Lettre du 2 mars 1583 (de Venise): "AL SIGNOR PROSPERO VISCONTE, A MILANO Molto illustre signore, io ricevei sabato passato, ritrovandomi in senato le lettere di vostra signoria di XX di febraro, le quali giudico siano venute col corriero ordinario, insieme con le publice del nostro secretario Antelmi, residente in Milano, che certo mi furono carissime; e tanto maggiormente quanto che con esse mi vennero quelle dotte annotationi, overo osservationi, sopra le medaglie dei XII imperatori, dichiarate nel mio libro. Et prima io rendo a vostra signoria quelle gratie ch’io debbo nell’havermi data sodisfattione di quanto le ricerca, havendo ricominciato a mandarmi così belle osservationi dei principali autori, sì poeti come altri, intorno le dichiarationi delle medaglie. Onde di alcune io più che volentieri mi servirò per aggiunta delle stampate, per dar maggior lume agli studiosi dell’antichità et accrescere ornamento et fondamento a quanto ch’io ho spiegato nel mio libro in sì fatta materia. Risponderò poi a quelli dubbii ch’ella mi muove in cotali propositi, nelli quali può cadere qualche difetto in alcune cose ch’io scrivo in detto libro; risolvendo quello che intorno ciò farà bisogno. Né occorre che vostra signoria mi addimandi perdono di essere differente in qualche cosa dalle mie espositioni, si perché in una materia molteplice, difficile et arbitraria, come è questa, ciascuno può seco portare quale opinione gli pare, come ancora perché a me piace imparare in tutte le cose, ma spetialmente in questa, per aggiugnere a me stesso lume a lume, che finalmente risulterà nell’ultima mia editione di questo libro in molto giovamento a i lettori. Dico adunque ch’io mi valerò di alcune di queste auttorità, che mi torneranno commodi a quello// [c. 183r] che scrivo, lasciando da parte quelle che non fanno a proposito della materia ch’io tratto, come lontane; perché s’io havessi voluto aggregare per via di digressione, o fuori di quel che si tratta altre cose, sarei riuscito tedioso et molto più lungo in questo libro. Ora quanto agli dubbii che vostra signoria muove, et prima a carta 109 dove ella dice non haver non haver mai veduto che Augusto si chiamasse Germanico, si risponde, che dove è l’essempio proprio delle antiche medaglie in rame, che sono le due allegate nel detto luogo di Augusto, battute dalla istessa colonia iulia augusta, non occorre dubitare, né meno dire, che la medaglia potrebbe essere di qualche altro imperatore. Conciosiaché le sudette due medaglie furono battute da una di quelle colonie condotte da Augusto et la testa di detta medaglia non può mentire, per essere il vero ritratto di Augusto. Oltre che potrei citare altre medaglie, in rame, battute dalle città della Grecia con due teste, una per parte, delle quali quella che è di Augusto, aggiugne la iscrittione «ΓΕΡΜΑΝ» ciò è «Germanicus», onde io non ardirei mai di contradire al testimonio proprio delle medaglie antiche. Quanto poi al riverso del Tauro nella medaglia di Augusto, che vostra signoria reputa più conveniente che il Tauro dimostrasse una colonia, si dice che non ho mai veduto spiegarsi segno o di colonia condotta over di colonia che battesse medaglie agli imperatori, salvo che con li dui tauri, o il bove con la vacca, con la figura di dietro, con iscrittione di lettere et alcuna senza iscrittione. Ma le ragioni che mi muovono a credere quanto scrivo, intorno essa dichiaratione, sono a sofficienza espresse al detto luogo, havendo in quella seguito il giudicio del signor Clemente Tevenino, huomo alla età nostra intendentissimo sopra ogni altro delle istorie, che si scoprono nelle medaglie. Et le aut=//[c. 183v]=torità citate a quel di Giustino, di Plutarco in Theseo, di Dione in Vespasiano, non fanno a proposito di quello che si tratta nella espositione di detta medaglia di Augusto.
Alla medaglia poi di Augusto, in argento, c’ha per rovescio una colonna con quella iscrittione di lettere scritte, da me inerpretate: «Senatus PopolusQue Romanus Imperatori Caesari Quod Viae Munitae Sunt Ex Ea Pecunia Quam Is ad aerarium Detulit» havendo l’incontro dell’istoria di Dione, et di Tranquillo, col parere appresso di dottissimi antiquarii, non credo che possa quadrare la sua lettione «Quod Via Numite sunt, Ex ea parte, Quam is ad animum Desumpsit», stante tanto più la iscrittione di quelle ultime lettere, «aD. a E. DE.» che non si può tirare a quel senso. Ma quanto al riverso della medaglia di Augusto, con la figura sedente di Apollo che tiene il plettro e dietro alle spalle l’arco, che giudico possa essere un arco, havendo io veduta in quel tempo che fu disegnata la figura una medaglia non molto consumata, che non dimostrava così chiaro alla vista più da stare, alle carte poi 185, dove vostra signoria giudica che quel Manio Acilio Triumviro, che battè quella moneta, fosse non Triumviro monetale, che noi solemo chiamare signore della cecha, ma Signore sopra la sanità, questo è lontano dal senso di essa moneta, perché quella moneta ha da una parte la testa della dea Salute, infra l’infinito numero di deità adorate dai Romani, delle quali iddii et dee scrive difusamente S. Agostino ne’ suoi libri De Civitate Dei, con iscrittione «SALVTIS». Et ha dall’altra La figura della istessa dea Salute, che con la sinistra sta appoggiata sopra una colonna, et con la destra tiene un serpente, nella forma che si vede in un infinito numero di altre medaglie, che hanno per rovescio Escolapio et Higia col serpente, che è la// [c. 184r] istessa dea. Onde quelle lettere «VALETV.» è Higia, et si deve riferire alla dea Salute, espressa nel dritto, et nel riverso della moneta, et non al Triumviro monetale, o Signor di cecha. Al numero 193 della medaglia di Tiberio, in mani, c’ha per riverso il tempio con le Vittorie, con la iscrittione «ROM. ET AVG.» si risponde che non è fuori di proposito che questo tempio potesse essere quello che fu edificato in honore di suo padre Augusto. Ma essendo dai popoli dell’Asia, a gloria di Tiberio, stato edificato un tempio, per memoria sua et honore della restitutione fatta delle città di questa provincia, rovinate dai terremoti di quel tempo, l’una et l’altra espositione può quadrare alla detta medaglia. E tanto più ritrovandosi ancora nelle medaglie in argento di Claudio, un riverso simile con un tempio, con due figure dentro di esso, con questa iscrittione nel frontispicio «ROM. ET AVG.» et con queste altre lettere dai lati di esso tempio «COM. ASI.», il quale fu dedicato dalla communità della Asia a Claudio imperatore. Onde quella iscrittione in Tiberio «ROM. ET AVG.» non prova che non possa essere stato dedicato tempio ancora a Tiberio. A carta 206 nella medaglia di Claudio, in rame, ha per rovescio quel feroce toro, dove vostra signoria dice che questo potrebbe essere il toro Marathomo, ucciso da Theseo. Non so in che modo possa applicarsi il senso o la dichiaratione, et a qual proposito tirarsi questo toro ucciso da Theseo et dapoi ad Apolline Delfico sacrificato. Ora per ultima obiettione vostra signoria nella medaglia di Tito, in argento, a carta 258, nel rovescio dell’elefante dice che bisogna considerare se è possibile che Tito, che imperò poco più di due anni, possa havere nove volte la Tribunicia podestà, ritrovandosi a detto luogo nel suo riverso da me esposto, cotale iscrittione di lettere: «TR. P. IX IMP. XV COS. VIII P. P.». Onde rispondo che certo, se io non havessi veduto un gran numero di medaglie di Tito in argento et in oro et altre iscrittioni, in Tito, con il titulo// [c. 184v] della Tribunicia potestà, di varii numeri, potrei persuadermi, quando io feci disegnare la presente medaglia di Tito con la medesima iscrittione, so che grande ardire saria il mio, ad opponermi, con qualunque ragione ch’io allegassi, al verace testimonio delle antiche medaglie. È vero, che una gran parte delle medaglie di Tito, in rame, hanno intorno la sua testa tali lettere. «IMP. T. CAES. VESP. AVG. P. M. TR. P. P. P. COS. VIII» ma delle sue medaglie poi in argento, infinite hanno nel loro riverso «TR. P. IX» come è la sua medaglia col tripode per rovescio, con l’elefante, coi prigioni col trofeo, col Capricorno col mondo sotto, col delfino, con la figura appoggiata ad una colonna, con la sella curule con la laurea, et quella c’ha per rovescio la quadriga trionfale. Un’altra sua medaglia in argento, con una deità sedente, c’ha nella destra una pantera, et nella sinistra il cornocopia, ha cotale iscritttione: «TR. P. IIII IMP. XIIII COS. VII». Et un’altra in oro et in argento, c’han per riverso un captivo, che sostenta un trofeo, intorno al quale leggensi queste lettere: «TR. P. XIII COS. VII». Et che più? Noi leggiamo nei libri di Onufrio Panvinio dei Principi Romani a carta 36 in Tito, questa iscrittione chiara, tratta dai marmi, et dalle medaglie, si come esso scrive «T. CAESAR. VESPASIANI AVGVSTI F. VESPASIANVS PONTIFEX TR. P. VIII IMP. XV CENSOR. COS. VII PRINCEPS IVVENTVTIS». Et poi leggesi sotto di questa: «IMP. T. CAESAR DIVI VESPASIANI. AVGVSTI F. VESPASIANVS AVGVSTVS PONTIF. MAX. TRIB. POTEST. XI IMPERAT. XVII. P. P. CENSOR. COS. VIII». Onde noi vediamo poste queste iscrittioni in Tito da Onufrio diligentissimo osservatore delle antichità, stimato sopra// [c. 185r] ogni altro de’ nostri tempi, assegnando a Tito la Tribunicia potestà non pur la nona volta, ma la ottava, la undecima, et nelle di sopra allegate medaglie la quarta, et la terzadecima. Però a questi antichi et veraci testimonii contradire, a me non si conviene, per verisimile ragione, ch’io introducessi, in favore della mia opinione. Ma veramente conosco che vostra signoria et io insieme siamo restati ingannati dalla autorità di Dione istorico greco a quel luogo, dove egli facendo mentione della Tribunicia Potestà, che gli anni dell’imperio de’ Cesari si possono annoverare, con quelle volte che essi riceverono questo titulo di Tribuni, scrivendo esso queste parole: «Gerere quidem Tribunatum plebis nefas ducunt jimperatores, cum utique ipsi patricij sint, omnem vero Tribuniciam potestatem, quanta in quam maxima fuit, accipiunt; et quia quotannis eam cum Tribunis plebis eius anni renovant, amnorum imperij ipsorum hinc summa concipi solet». Ma se noi vorremo osservare la iscrittione nelle altre medaglie dellj jmperatori, della loro Tribunicia potestà, ritroveremo, che non in tutti si verifica, il numero de gli anni del loro imperio incontrasti con quelle volte, che essi furono Tribuni. Et prima si vede, che Tito regnò due anni, et due mesi, non di meno dal tes timonio, che non può mentire, delle medaglie et marmi, si conosce, che detto Principe ricevette, quattro volte, nove volte, et undeci volte, et ancora otto volte, et undeci volte. Il medesimo non ha riscontro in tutte le medaglie de gli Imperatori. Et per darne qualche essempio, noi diremo, che nelle medaglie in rame di antonino Caracalla ritrovasi la sua medaglia, che ha intorno la testa questa is crittione M. aVREL. aNTONINVS. PIVS. aVG. Ha per riverso un sa crificio spra un’ara di tre figure, ciò è di Settimio Severo, di Caracalla, et di Geta suoi figliuoli, intorno alle quali si leg=//[c. 185v]=gono queste lettere: «PONTIF. TR. P. XII COS. III S. C.». Et un’altra pur del medesimo Antonino, con le sue lettere, ha per rovescio la figura di Esculapio, con la sua verga col serpe, che dalla destra ha un’altra figurina et dalla sinistra la sfera del mondo, et si leggono d’intorno «P. M. TR. P. XVIII IMP. III. COS. IIII. P. P. S. C.». L’una di queste medaglie pare essere battuta nell’anno XII, l’altra nell’anno XVIII del suo imperio, se si hanno da annoverare gli anni suoi con la Tribunicia Potestà, rinovata secondo Dione ciascun anno, il che non può stare a modo alcuno, perciò che esso Caracalla non visse più nell’imperio che sei anni e dui mesi, secondo che noi leggiamo nei libri di Onufrio. Il medesimo io ho osservato nelle medaglie di Geta suo fratello, in rame, infra le quali una ne ho con la barba, con tale iscrittione intorno la testa: «P. SEPTIMIVS GETA. PIVS AVG. BR.». Ha per rovescio la dea Fortuna sedente, che sotto la sedia ha la sua ruota, e tiene nella destra il temone e porta nella sinistra il cornocopia, con queste lettere intorno: «FORT. RED. TR. P. III COS. II P. P. S.C.» ciò è «Fortunae Reduci». La qual medaglia, secondo l’osservatione o avvertimento di Dione, parerebbe essere stata battuta a Settimio Geta l’anno terzo del suo imperio; il che è riprovato per falso, scrivendo gli istorici tutti che esso Geta tenne l’imperio insieme col fratello dieci mesi, perché in Roma egli fu ucciso dal fratello in palazzo, essendo esso venuto solamente ventidue anni, e nove mesi. Il medesimo noi possiamo dire di altre medaglie di altri imperadori, che non stettero tanti anni nello imperio, quante volte fu ritrovata in loro la Tribunicia podestà, da che noi non possiam dire, che gli anni del loro imperio si possano computare con quella. adunque essendo io restato persuaso dall’autorità di Dione, //[c. 186r] in quest’altra editione del libro mio, con gli essempi delle memorie antiche, soggiugnerò nell’aggiunta le sudette ragioni. Da che il dubbio che muove vostra signoria intorno la Tribunicia Potestà di Tito viene resolto. Ora, essendomi fin qui lungamente disteso nel discorrere sopra queste materie, et havendo trapassato il segno della lettera, non le sarò più tedioso, ma ben la pregherò con ogni affetto a volermi mandare il rimanente della sua fatica, et delle sue dotte osservationi, che non pur mi saranno sempre carissime, ma giovevoli ancora a questa mia ultima editione del libro, et appresso attenderò la nota delle medaglie. Con che a vostra signoria per sempre mi raccomando et profero. Di Vinegia, li 2 di marzo 1583" (Vicenza, Biblioteca civica Bertoliana, Ms 277, cc. 182v-186r; Missere Fontana 2013a, p. 333-334, notes 47-48, 50-53, 59-60, p. 341, note 148, p. 343-344, notes 170-172; Marconato 2018, p. 321-325).