Lettre du 30 mai 1570 (de Venise): "A MESSER PIRRO LIGORIO Se io avessi pensato di offendere vostra signoria con la mia ultima lettera, e di generare in lei alcun sospetto, overo sdegno, certo più tosto non le avrei scritto; ma poi ch’io comprendo et vo ponderando parole in quella alquanto sensitive, non so che dirle altro in mia escusazione, fuorché egli si concede che in materia di lettere e di cognizione delle cose ciascuna persona possa dire liberamente il parer suo e dubitare. Perciò che dal dubitare e dal questionare trassero i saggi sempre la verità: et ad ognuno per ritrovar quella si conviene dire la sua opinione. Et quantunque l’autorità degli uomini eccellenti in qualche professione abbia sempre in me potuto assai, non di meno non ha ella dentro di me avuto sì gran forza che mi abbia fatto scordare o posporre la ragione delle cose. La proposta nostra nelle ultime lettere è stata se le antiche medaglie de’ Romani in rame, in argento et in oro fossero battute in quei tempi per semplici memorie, o per monete da spendere; o pure se alcune di esse fossero fatte per memorie et alcune per monete dove io scrissi a vostra signoria che per vive e buone ragioni non teneva che tutte le medaglie di ciascun metallo formate fossero battute anticamente per semplici memorie. Là dove vostra signoria mi scrive che tiene le medaglie per monete e per memorie sì che posono servire all’una e all’altra cosa et che chiamandosi da me medaglie over monete tutto tenga che// [c. 169v] si è ben detto senza ch’io le risponda, che s’ella tiene non sia ben detto. Sopra che io le rispondo che se ella tiene per rappresentarsi in esse le memorie delle cose fatte dai Romani e dentro città per accidens et non per sé, siano state battute per memorie; essendo tutta via monete, io nego questa conchiusione. Et se alcune per uno uso, cioè nello spendersi et alcune per l’altro cioè lasciare viva e perpetua memoria delle cose loro fossero fatte dirò che siamo conformi di parere. Ma essendo già trapassati undeci anni che in due edizioni per un mio discorso ho provato con ragioni dimostrative che i Romani avevano le loro monete da spendere in rame, in argento et in oro, et eziandio le memorie de’ fatti loro, non saprei come acconciamente rendere a vostra signoria conto di tale mia opinione se non col libro stesso stampato in quarto l’anno 1568, ch’è l’ultimo e potrà vedere costì in mano di diversi e nel quale, essendo vostra signoria di diverso parere, avrei piacere dimostrativamente confutasse le ragioni da me prodotte in quel mio discorso che tratta di sì fatta materia: che se le sue mi paressero buone e concludenti ritratterei le cose già scritte. Et quando il detto libro ella non possa avere scrivendomi gliene manderò uno. In questa sua lettera ella mi scrive che avendo nelli pesi assaggiate le centinaia delle migliaia delle medaglie ha ritrovato ch’elle sono marcissime monete. La qual parola “marcissime” si può così riferire alla viltà del soggetto, come anco alla materia del metallo. Se al metallo, questo è falso, trovandosene pur di bellissimi metalli Corinthii e di altra sorta ne’ quali non si può allegare la viltà della materia: se al soggeto ella fa torto a sé medesimo et sa che agevolmente confesserà quanto bella istoria si ritrovi in dette medaglie riposta, secondo che dal suo bellissimo ingegno in varii suoi dotti discorsi ho compreso. A quello che vostra signoria mi scrive ch’io le debba mostrare quali sieno le monete dei Romani oltre che ciò nell’opera mia già stampata si può vedere appieno, Plinio le cui formali parole sono da lei allegate nella sua precedente dove parla delle monete in rame et in argento può darne contezza dove si vede qual fosse l’asse et le parti di quello. Et tutta questa materia delle monete la signoria vostra nel suo bel discorso della lettera pre=// [c. 170r]=cedente ha spiegato con mio gran soddisfacimento, dove tratta dell’asse di rame et della sua differenza, dicendo che ciascuna delle dodici oncie di peso si diceva uncia, quella di due oncie deunce et era segnata con due palle in questo modo o o. La terza teruncia con tre segni. La quarta quadruncia detta triente e quadrante con quattro palle. I quali trienti e quadranti scrive Plinio nel lib. XXXIII al cap. III che avevano il segno di una forma di nave. La quinta quinqueuncie era segnata con la lettera Q. et quella ch’era la meta et semiasse si diceva con la lettera S. Così della septuncie della bessis della dodrante della decuncie e della deruncie; e poi della duodecima assis, ch’era del peso intiero delle dodici oncie over libra che gl’antichi chiamavano libella. Et dapoi ancora di quelle monete in rame che facevano del peso di due assi o di due libre, di tre e di quattro chiamate dipondio, tripondio e quadripondio. Tutto questo sta benissimo detto ed io ho veduto gran parte di queste monete segnate qual con due, qual con tre et qual con quattro palle le quali io mai non ho dubitato che non sieno state monete ma io però non veggo cotali segni nelle medaglie de’ metalli degl’Imperatori Romani di una, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci, undici oncie, se ben ve ne sono di peso e di grandezza pari alle sudette monete. Et meno si ritrovano in dette medaglie de’ Cesari i segni dell’asse, né di quelle minuzie di sei oncie, di otto, di quattro, a che fu poi ridotto l’asse. Delle quali medaglie alcune sono di belli e preziosi metalli Corinthii formate, che ascenderbbono al valore di molto più della deunce, del Terunzio, della quadruncie e più ancora dell’asse romano ch’era la decima parte del denario in argento e del dipondio; oltre che l’artificio della scoltura e l’opera stessa ascenderebbe a maggior costo che questo picciolo lavoro non è. Dico appresso che il peso ne? metalli delle medaglie de’ Cesari non è uniforme, ma molto vario in tutte esse medaglie sì come pesandole facilmente si può conoscere. Conciosia=//[c. 170v]=che le grandi con le grandi et le mezzane con le mezzane et i medaglioni con li medaglioni variino in fra di loro assai nel peso per la maggior parte. Oltre la differenza esterna della lega di quei metalli, de’ quali variamente sono le dette medaglie formate, cioè del rame, dell’auricalco, del Corintio nobile o dell’eletro, era secondo Plinio certa sorte di metallo che conteneva mescolamento d’oro e d’argento e così era chiamato del quale Alessandro Severo si fece batter medaglie con l’abito del Magno Alessandro. Dico che tal varietà ancora avria cagionato gran discrepanzia e confusione in quelle in quanto al valore. Ben siamo certi pel testimonio di Plinio e di A. Gellio al Lib. XX della moneta di rame antichissima, segnata della testa di Giano bifronte da un lato e dall’altro del rostro della nave; la quale scrive esso Gellio che soprastando la guerra batterono del peso di un’oncia: e di queste così segnate se ne veggono assai di due di tre e di quattro oncie e di maggiore e minor peso e di grandezza. E alcun altre pur in rame segnate della effigie di una pecora: le quali dice Gellio aver vedute antichissime e di averle pagate con tali parole: Urgente bello unciales cum nota Iani bifrontis et rostri navis et aliae effigie pecudum unde pecuniae dictae signatae fuerunt cujus notae et ponderis vidi et appendi antiquissimas. Le qualli monete erano di mal maestro, senza alcun artificio di scultura come abbiamo a pensare che fossero fatti i conii per battere monete che ordinariamente si spendevano. Altre monete in rame io ho vedute e fra le altre una assai grande con le quattro palle o o o o di dietro alla testa di una Roma armata da una parte e le medesime note dall’altra signata del simulacro di Ercole che con la clava uccide un Centauro. Un’altra parimenti ho io con la testa di Roma armata, della maniera che si vede nel denario antico in argento, di grandezza ordinaria, con le sue ali sopra il capo, con tale iscrizione di dietro: L. CORANI ***** NVMi. Q. Ha per rovescio un Cornucopia attraversato da alcune saette con lettere sotto frammentate tali . ******** ALE ******** Et// [c. 171r] molte altre eziandio si ritrovano che da una parte hanno la testa di Roma armata, e dall’altra un cavallo colla clava sotto e tale iscrizione: ROMA. Infine io ne ho vedute e di varii pesi segnate colla testa di Mercurio e coi segni delle palle, ovvero oncie. Oltre alle quali io ho presso di me una grosissima moneta di puro e vilissimo rame, che da una parte ha una testa barbata di gran rilievo, la qual penso che sia di Saturno fatta ad arbitrio con tale nota sotto la teta S. et ha dall’altra un gran rostro di nave: sopra di cui si scorge ancora la medesima nota S. Un’altra grandissima più della sudetta, che dall’una e dall’altra ha le teste di Roma armata di un elmo antico e dietro a quelle vedesi la clava d’Ercole. Un’altra appresso di buon peso, che ha dall’una e dall’altra parte il caval Pegaso. Et un’altra grossa segnata da ogni laro da un folgore, con le quattro note delle palle o o o o, che vostra signoria chiama quadruncie. Un’altra minore signata da una parte di una cappa marina e dall’altra ha un segno bizzarro tale § con la nota di due palle da ciascun lato o o. Et ho ancora presso di me un’altra moneta minore delle prime; che ha dall’una e dall’altra parte due teste pileate: non so se siano dei Castori con due palle o o. La qual moneta è grossa di peso, sebben ristretta di grandezza; con le teste di gran rilievo; con le teste di gran rilievo. Ma oltre alle monete sopra dette io ne ho vedute in rame molte di quelle che hanno da un lato la testa barbata di Giano bifronte di varii pesi: che hanno da un lato la prua della nave con iscrizioni sotto di lettere che ci dimostrano sotto di quali Consoli fossero state in Roma battute. Et prima ne ho vedute, una battuta l’anno della Città DCCXLIX sotto il consolato di Passieno Rufo. Et un’altra molti anni avanti battuta, cioè l’anno CDLXXXVI sotto il consolato di L. Julio Libone con lettere che lo dimostrano signata sotto la prua della nave della nota dei quattro segni o o o o, cioè di quattro oncie, detta quadruncie con tale iscrizione, ROMA. Un’altra dello stesso modo // [c. 171v] signata senz’altre note sotto alla nave, che fu battuta in Roma l’anno CDXCV sotto il consolato di A. Attilio Calatino con le lettere chiare ROMA. Un’altra simile battuta l’anno della città CDXCVII sotto il consolato di L. Malio Vulsono. Et un’altra battuta l’anno DXV sotto il consolo P. Valerio Faltone. Un’altra ancora fu in Roma coniata l’anno della città DXXXV sotto il consolato di P. Cornelio Scipione. Et così io ne ho vedute molte altre sotto varii Consoli battute, signate della testa di Giano e della prua della nave per rovescio con le lettere ch’esprimevano i nomi dei Consoli di quel tempo et con Roma non solo ne’ tempi della Republica ma ancora sotto gl’Imperatori fino sotto Adriano: le quali per non distendermi più a lungo lascio da parte. Et fra le altre io ne ho una grossissima che passa di peso quattro libre che sarebbe il Quadripondio con le teste di Giano Gemino da un lato e la prua della nave dall’altro senza veruna nota. Un’altra ho appreso signata da una parta e dall’altra da una testa di cavallo ch’era quadroncie secondo il suo parere signata dalle quattro palle o o o o. Oltre tutte queste due grossissime monete io ho appresso di me l’una di grandissimo peso e rilievo che penso arrivi alle sei libre, signata dall’una parte e l’altra dalla testa di Apollo senza note. Et l’altra maggiore di peso di tutte le sopradette, che da un lato ha la testa di Roma armata di un elmo antico con tali note lunghe di forma dietro ad essa testa al numero di due I=I I=I. Ha per rovescio una bellissima ruota, tra i di cui raggi si veggono li due medesimi segni notati. Ma veamente io non ardirei affermare, che queste monete così grosse fossero piuttosto monete che pesi: anzi dovremo credere che fossero pesi per non potersi quelle con facilità usare per monete per il grandissimo incommodo del portarle. Molte altre monete veramente io potrei produrre da me vedute e possedute che così in tempo della Republica sotto varii Consoli come sotto gli imperatori furono in Roma battute per soddisfare alla richieta di vostra signoria ch’io le dovessi mostrare le monete de’ Romani et queste sono in rame perché d’argento li// [c. 172r] denarii sono infiniti che valevano due assi con la nota X ordinaria appresso alla testa della Roma armata, sicché non hanno mestieri di maggiore dimostrazione. Ma perché io scrivo a persona dottissima molto intendente dell’antichità non sarò più lungo in questo. Solo dirò che vostra signoria scrive di aver ritrovato di dette medaglie che dicono da se esser monete. A che rispondo che la ragione non vale della Dea Moneta che in alcune medaglie antiche degl’Imperatori in rame figurata si vede con tale iscrizione: «MONETA AVGVST» a provare che quella tal medaglia fosse per ciò moneta. Con ciò sia che la figura della Dea Moneta si ritrova in alcune medaglie degl’Imperatori con un Cornucopia nella sinistra; e significa quella ministrare abbondantemente ogni cosa necessaria alla vita et ha nella destra mano una bilancia che significa che anticamente il denaro si dava a peso et non a conto. Onde il pagamento de’ soldati medesimamente si distribuiva a peso come scrive Plinio. Et alle volte gli antichi figuravano nelle medaglie la detta dea Moneta con una sola figura et altre volte con tre figure simili, cioè attribuite tutte ad una deità coi tre monticelli delle monete a piedi di oro e di argento e di rame et con una medesima iscrizioe. Le quali tre figure simili sono come si è detto le tre sorti di monete ma non siegue per ciò che le lettere «MONETA AVGVS» provino che quelle medaglie sieno state monete. Perciocché siccome in tutte le medaglie sieno state monete. Perciocché siccome in tutte le medaglie si ritrovano i simulacri di tutte le altre deità ch’erano quasi infinite appresso gli antichi con lettere tali, August, Virtuti Augus, Fortuna Augusti, Concordia Augusti, Ceres Augus, Pax Augusti, et altre assaissime, che tutte erano deità, così parimenti si trova il simulacro di questa dea moneta che era nume et deità come l’altre nei rovesci delle medagli quando sotto una et quando sotto tre figure con tale iscrizione «MONETA AVGVSTI» quasi dicesse la dea moneta della città et non che la medaglia in rame di quell’imperatore fosse in tal tempo moneta. Onde ho io presso di me una medaglia di Massimiano imperatore degl’ultimi, in rame d’assai buona grandezza con lettere tali dalla parte della testa;// [c. 172v] «MAXIMIANVS NOB. CAES.» et dall’altra v’è la figura della dea moneta con la bilancia et il corno di dovizia con tale iscrizione sotto: «SACRA MONETA AVGG ET CAESS NOST», cioè Sacra moneta augustorum et Caesarum nostrorum, che ci mostra chiaro che non era questa moneta da spendere, perché non l’avria chiamata sacra, ma la dea sacra moneta della città alla quale i Romani sicome a molte altre loro deità avevano consacrato un tempio. Né perché si ritrovi parimente una medaglia in rame di Alessandro Mammeo che ha per rovescio la statua dello imperatore con tale iscrizione introno: RESTITUTOR MON, cioè Restitutor monetae, perciò noi dobbiamo pensare che quella medaglia fosse allora per moneta battuta ma che sotto il suo imperio fossero rinuovate le monete della città. Conciosiaché questo verbo Restitutore significhi restaurare et reficere, il quale si dice medesimamente di una città o casa over d’altro edificio che essendo invecchiato o rovinato si rinnovi o si rifaccia. Dalle sopradette ragioni si vede che i Romani avevano distinte monete in rame, in argento et in oro per spendere dalle medaglie degl’Imperatori che ad altro non erano coniate che per lasciare in più modi con le loro effigie e con li tanti segni ne’ rovesci delle cose e grandezze loro di se stessi memoria ai posteri per fine e desiderio di gloria. Sopra la qual materia potrà vostra signoria leggere quanto gli anni passati io scrissi in un mio discorso dove vedrà oltre le dette molte altre ragioni et considerazioni unite insieme in essa mia opera. Et allo incontro di quanto ella mi allega delle parole scritte in dette medaglie che mostrano secondo il suo parere che fossero tutte monete ella potrà considerare le medaglie in metallo Corintio che mestrano il contrario come la bella medaglia colle mule ovvero il carpento di Domitilla che fu figliuola di Vespasiano, la quale fece battere Tito per sua memoria con iscrizione «MEMORIAE DOMITILLAE S.P.Q.R.». Et quell’altra medaglia di Giulia Augusta, la qual fu Livia madre di Tiberio «S.P.Q.R. IVLIAE AVGVST». Et l’altra di Giulia figliuola di Tito. E la medaglia di Agrippina madre di Caligola col Carpento, o mule per rovescio, con la iscrizione «S.P.Q.R. MEMORIAE AGRIPPINAE». Et vedesi appresso un bel medaglione di// [c. 173r] Adriano in rame con lettere tali intorno alla testa: «IMP. CAESAR. HADRIANVS. AVG. COS. III. P.P.» senza corona, et d’eccellente maestro, ch’ha dell’altro la Mole, ovvero il sepolcro di Adriano con tale iscrizione: «MEMORIA AVGUST. PERPEVA». La qual Mole chiamasi oggi Castel S. Angelo. Et ho parimenti veduto un altro medaglione in rame di Faustina con le lettere intorno alla testa di essa Faustina che ha dall’altro lato quattro elefanti che tirano un carro, sopra il quale si veggono li due simulacri del marito et della moglie portati in que’ tempi nelle pompe circensi con tale iscrizione: «MEMORIAE AVGVSTAE». Et molte altre medaglie con simili iscrizioni, che mostrano essere state battute a que’ Principi per loro onore speciale et principalmente per memoria loro s’ come appieno vostra signoria leggerà nel mio discorso. Il che ancora le farei conoscere più chiaro nelle medaglie in rame battute dalle città della Grecia. Donde noi dobbiamo conchiudere che i Romani avevano le loro monete per uso dello spendere et della premutazione delle robbe in denari et avevano parimenti le medaglie ovvero memorie per uso di perpetuare i loro nomi alla posterità; et l’une et l’altre avevano carico di far coniare nella zecca di Roma i Triumviri monetali. Se io volessi, signor mio, in tal soggetto estendermi più a lungo secondo che le ragioni et i concetti mi abbondano non solo empirei due fogli che son già pieni di tal diceria, ma ne riuscirebbe un gran libro. Laonde bastandomi quanto nel mio discorso già scrissi in questa materia, pregherò vostra signoria a voler sospendere il proprio sentimento et spendere due ore nel leggerlo; et sommariamente con suo commodo rispondere a quelle ragioni ch’io in quello produco per difesa della opinion mia, la quale ho imparato da elevati ingegni et uomini dotti, sì che non è più mia che d’altrui. Ma sopra tutto io desidero che mi sia risposto con le autorità delle storie e degli scrittori et con li testimonii istessi dell’antichità e non altrimenti. Supplicandola appresso che mi voglia sciogliere quel dubbio che nella mia precedente le scrissi, quanto alla note «S.C.» signate nelle antiche medaglie, come in essa mia lettera vederà da lei ancora non// [c. 173v] sciolto. Baciando le mani a vostra signoria a lei per sempre mi profero. Di Vinegia li XXX di maggio 1570" (Vicenza, Biblioteca civica Bertoliana, Ms 277, cc. 169r-173v; Melchiorri 1825, p. 26-37; Missere Fontana 2013a, p. 339-340, notes 119-120, 122-123, 125, 127-128; Marconato 2018, p. 293-298).