-Lettre du 24 mai 1727 (de Vienne) : « Vi ringrazio della medaglia papale di Giulio II. La quale se fosse di conio, come è di getto, sarebbe rarissima. Così tuttavia l’ho molto cara, e la terrò nel mio studio, sinchè altra orginale me ne pervenga : poichè nella raccolta delle medaglie moderne non sono si scrupuloso, nè i dilicato, come in quella delle antiche, dove per niun riguardo ne voglio alcuna, che non sia indubitata e sicura. Se il Pescennio in bronzo mezzano, di cui vi ha parlato il P. Colombo, è quello che qui fu portato, e mostratomi dal Sig. Angelo Pappadato, se pur non erro nel cognome, e che in qualità di Segretario venne col. Sig. Conte Leopoldo Tassis ; è sicuramente legittimo, anche a giudizio dell’antiquario di S. M. ma per altro così sconservato, e guasto, che questo signore mi assicurò che non lo apprezzava più di 4 doppie, benchè il possessore ne dimandasse più di un centinaio Io ne presi nota, quando l’ebbi fatto l’occhio. Da una parte vi è la testa di Pescennio laureata ; e dall’altra una vittoria in corso, enente colla destra una corona di alloro, e colla sinistra un ramuscello di palma, e dalla leggenda si ha, che ella era battuta in Cesarea Germanica, o sia Cesarea di Palestina, giusta l’Arduino. CC . Queste notizie serviranno ad assicurarvi, se quella del P. Colombo sia la da me già veduta. Se la Matidia in oro, che ha il Sig. Bernardini, è antica, sicura, e ben conservata, non avrei difficoltà di spendere fino a 15 ungheri per acquistar la medesima. Ella sarebbe singolare, non essendosene veduta alcuna con la testa di Matidia, e col sacrificio di Vesta ricco di otto figure nel rovescio ; ed essendo tale, stupisco come il N. U. Tiepolo se la lasci scappar di mano. Ma il fatto si è, che senza vederla io la credo assolutamente falsa, e l’altrui relazione non assicurata dalla mia propria inspezione non bastrebbe a persuadermi ch’ella sia vera ; tanto lo stimo difficile per la sua singolarità. Eccovi sinceramente il mio sentimento. Egli è mio costume su le medaglie uniche dubitar molto, e creder poco ; e’l fatto si è, che rade volte m’inganto » (Zeno 1752, lettre n° 240, p. 477-478).