Ostiense in perspettiva, che non paiono essere stati fatti a caso; poi che non si scostano del tutto dalla veduta meridionale della suddetta Pianta del Labacco; sì come ne anco dalla medaglia di Nerone, se gli si considera l’entrata del Porto in medesima veduta meridionale nella parte d’abasso ove giace la figura di Nettuno; che così le fabbriche più alte restano dietro disposte in figure semicircolare, et largere [sic] dall’altra banda, veduto in perspettiva dalla parte di fuori può mostrar d’essere quasi più diritto che circolare, et in tal caso il Molo che è dissegnato da questi Architetti potrebbe essere in luoco di quello, che si vede in mezzo del Porto in questa Tavola. Hor si debba costituire l’entrata del Porto di Nerone nella parte d’abasso, più tosto che in quella di sopra; par che si possa cavare da quello di Trajano che si vede dalla parte del Mare, et anco dalla positura di quella statua diritta che non poteva comodamente voltar la schina [sic] a quei ch’entrano nel Porto, sì come haverebbe fatto, se l’entrata dovesse essere nella parte di sopra. Ma queste sono tutte congetture et forze troppo deboli per salvare tante cose insieme. Sì ch’io me ne remetto sempre al parere di V.S. che mi sarà carissimo d’intendere, s’ella si degnarà favorirmene. In ogni modo ha da essere sempre considerabile in certa maniera l’auttorità di questa Tavola; già che se ben vi si puol essere alterato alcuna cosa, nondimeno ci restano molti vestiggii della buona antichità, et per non tacerle alcuna cosa, le difficoltà che V.S. m’opponeva altre volte nell’istesso luogo contra la congiuntura dell’Antiochia, cioè l’habito di Roma straordinario, et specialmente d’una Corona in luogo di [f. 154] celata, non parranno tanto grandi, quando li leggeranno quei versi di Rutilio
Exaudi REGINA tui pulcherrima mundi
Inter Sydereos ROMA recepita polos.
Et poi
Erige Crinales Lauros Seniumque sacrati
Verticis, in virides ROMA recinge comes
AUREA TURRIGERO RADIENT DIADEMATA CONO
Perpetuosque ignes AUREUS UMBO vomat.
La onde si vede che si dipingeva tal volta in quei tempi questa Dea con Torri in testa, et con Diademate d’oro. Il che facilmente può essere stato mutato dal copiatore della Tavola, in Corona di fiori per ignoranza; et massime sendoci restata l’aurea Targa che dice Rutilio. In somma è sempre stata dovuta certa veneratione alle cose antiche, la quale non patisce che facilmente venghino corretti etiandio gli errori più chiari che vi puonno essere restati. Ma nondimeno io non vorrei fare sigurtà d’ogni cosa, et manco di questa, che non s’appoggia a fondamenti fermi più che tanto.Per conto della Cidari o Tiara, V.S. ha messo insieme tante belle auttorità, che non stimo che si possa desiderare niente di più. Restando però qualche difficoltà della piegatura della punta, poi che contra l’auttorità di tanti scrittori, si vede questa Cidari piegata nella Medaglia di Contarini di sole, et nel Cameo di V.S. che mi è riuscito bellissimo, et pure non si può dire che non siano teste Regie, poiché c’è aggionto il Diadema in tutte dua, et il ricamo delle stelle nel detto Cameo. del altro Capucio [sic] che non ha bande pendenti, non vorrei affermare veramente, come ella dice, che fosse Cidari; ma nondimeno io stimo che sia habito orientale, né mi ricordo haverlo veduto attribuito a figure, sia di deità. O di Latini, o d’altre che non siano di quel paëse [sic]. Sì come ne fanno piena fede le iscrittioni della medaglia ove se ne [f. 155] trova. Senza che mi ci dia noia quel dissegno che V.S. mi ha dato di quel marmo di Roma che rappresenta la Luna, con quel Capucio, perciò che non era prohibito a i particolari habitatori di Roma ch’erano di Natione Orientale di ritenere il Culto delle Deità loro, con tutte le Circonstantie de gli habiti et ceremonie [sic] ch’erano osservate altrove. Et se ben la scrittura è Latina, la voce [LACUNA] mostra non di meno di essere formatta [sic] da dittione che non è Latina, anzi ha della barbarie orientale. Hor che sia Moneta di Papa, et non d’altra persona, io non veggo che si possa negare, non trovandosi Prencipi di quel nome d’Hadriano in quei secoli; et massime che in quella di V.S. par che si legga distintamente nel fine, non PP. semplicemente come nella mia, ma PAP. et in tutte dua si legge nel Rovescio [LACUNA] solamente et non [LACUNA] come in tutte quelle de’ Prencipi secolari, ch’hanno fatto mentione delle loro vittorie nelle monete, che altra cosa è stata, quando gli ultimi Imperatori hanno scritto [LACUNA] et di più non credo che il rittrato [sic] scolpitovi in tutte dua possa rappresentare altra persona che Ecclesiastica. Poiché ci appare sì distintamente la Corona sacerdotale, cioè la Razura della sommità della testa, et la Corona spatiosa et rotunda, Capillo sub auriculae medium propendente, come dice Gio: Diacono di San Gregorio, et come sta a punto ne’ Ritratti di Papa Keone ch’io le mandai ultimamente, et in molti altri Mosaichi di quel secolo. Oltre a che par che ne gli habiti si scorga qualche vestigio del Pallio Pontificale. Ma V.S. oppone una Moneta con Iscrittione [LACUNA] la quale veramente è molto stranna, et vorrei ben vederne un imprnto, per fare qualche congiettura sopra [f. 156] la maniera de Caratteri dal tempo che può essere stata battuta. Io ne ho una col Monogramma [LACUNA] et Iscrittione [LACUNA] da una parte, et dall’altra il Monogramma di Roma con iscrittione [LACUNA] la quale è distesso [sic] [LACUNA]. Credo si possa accomodare a tempi di CARLO il crasso poiché c’è la Ciffra [LACUNA] in luogo del doppio PP. Anzi starebbe benissimo circa l’Anno 885 sotto il Pontificato di Papa Stephano quinto, a cui non sarebbe forse male appropriato il primo Monogrammate [LACUNA] benché quando volesse dire SN. (con trattino sopra) Petrus, poco importarebbe. Et di questo modo io accomodarei quell’altra, che dice V.S: all’istesso secolo, et sotto Papa JOANNE VIII che visse a tempi di CARLO CALVO, et di CARLO CRASSO, li quali da lui furono coronati in Roma istessa, per salvare il Monogrammate [LACUNA] nel quale si trovano quasi tutte le lettere del nome [LACUNA] et massime sendo stata l’auttorità di questo Pontefice ridotta s termini sì deboli, che si lasciasse fare priggione, et carcerare dalla fattione di quel Marinus chegli successe. Onde sarebbe facile cosa ch’in tempo di tal vacanza o priggione si fosse cognata [sic] la Moneta a nome dell’Imperatore, sendo certo che la Sede Apostolica sia per l’elettione del Pontefice, o per altra pretentione dell’Imperio sopra la Città di Roma, non era ancora fatta sui juris compiutamente.Ne ho ancora una di Papa Benedetto Ottavo di medesimo peso delle altre dua [sic], la quale non è forze fuor di proposito, poiché è di Papa certo, et battuta avanti quelle gran discordie fra la chiesa et l’Imperio, dalle quali solamente in giù molti hanno creduto che si sia stabilita la suprema giurisdittione del Pontefice nel temporale di Roma. Ma questo è un gran argomento del contrario, et una [f. 157] gran confirmatione delle altre Monete di Papa Hadriano, l’Iscrittione è [LACUNA] et in meggio [disegno del monogramma di Roma] nel rovescio c’è una testa et lettere; ma quando il nome di Prencipe secolare in quei secoli, non restasse di parerle strano in Roma, et mal conveniente alla auttorità Apostolica, stabilita molto prima. Non direbbesi per aventura senza raggione, che fosse posto solamente per designatione di tempo, poiché io ho una Moneta d’argento con Iscrittione + [LACUNA] et da rovescio [LACUNA]. Ho bene una Moneta battuta in Roma circa l’Anno 1265 con Iscrittione [LACUNA] et dall’altra parte [LACUNA] ma vi sonno di Gigli per segno che sia battuta la Moneta a tempo di Carlo primo Re di Napoli a cui fu concessa tal facoltà forzi perciò che era stato proclamato Senator Romano, quando fu coronato re di Sicilia, il che egli si recò a tanto honore, che sino all’Anno [LACUNA]. Io ho veduto delli Patenti sue con questi titoli [LACUNA].Il nostro Re Francesco, quando venne in Francia Carlo quinto, per maggiormente honnorarlo, volle che tutte le Monete che si battevano allora in Pariggi, fossero battute a nome di detto Carlo quinto Imperatore, mentre egli [LACUNA] IN Pariggi. Non so se per il passato si solessere [sic] defferire simili honori a Prencipi stranieri in simili occasioni, che sarebbe la cosa senza difficoltà, sendo certo che vennero a Roma tutti i sudetti Prencipi. [f. 158] Del CONOB s’io vedessi l’impronto della Medaglia si farebbe più facilmente giudicio, se è un’errore [sic] dello scoltore, o pure se si trovva [sic] un Imperatore che habbia dominato in Provincie, dove fossero Città di tal nome per battere la Monetta, sì come sarebbe la [LACUNA] d’Inghilterra [LACUNA] della Pannonia [LACUNA] dell’Illirico [LACUNA] in Sardinia, et altre simili. Benché quando fosse errore, non sarebbe gran meraviglia, trovandosene tanti altri in cose di maggior momento, etiandio a buoni tempi. Ho caro che le sia stata grata la Medaiglia [sic] di Caracalla col Cane che divora la Porpora, et mi sarà favore che V.S. si degni mandarme gli impronti delle Medaglie, et Tagli ch’ella haverà a questo proposito; et ancora più ch’ella si degni favorirme del suo parere intorno alle Colonne d’Hercole, et al discorsetto che ne feci ultimamente. Al quale aggiongerei volontieri [sic] che in tutte le quattro maniere che si raccontava la Favola di dette Colonne appresso gli antichi, sempre si può salvare benissimo la mente de lo scoltore delle Medaglie. La prima et più Favolosa opinione è quella della quale fa mention Strabone, che fossero più oltre che l’Isola di Gades, cioè nelle Canarie o Fortunate. Di questa fu Platone nel quale ne suo Atlantico colloca dette Colonne, nelle estreme parti dell’Isola Atlantica. Dionysio de Situ Orbis Vers. 65 par che accenni da prencipio che fossero sotto il Monte de gli Atlanti, che egli descrive altissimo, et sempre coperto di nuovolo [sic], facendone [LACUNA] un gran miracolo come Maximo Tyrio, quale dissert. 38 dice ch’era nel fine dell’Isola, riverito et adorato da quei Popoli Hesperij Lybici, come una Deità particolare et [f. 159] descrive anco sotto detto Monte certi terreni amenissimi et pieni d’Alberi, a i quali non era lecito, né si poteva arrivare per mirabile impedimento delle Onde marine, et per Religione, benché si scoprissero [???] della cima del di [sic] detto Monte. Tale appunto poteva essere il sito di dette Colonne, poiché d’elle dice Festo Alieno Horrere Sylvis undiqueIn hospitasque sempre esse Nuet poiNefas putatum demorari in Insulis.Onde (se è lecito di far compensazione di una favola con l’altra) par che venga ciò che raccontano i moderni che descrivono le Isole Canarie ò Fortunate, d’un certo Monte assai alto, che nella Teneriffa chiamata Navaria da gli antihi, dalla cima del quale che è quasi sempre coperta di nuovole [sic], come se ci durasse ancora per traditione qualche memoria della Favola Atlantica, vogliono che si veggano certi terreni amenissimi d’una Isoletta vicina, alla quale poi non si può arrivare con le Barche, per impedimento delle Onde del Mare alzate in maniera che la coprono tutta, et non la lasciano scoprire a Naviganti. Queste son pure Favole tutte veramente; ma gli Antichi non lasciavano di empire le loro Monete, et se lo scultore delle nostre Medaglie ci ha voluto havere risguardo per tal soggetto, vi aveva aggiunto un Albero in due Medaglie, et certe onde del Mare in una altra. Anzi se erano in luoco inaccessibile, non gli era facile di rissolversi se dovessero essere eguali, o ineguali questi Termini o Colonne, poste come dice Dionysio in questo luogoin finibus Herculis [f. 160] La seconda et più commune opinione era che dovessero essere Promontorij del Distretto, sendo confirmata da infiniti Auttori [sic], et specialmente di Diodoro Siculo lib. 4. pag. 147 il quale scrive che erano ne i Promontorij del Distretto ampliati da Hercole per restringere il passo. Dionysio de situ orbis [LACUNA] 72 dove gli le colloca distinctamente nell’Europa l’una, et l’altra nella Libia, o da Martiano Capella di cui le parole sonno gentilissime dici Columnae Herculis meruerunt, quod testimonio vetustattis, laboris Herculaeis limes in illis sit consecratus, siquidem ultraeum progredi consumptae telluris invia [aggiunto da un diverso copista] prohibebant. Et finalmente Festo Avieno, il quale parlando dell’istesso Distretto, dice che sunt parva porrò saxa prominentia Abila [aggiunto da un diverso copista] atque CALPE: Calpe in Hispano solo Mauxusiorum est Abyla. Namque Abila vocant [queste due parole aggiunte da un diverso copista]vocant Gens Punicorum mons quod altus barbaro est [?]. Id est, Latino, dici ut author Plautus est.C__ [aggiunto da un diverso copista] que rursum in Graecia. Onde si vede che [LACUNA] appresso i Mauri s’interpreta [LACUNA] secondo Avieno, et CALPE appresso i Greci, una veduta di Monte Cavo [?] et Terete continuatamente, il che non è in tutto discordante dall’Etymologia ordinaria di tutti i Grammatici, liquali interpretano [LACUNA] et [LACUNA] un Vaso o becchiere da metter acqua.Hor se in questa maniera lo scoltore delle Medaglie ha voluto rappresentare quelle Colonne, o Promontorij, l’uno in forma di Monte, et l’altro in forma di baso terete, non deve essere meraviglia se gle [sic] ha formate ineguali [f. 161] La terza opinione de gli Antichi era che fossero Isolette, et della maggior parte che fossero nella isola di Gades; et questa fu de gli Spagnuoli et Africani [aggiunto da un diverso copista] appresso Strabone, lascio le altre autthorità perché è cosa triviale. Hor poi che come io le dicevo, afferma Strabone che le Isole per essere definite con un punto, si potevano chiamare Colonne; et che altrove s’è adoperato tal locutione per la Isoletta del Marrosso [sic], secondo l’auttorità di Plinio.Non senza raggione saranno state formate dalo scoltore, colonne di tal figura ineguale per rappresentare Isolette diverse di grandezza. Il che si può dire anco dell’Isola di Gades, per ciò che se bene è hoggidì unica, mostra non dimeno d’essere stata divisa per il passato.Di che c’è l’auttorità di molti scrittori antichi, et specialmente di Plinio lib. 4 cap. 22 dove gli [sic] ci descrive due Isole, l’una maggiore, et l’altra minore. Et quella di Strabone, di Cesare, di Philostrato, et di molti altri che ne parlano in numero duale, sendo anco molto verissimile, che si siano congiunte insieme per succession de tempo, per far una Isola sola, poiché erano opposte alle boche [sic] di varij Fiumi, che sogliono condurre quantità di arena et limone a bastanza per far tal congiontione con l’aiuto della violenza del Mare col suo flusso et reflusso. Il che si giudica molto chiaramente da chi vede la descrittione particolare di detta Isola, et del suo sito, et massime quella che stamparono gli Inglesi l’anno 1597 doppo che l’hebbero expugnata, laquale è fatta con gran diligenza.Ultima fu che fossero le Colonne di metallo ch’erano nel Tempio di Hercole Gaditano, lequali Strabone chiama [LACUNA] di otto braccio d’altezza, et Philostrato [f. 162] nel fine del cap. 1 del libro 5 de la vita [LACUNA] dice che dall’altezza d’un braccio in poi, erano di nel resto di forma quadrangulare come le ancudini; notarò il testo greco percioche l’Interprete non mostra d’haverlo inteso, quando per questo [LACUNA] egli scrive solamente esse autem eas propter cubitum aut ulnam (cioè da un braccio in poi) quadrangulatae formae, velut incudes, lasciando le parole [LACUNA] le quali escludono di tal forma quadrangulare l’altezza d’un braccio o Canna di dette Colonne, lequali in quella parte potevano essere della forma ordinaria delle Colonne, cioè da un braccio in poi. Jo [sic] non so di haver veduto ancudini in Medaglie, se non i n quella della Famiglia Carisia che l’Orsino rappresenta triangolare, benché nelle Medaglie medesime mostri d’essere quadrangulare. Par ben che voglio il Goltzio cap. XXIII del suo Augusto che sianno [sic] incudini, cose che s’assomigliano forzi meglio ad Altari.[LACUNA] sì come i capitelli furono adopera [sic] [LACUNA] colonne, acciò più comodamente sostenessero l’Architrave così quando [LACUNA]. Ma so ben che non haveranno da sostenir alcuna cosa, non gli si facevano capitelli, et a questo modo i termini, Cippi et spesse volte nco le Colonne milliari si facevano quadrate, nella parte ch’haveva da essere sepolta in terra, acciò stassero più ferme, restando poi l’altra portione ch’era fuor della terra quasi sempre di forma tonda, o almeno tondeggiata nella cima, vedendosene ancora buon numero in varij luoghi. [f. 163] Hor non c’è dubbio che le Colonn d’Hercole non fossero termini, et così restarà schansata [sic] la forma tondeggiata in cime datagli dallo scoltore nelle Medaglie. Io vidi nel libro del Sig.re Vincenzo Pittore il dissegno d’un Medaglia di Gordiano, ch’era appresso il vostro Sig.re Ludovico Compagno, lauqle haveva un Arbore da rovescio fra due Colonnelle tondegiate [sic] nella sommittà loro, et poste sopra due gradi con Arbore, con Iscrittione [LACUNA] [.] sarebbe bono che V.S. vedesse la Medaglia et che n’havesse un pronto se fosse possibile, che stimo ch’ella ci trovvarebbe [sic] facilmente qualche vestigio del nome di [LACUNA] et forze [sic] qualche maggior luce alle altre Medaglie con le Colonne. Perciò che i gradi possono mostrare prencipio della parte quadrata di dette colonne, secondo Philistrato, et ancora qualche someglianza ad incudini, se pure sonno incudini quelle cose che dice il Golzio, [LACUNA?] del resto non sonno [sic] talmente tonde [LACUNA] Colonne nelle Medaglie, che non vi sia ancora un poco di piano da ricevere l’Iscrittione mentionata da Strabone, et Philostrato, della quale è forze restato ancora qualche vestigio nelle Medaglie di Caracalla, o per dir meglio di Antonino [LACUNA] che così è nominato nelle Medaglie tutte doppo morte [LACUNA] antiche, et appresso jurisconsulti Paulo, Modestino, Marciano, et altri nelle Pandette, battute in Tyro l’una avanti che fosse fatta Colonia Romana; l’altra doppo che da Settimio Severo, etntonino Magno vi fu condotta la [LACUNA] et ristorata la Città, et fatta Colonia juris Italici. Sì come si comprende prima della Medaglia di metallo di Settimio Severo appresso il Duca di Sora, nel rovescio della quale si vede l’Imperatore [f. 164] con l’Aratro in mano, dietro al pare di Bue [sic], con Iscrittione [LACUNA] et poi in mezzo [LACUNA] et poi da i nostri jurisconsulti Ulpiano, et Paulo digest. De censibus lib. 1 § 1 et Ult. § 4 Sciendum est esse quasdam Colonias juris Italici, un [sic] est in Syria Phoenice splendidissima [LACUNA] unde mihi origo est nobilis Regionibus [LACUNA] serie saeculorum antiquissima armi potens foederis quod cum Romanis percussit tenacissima huic enim Divus Severus et Imperator noster ob egregiam in rempublicam Imperiumque Romanum, insignem fidem jus Italicum dedit. Eiusdem juris Italici, inquit Paulus, et Tyriorum Civitas a Divis Severo et Antonino facta est.Ma sia come si voglia. Basta ch’in tutti i modi io tengo sempre che si possa benissimo si accomodar l’Arbero [sic] delle Medaglie a quello Olivaro di [LACUNA] Pigmalione tutto d’oro, con i frutti di smeraldo fino, il quale era poste [sic] nel Tempio di Hercole Gaditano, come dice Philostrato ibidem, et rendeva una vista molto vaga et bella. Facendo al proposito ciò che dicono Plinio et Dionysio che l’Isola di Gades fosse da Prencipio chiamata COTINSA, per l’abondanza de gli Olivastri che produceva. Et la Corona di Olivaro che si vede in capo ad Hercole Tyrio nelle Medaglie, laquale quando anco si dicesse essere di quel Oleastro Olympico che dice Plinio lib. 16 cap. 44 non resta di potersi accomodare ssempre a qualche memoria de i Gaditani; poiché come nota Philostrato nel fine del suo Phoenice Heroe, volse Hercole per colmo di sua gloria dedicare in Olympo le ossa di Gerione Gigante da lui appiazzato [sic] nell’Isola Gaditana, et chi sa che per questa Caggione prencipalmente egli non si coronasse di Olivaro; sendo poi verisimile che i Tyrij quando volevano rappresentare le colonne, le accompagnassero delle altre [f.165] cose che n’erano vicine, cioè dell’arca, et dell’olivastro.Ben che non sarebbe impossibile, che sì come nel Tempio Gaditano fondato da i Tyrij si serbavano simolachri di dette Colonne, et Arberi [sic] anzi che quel celebre olivastro era stato mandato da Pigmalione Re di Ttro, fratello di [LACUNA?] dove così in quello di Tyro si fosse anco posto per memoria qualche cosa di simile, alla quale habbia havuto risguardo lo scoltore delle Medaglie, massime trovandosi mentione in Herodoto di due [LACUNA] l’una d’oro, et l’atra di smeraldo, che stavano nel Tempio di Hercole Tyrio, et di quella di smeraldo ancora in Theophrasto lib. 1 de Lapidibus, et in Plinio lib. 37 cap. 5 il quale chiama [LACUNA] smaragdo. Dalla cui denominatione che non erano si vede sostegno di parte della fabrica del Tempio di Tyro, come sogliono essere le Colonne, ma che stavano dritte solamente, et che erano più tosto Simolachri delle Colonne Hercolée, parla veramente Philostrato di certi Arberi [sic] Gerionei nell’Isola Gaditana, onde stillava sangue li quali s’assomigliavano al Pino o Picea: ma non tengo che siano così convenevoli a quelli delle Medaglie come l’oleastro, perciò che passidomo [sic] appresso Strabone parlando de gli stessi Arberi [sic] Gaditani che rendono dalla radice un humore miniato, aggionge che havevano le fogli [sic] lunghe d’un braccio, et i rami deflessi verso terra, come s’egli volesse intendere quello che i nostri moderni chiamano Fico Indico; la forma del quale non ha che fare punto con quello delle Medaglie. Ma che dirà V.S. di tante Ciacciare [sic] senza proposito, et sì mal ordinate, et in soggietto di sì poco momento; io riconnosco il fatto ingenuamente, et n’arrossisco; perdonimi di gratia per sua solita cortesia; che certo quando ho incomminciato [sic] di scriverne, non credevo di doverlene [f. 166] dire la metà; ne so come mi siano venute a mente tante cose.Io tengo un pronto [LACUNA] del quale V.S. haverà copia per confrontarlo con la sua Medaglia di metallo. Mi piace ben sommamente del questo [sic] ch’ella ha pigliato nella Medaglia con la Phoenice, et mi fa aspettare con impatienza incredibile, le Osservationi che V.S. me ne promette. Il Parazonio deve essere cosa rarissima, et dal pezzetto ch’ella mi mandò, io ho ben giudicato che il cavero [sic] del fodero deve essere molto vaggo et gratioso, con quelle commissure d’argento. L’Annello [sic] antico è ben la più squisita cosa ch’io habbia mai veduto[,] io, [sic] ne havevo due piccioli, ma questo è cosa di stupere [sic], ò[h] quanto avidamente io aspetto il discorso del quale V.S. mi dà speranza. Restandole in tanto obligatissimo di sì raro presente, et con dolore ch’ella si sia privata di questa gioe [sic]. Delli tagli di Miltiade, Achille et Cassandra, subito che V.S. me n’hebbe detto il suo parere, io non gli ho più tenuti per boni, ch’io deferisco intieramente a V.S. in materia di cose antiche, et ciò che ne scrissi ultimamente a V.S. non fu per contradirle punto, a Dio non piaccia che io mi sconnoscesse a di farlo [sic], ma solamente per confessarle ingenuamente la mia propria ignoranza di cose le quali m’havvrebono [sic] gabbato certo.S’è [sic] fossero tutte in potere mio, io le mandarei volontieri gli originali, acciò V.S. supperasse ogni sorte di scrupolo, ma io non ho altra che la Corniola dell’Achille le [sic] quale io le maderò accioch’ella vegga quanto è stato astutto l’artefice moderno se non in altro, al meno in sciegliere [sic] una pietra, laquale è più S[LACUNA] antiche, che delle moderne. Jo [sic] la comprai da un Orefice Provenza-[f. 167]le che veniva di Costantinopoli, il quale m’ha assicurato di haverne la [sic] portata via con molti altri tagli, et per non sapere che cosa vi fosse scolpita, non me ne fece pagare più di mezzo scudo. Ma le gioie, più che ogni altra mercantia, sonno solite a passare per gran diversità di mani, et fare longue strade. Io ho ancora una pasta di vetro che anderà con l’Achille, con tutto ch’io non dubiti adesso che non sia moderno, all’oppositioni ch’io facevo per la Cassandra di V.S. Ella m’ha risposto con tanta eruditione, ch’io ne resto compitamente sodisfatto, et non vorrei haverle tacciuto le mie difficoltà per qual si voglia gran cosa. Ma vorrei ben sapere onde habbia cavato il Sig.re Ottaviano il dissegno del rapimento di Cassandra, stampato nell’Antonio Augustino già che non si truova nell’idiome spagnuolo ch’io ho appresso di me. Ho riveduto la Medaglia minerale, et trovato io veramente che c’era scritto più tosto [LACUNA] che certo ella è moilto guasta della ruggine in quella parte, ma nell’ultimo Caratterio non c’è quasi alcun segno del T et se si [sic] fosse il T finale più chiaramente espresso in quella di V.S., crederei facilmente che fosse stato corrotto della [sic] ruggine nella mia, sì che l’Iscrittionr poteva essere questa [LACUNA] anzi per che si’à un’accento [sic] sopra la prima syllaba dell’ultima voce. Ben mi sonno accorto riguardandela [sic] diligentemente che nell’rovescio [sic] s’haveva da leggere [LACUNA] et non [LACUNA] come io havevo creduto. Di che m’ha fatto accorgere la proportione de foglietti della Corona, che non vuol altra positura, altramente sarebbono sotto sopra. [f. 168] Io non m’ero curato più che tanto di pensare all’interpretatione del taglio con lettere [LACUNA] sino che V.S. me n’havesse scritto il suo parere, ma vedendo hora ch’ella lo giudica antico, et che non senza raggione io l’havevo stimato tale da prencipio, io non mi son potuto tenere di cercare auttorità sufficienti per stabilirne il concetto ch’io hevevo fatto, che possa rappresentare [LACUNA] Oratore celebratissino avanti Cicerone. V.S. mi farà gratia di vedere ciò che n’ho scritto in un foglio separato quella dell’altro taglio con lettere [LACUNA] ch’io starò aspettando divotissimamente.M’ero scordato della spositione di V.S. sopra quelle linee dissegnate a modo di Croce in Medaglia di Costantino; hora veduto il luoco di Plutarco cittato [sic] da lei, et trovo ch’ella non è senza fondamento. Anzi parmi ch’io le mostrassi all’hora in Roma quando ella me ne parlò una mia Mediaglaccia [sic] di metallo battuta in Tripoli nella quale da un lato ci [sic] vede oltre l’Iscrittione [LACUNA] una Vittoria sopra un Rostro di Nave, il quale pare che sostenga una Stella grande, et dall’altro lato una testa di donna Turrita con due bastoni messi in croce, et sotto un Petazo, o Pileo de Castori, con la Stella in cima a questo modo [LACUNA]. Jo [sic] le ne mando un pronto accioché V.S. ci possa pensare, avisandola che in Tripoli erano tenuti i Castori in grandissima veneratione, et che di ciò fanno fede quasi tutte le Monete di quella Città. Il Golzio ne dissegna una d’argento a numero 107 battuta pure nella medesima Città, col rovescio d’una aguilla [sic], aggiongendo diettro [sic] il capo un certo Meandro [LACUNA] che era forze [sic] questo medesimo segno [LACUNA] se fosse stato ritratto fedelmente. Bastasi che la nota che fanno hoggidì gli Astrologi in questa maniera [LACUNA] per dinatare [sic] il segno di Gemini del Zodiaco, accomodato [f. 169] quasi da tutta l’antichità a Castore et Polluce, perché non convenga male a ciò che scrive Plutarcho da due legni paralleli congionti insieme, con due altri paralleli similmente. Espone bene Hesichio [LACUNA?] seu paxillos quibus eriguntur et tolluntur retia, vel arundines, ut dum dispositio attollit retia VARIS Venator ecc. Ma non so da cacciatori si disponessero detti Pali obliquamente, et in forma di Croce decussata, o di Sant[’]Andrea, accioché più commodamente l’alzassero o abbassassero le retti della Caccia. Il Goroppio ne gli Gieroglifici fra le altre sue fantasie, vole [sic] che [LACUNA] in Lingua Cimmeria primitiva, significhi (aeternitatem dans) et per tal rispetto egli lo stima più convenevole a Castore, come si l’Ethimologica Greca non era chiarissima [LACUNA?] a Trabe seu ligno come dice Eustathio Iliade P su’l fine, et altri. V.S ci pensarà un poco, perciò che d’accomodar poi la cosa a Costantino, et Licinio non è senza difficoltà; sì come ne anco di sottoponere questo symbolo alla figura dell’Oriente o del Sole, benché vi habbiano collocato Apolline in luoco di Polluce, et in ogni modo se di tutto questo non si fa un segno militare che fosse in presa [sic] di qualche Legione, non veggo che sia facile di accomodarvi l’Iscrittione [LACUNA] la quale non mi sonvienne [sic] haver veduto, se non appresso figure o segni militari, Labari, Torri, Castelli et altre cose appartenenti alla Militia. Mi sarà molto caro d’intenderne il concetto di V.S. Dell’Antiochia se ho tempo, le manderò qualche cosetta havuta di nuovo, che non le sarà forze [sic] inutile, poi ch’ella ha pensiero di radunare ogni cosa insieme, et farne un discorso espresso.In tanto io la ringratio grandemente della Calamita che m’è riuscita buonissima. Ma sopra ogni altra cosa ho da ringratiarla sommamente della grazia che le [sic] piaciuto concederme [f. 170] del suo ritratto, accettando volentieri quelle sue honestissime protestationi in segno della somma modestia di lei, senza però partirmi punto della stipulatione corrispondente alla cortesissima promessa che le piace farmene, sperando che il ritorno di questo Marinaio mi possa recare questa desideratissima contentezza. Dello scrivere per altra mano, io confesso ingenuamente di haver torto, nonostante la Cortesissima inclinatione di V.S. a schusarmene, ma per la mia indispositione, non m’è stato possibile, certo ch’io non sono ancora ben risanato; adoperi pure ella dunque la sua natural bontà et dolcezza ancora questa volta; et mi faccia favore che la mia obligatione riceva l’accresciemnto desiderato di qualche suo commandamento in tale occasione ch’io la possa servire con tutyte le mie forze conforme all’antico desiderio et obligo che le ne tengo. Et con ogni riverenza le baccio la mano, pregandole da Sig.re Iddio intiera prosperità et contentezza d’animo, et di corpo, o quanta almeno si può in questo mondo havere. Di Aix [LACUNA] Marzo 1609 Hum.mo et obl.mo serv.re De Peiresc » (Aix-en-Provence ms. 209 (1027), ff. 147-170 [131-154]. Si tratta di una copia: in calce al f. 147 è scritto “Reg. 41.1 pag. 258”. La minuta autografa di Peiresc (relativa solo ai ff. 150-151) è infatti alla Bibliothèque Inguimbertine di Carpentras, ms. 1809, cc. 258r-v e una copia di più mani è alle cc. 259r-272v. Alla c. 259r Peiresc ha scritto di suo pugno il destinatario e la data 1610; voir Carpita & Vaiani 2012, lettre n° XXXVI, p. 188-203).