Apostolo Zeno - Joan Antoni de Boixadors i de Pinós - 1720-6-20

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Apostolo Zeno, Vienna

Apostolo Zeno - Joan Antoni de Boixadors i de Pinós - 1720-6-20
FINA IDUnique ID of the page  6696
InstitutionName of Institution.
InventoryInventory number.
AuthorAuthor of the document. Apostolo Zeno
RecipientRecipient of the correspondence. Juan Antoni de Boixadors Pacs i de Pinòs
Correspondence dateDate when the correspondence was written: day - month - year . June 20, 1720
PlacePlace of publication of the book, composition of the document or institution. Vienna 48° 12' 30.06" N, 16° 22' 21.00" E
Associated personsNames of Persons who are mentioned in the annotation. Jacques Amyot, Otto Sperling
LiteratureReference to literature. Sperling 1700bSperling 1700b, Zeno 1752, vol. 2, lettre n° 71, p. 124-139Zeno 1752, Zeno 1785, vol. 3, lettre n° 510, p. 138-158Zeno 1785
KeywordNumismatic Keywords  Greek , Athens , Plutarch , Casted Coins , Theseus
LanguageLanguage of the correspondence Italian, Latin
External LinkLink to external information, e.g. Wikpedia  https://archive.org/details/bub gb O TUkH7dxeAC/page/n141/mode/2up
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Grand documentOriginal passage from the "Grand document".

Lettre du 20 juin 1720 (de Vienne): "Dice adunque Plutarco, che Teseo fe battere una moneta in Atene, scolpitovi sopra un bue, per simbolo del toro Maratonio, oppure del Capitano di Minosse, ovvero per eccitare i suoi cittadini all’amore dell’agricoltura : dalla qual moneta dicono essersi appellato l’Ecatombeo e ‘l Decabeo. Le parole di lui sono queste (passage en grec). Le quali secondo la versione di Gugliemo Silandro, significano : Signavit (Theseus) etiam nummum incisum bove, vel ob taurum Marathonium, vel ob Minois Ducem, vel ad agriculturam cives incitans. Hinc ferum Hecatomboeon & Decaboeon dictum. Non diversamente dal Silandro sono spiegate da Ermanno Cruserio : e assai prima dell’uno e dell’altro le traslato Lapo Birago, il giovane, da Castiglionchio, aggiugnendovi però qualche cosa per maggior chiarezza del testo : Nummum praeterea statuit, bovemque in eo incidit, vel ob Marathonium taurum, vel ob Minois ducem, vel quia ad agri cultionem cives provocare vellet, Ab eo nummo dicitur Hecatomboeon, quod est centum boum, & Decaboeon, quod est decem, nomen traxisse. Il Consigliere Jacopo Amiot, la cui versione di Plutarco dopo un secolo e mezzo in circa, è ancora in grande stima appresso i suoi Francesi, benchè in essa sieno stati notati gravi e frequenti errori, trasportò in questa guisa le suddette parole : D’avantage il fit forger de la monnoye, qui avoit pour marque un bœuf, en mémoire du taureau de Marathon, ou du capitaine de Minos, ou pour inciter ses citoyens à s’adonner au labourage : & dit-on, que de cette monnoye ont depuis été appellés Hecatomboeon & Decaboeon, qui signifie valant cent bœufs, & valant dix bœufs. Su queste ultime parole cade il primo dubbio di V. E. poichè interpretandosi letteralmente la versione dell’Amiot, corrispondente a quella altresì del Birago, se l’ecatombeo valeva cento bovi animali, e’l decabeo ne valeva dieci, dovevano queste due monete, e la prima in particolare, essere d’una smisurata grandezza. Per la qual cosa sembrar potrebbe più verisimile il credere, che la moneta del bue battuta da Teseo, essendo di poco peso, e di poco prezzo, l’ecatombeo non fosse che una moneta corrispondente al peso e valore di cento di queste picciole monete bovi, e ‘l decabeo una corrispondente a quello di dieci. Di queste monete non essendo dallo storico specificato il metallo, ne nasce un secondo dubbio ; cioè se fossero d’oro, di argento, di rame, di ferro, o d’altra materia ; sapendosi che fino di stagno e di cuojo n’ebbero gli antichi nella prima loro instituzione. Per proceder con ordine, senza di cui s’imbrogliano, più di quello che si sciolgano le difficoltà, dividerò la materia, di cui debbo trattare per ubbidirla, in alcuni punti, i quali tutti a meglio spianar la quistione contribuiscono. I. Se la moneta appellata bue fosse battuta, o no, con l’impronto di questo animale. II. di qual metallo ella fosse. III. di qual valore. IV. sino a qual tempo si usasse in Atene. V. Se l’ecatombeo e ‘l decabeo, che da essa presero il nome, fossero monete vere e reali, o fittizie e ideali. VI. Se il valore di essi debbasi intendere corrispondente a quello di cento bovi animali, o a quello di cento bovi monete. I. Non sembri punto strano a V. E. ch’io ponga di primo tratto in controversia una cosa, che da Plutarco viene si espressamente asserita : cioè se Teseo in Atene facesse veramente battere una moneta marcata con l’impronto di un bue. Ottone Sperlingio, letterato insigne Danese, pubblicò venti anni sono una erudita Dissertazione sopra le monete non battute sì degli antichi, sì de’ moderni (Amstelaed. 1700. 4. ap. Franciscum Halmam). In essa egli impiega parte del capitolo I. e tutto il XXII. per sostenere che questa moneta bue, e le altre cognominate da essa, fossero di quelle che mai non uscirono dai monetarj : e perchè le parole di Plutarco son troppo contrarie a questo suo sentimento, non si fa il menomo scrupolo di dire, che fallit & fallitur bonus ille philosophus (pag. 143). Egli vuole pertanto, che Teseo altro non abbia fatto, se non insegnare agli Ateniesi il modo d’incidere e tagliare in tante lamine tanto d’oro, d’argento, o d’altro metallo, quanto loro bastasse a comprare un bue : le quali lamine si appellassero bovi, non per esser coniate della figura di questo animale, ma per essere di peso equivalente al valore di un bue : e che quindi ancora fossero dette Ecatombei e decabei le lamine, che a proporzione di peso valessero cento, o dieci bovi effettivi. Tali lamine pertanto e' conclude (p. 146) non esser nummi, o monete di conio, e battute, ma pesi, masse, kommata, kermata, …, tagliate e segate in tal guisa, perchè più agevolmente nei vicendevoli contratti si mettessero in uso : le quali essendo rozze e imperfette, furono un primo abbozzo e modello delle monete, che in progresso" très importante lettre sur les débuts du monnayage en Grèce : Thésée, Phidon d’Argos, Pollux, Homère, Athènes, etc. (Zeno 1752, lettre n° 71, p. 124-139; Zeno 1785, vol. 3, lettre n° 510, p. 138-158).