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A
Lettre sans date (entre le 10 et le 21 mai 1765 (de Paris) : « Non seulement j’approuve l’achat des deux pierres de cinq cents livres, quand elles n’auraient pas le nom grec du graveur, (mais encore) il me suffit qu’elles aient votre approbation » ; « Watelet ne m’a pas parlé de votre médaille ; je n’en suis pas fâché. Il est aimable, mais son genre d’esprit et sa société ne vont pas avec la façon dont je pense sur certaines choses. S’il consulte M. Le Beau, vous serez suffisamment content, et je crois que l’opinion que vous avez du livre de M. Pellerin ne sera pas démentie par la lecture » ; « J’ajouterai à l’article des deux pierres gravées du commencement de ma lettre que non seulement je les achète, mais que si vous en trouvez quelques autres dans cette ville qui vous plaisent et qui soient accompagnées du nom, je vous prierai d’en faire le marché sous condition, et selon l’empreinte et la qualité de la pierre ; je répondrai le même ordinaire la négative, ou remis (remettrai) l’argent soit à M. Bonnet, soit au correspondant que vous m’aurez donné. Si, par la même occasion, vous truvez quelques beaux camées grandeur de bague, je vous prie de me les décrire et de m’en mander le prix ; j’en agirai de même » (Nisard 1877, lettre n° CXXXIII, p. 124, 126-127).  +
-Lettre du 17 juin 1765 (de Paris) : « Le pauvre Zanetti doit être, en effet, bien vieux ; je l’ai beaucoup connu ; il a ramassé de très belles choses ; elles ont acquis entre ses mains une réputation qui les mettra hors de prix à son inventaire. Personne n’est plus dégoûté que moi des brocanteurs italiens. Mais comment faire ? Il y en a peu qui acceptent la proposition de faire faire le voyage aux morceaux désirés, et d’être le maître de les renvoyer, s’ils ne conviennent pas… Ne pensons plus aux camées de Venise, ni à rien de leurs antiquités, et au nom de Dieu, n’ayez aucun chagrin de n’avoir rien trouvé « (Nisard 1877, lettre n° CXXXVII, p. 136-137).  +
Lettre du 23 juin 1765 (de Paris) : « Je suis persuadé que le bonhomme Zanetti n’ira pas loin, mais je ne le suis pas que son cabinet ne monte trop haut à sa mort » ; « J’ai plus tôt fait de vous envoyer uen note que j’ai reçue de remerciements de M. Pellerin pour les médailles de Venise que vous avez eu la bonté de lui envoyer ; si vous pouvez faire ce qu’il vous dit, nous vous serons l’un et l’autre très obligés » ; « L’abbé Galiani retourne à Naples, à ce qu’on dit, où il doit passer quelques mois. Je vous manderai, à son retour, ce qu’il voudra débiter de son voyage. Il m’a promis des antiquités, à la vérité point d’Herculanum. Mais quoiqu’il soit plus fin que moi, je vous promets qu’il ne me fera pas tomber dans aucun panneau » (Nisard 1877, lettre n° CXXVIII, p. 138, 139-140, 141).  +
Lettre du 15 juillet 1765 (de Paris) : « L’abbé Galiani, qui est depuis quinze jours à Naples, m’écrit la lettre du monde la plus pleine d’intérêt et la plus amusante. Il me mande qu’il est arrivé au moment de la mort d’un curieux qui depuis longtemps achetait indifféremment le bon comme le mauvais, et dont les bronzes peuvent peser cinq quintaux. Il me décrit son pays comme barbare, plein de voleurs et d’une ignorance crasse. Il compte que ces bronzes seront vendus au poids, et que, maître de choisir, il me fera un quintal des monuments les plus curieux. Quelque succès qu’ait cette négociation, j’avoue que ce genre de marché, peu commun parmi les antiquaires, me divertit beaucoup. J’ai donc accepté sa proposition, et de quelque façon que ce soit, nous pourrons en parler soit en bien, soit en mal » (Nisard 1877, lettre n° CXLI, p. 147-148).  +
Lettre du 22 juillet 1765 (de Paris) : « Je viens d’envoyer la réponse que vous faites à M. Pellerin. Il en sera pénétré et je vous remercie d’avance et de tout mon cœur. Galiani fera tous les contes qu’il voudra, mais je me livre à la plaisanterie du quintal d’antiquités « (Nisard 1877, lettre n° CXLII, p. 152-153).  +
Lettre du 29 mai 1559 (de Civitanova): "Basta, che non è stato per non far conto di voi; che v’amo, e vi stimo quanto amico ch'io abbia; e qualche cosa da vantaggio: per esser voi medaglista, e per darmi anco delle medaglie; ch’è più. Or; non guardando alle parole che ci sono state; delle sei medaglie che mi profferite, la seconda, e la terza mi piacciono; e ve ne renderò per esse altrettanto amore. Dico per quella della spica, e delle lettere AMI. e dell’ altra con ΑΠΕΙΡΩΤΑΝ. e se le darete al sig. Marco Antonio Piccolomini, che me n’ha da mandare dell'altre, me ne farete piacere: ed io ve ne darò larga ricompensa. E state sano. Di Civitanova, alli XXIX. di Maggio. M. D. LIX." (Caro 1725b, lettre n° 122, p. 187; Castellani 1907, p. 318).  +
Lettre du 20 novembre 1557 (de Parme): "Io mi ritengo di V. S. cinque medaglie, una d'argento, ch’è l’Augusto con un tempio colonnato; per rovescio, con una statuetta dentro. Le lettere che sono nel cornicione dicono: DIVO IVLIO, e la stella che è nel timpano, è la Cometa. Intorno non si leggono altre lettere che queste: … TER. DESIG. nel dritto dice: IMP. CAESAR. DIVI. F. III VIR. R. P. C. L'altre quattro sono di rame, piccole; l'una è di Romolo Imperatore con queste lettere: DIVO. ROMVLO. NVDIS. CONS. che credo voglia dir: LVDIS. CONVLARIBVS. per rovescio ha un tempio tondo, con queste lettere: AETERNAE. MEMORIAE. La seconda è di Magnenzio, che nel dritto ha queste lettere: IMP. CAES. MAGNENTIVS. AVG. per rovescio, uno Imperatore armato, che calpestra un prigione; e intorno: VICTORIA. AVG. LIB. ROMANOR. V. Sig. dice che io le rimandi la Roma Galeata con Magnenzio. in questa non è Roma Galeata. Ma, se intende pur questa, la rimanderò, ancora che la riterrei volentieri per la continuazione di questi Imperatori bassi, per mal garbata che sia. Ce ne sono due altre, che le tengo solo per poterle leggere; il che non mi è venuto fatto sin' a ora. Tutte l'altre che portai di vostro, ve le rimando. E di mio vi mando un Postumio d'argento, al qual manca solo una lettera, la quale ho riscontrata con un altra che n' ha il Tagliaferro, che dice: C. POSTVMI. I. A. che è di più, e nella vostra non c'è: e nel rovescio vedete che la testa è di Diana senza dubbio. Vi mando ancora il medaglino d'Atalarico, il dritto del quale è un Giustiniano; e, se ben nella mia le lettere non si leggono troppo bene; per vostra chiarezza, n'ho vista un'altra pur del Tagliaferro, che dice : D. N. IVSTINIANVS; cioè Dominus Noster. Il fano io non l'avea. il medesimo Tagliaferro ve lo manda, e vi si raccomanda. L'altre due Greche, che saranno con le vostre, io l'avea doppie, e però ve le mando, e ve ne manderò dell'altre alla giornata. L'Ercole Romano, nè l'Antioco, io non truovo d'averle. Ma io n'aspetto una quantità; se vi fara, ve la manderò. il sig. Facchinetto dice d'aver i duo vostri libretti, e che ve li manderà. Altro non m'occorre, se non raccomandarmi a V. S. alla qual bacio le mani. Di Parma, alli 20. di Novembre, 1557" (Caro 1735, lettre n° 65, p. 94-96; Castellani 1907, p. 323-324).  
Lettre du 8 mars 1558 (de Parme): "Alla lettera di V. S. de' 17. del passato non mi accade di dir altro, se non lodarla dell'onorata fatica che ha presa per interpretar le medaglie: e presupponendo che ‘l suo modo sia buono, poichè procede con l'autorità, non le dirò altro; rimettendomi a considerarle meglio quando saran fuori, o, per dir meglio, ad approbarle; che non penso che mi ci accaggia a far altro. Quanto a me, V. S. non ha da dubitar ch'io mi vaglia dell'interpretazioni che mi mostrò l'anno passato; perch'io non sono in questa data di scrivere sopra di ciò: e, se ci scrivessi, non mancherei di quanto mi si conviene per suo, e mio onore; avvertendola che 'l mio quaternetto ch'avete veduto sopra di ciò, non è altro, ch'un poco di ripertorio, e d'annotazioni sopra le mie medaglie particolari, il quale non ha a servir per altro, che per uso mio, e per riscontro di quelle che mi vengono alle mani di giorno in giorno. Sicchè V.S. attenda pure a farsi onore da sè, e non pigli fatica di far menzione di me in questo genere; perchè non mi curo d'esser tenuto di questa professione, non ci attendendo per altro, che per mio passatempo. Sopra la medaglia che V. S. dice di M. FABI. non ho che dirle cosa alcuna, perchè io non l'ho. Ma questo carattere * è vulgatissimo per infinite medaglie che l'hanno, e non è altro, che 'l segno del danario che si faceva in modo così X. ch'è la nota del diece; dipoi si tagliava nel medesimo modo che l'altre lettere numerali, e si faceva *, siccome D. V. per mostrar che fossero note di numeri si tagliavano in questo modo * D. V. Quel ... TOR. io penso che voglia dir IMPERATOR, come si vede in molte altre: e non mi ricordando d'aver visto, nè letto che in niuna medaglia fosse mai nè CVNCTATOR, nè DICTATOR, se la nota che v'è dinanzi, vi par piuttosto un N. che un M. è anco più ragionevole, perchè nella Casa Fabia è molto più frequente il prenome di Numerio, che si segnava con l’N. che di Marco, che si segna con l’M. anzi che questo prenome di Numerio è peculiare di questa Casata, e dinanzi a questa non fu in famiglia alcuna patrizia. questo l'ho detto per modo d'avvertimento. V. S. se ne vaglia a cercar il resto; e me l'offero, e raccomando sempre. V. S. averà inteso poi che non accade ch'io lo raccomandi al Sig. Jeronimo Tagliaferro, perchè il povero gentiluomo ci ha lasciati; il che le dico con grandissimo dolore. e con questo fo fine. Di Parma, alli 8. di Marzo, 1558" (Caro 1735, lettre 66, p. 96-97; Castellani 1907, p. 314-315).  
Lettre du 5 octobre 1560 (de Viterbe): "Imperò, cercando la sua vera figura, secondo ch'ella m’impose, per quel che n’ho trovato scritto, per quello che n’ho cavato da M. Pirro Ligorio, famoso antiquario in Roma, e per una medaglia d’argento donatami dal medesimo, e fatta (secondo si crede) da’ Napolitani in onor d’Augusto, ho visto alla fine come la finsero, e come la figurarono, non senza mio sommo piacere. parendomi che V.S. si possa contentare del corpo dell’impresa, poichè la figura è diversa, come ella volea, da questa triviale. Cosa nuova, e vaga alla vista, e, quel ch’importa, quella stessa che gli Antichi intendevano per Sirena. Io le scriverei più lungamente e sopra la favola, e sopra la forma, se mi trovassi, come ho detto, i luoghi degli autori in pronto: ma, non gli avendo, basta che le dica che le Sirene erano, o si voleva che fossero, marittime, o litorali, piuttosto che marine. E, riscontrando la descrizion d’essa col rovescio di detta medaglia, la sua figura dal mezzo in su, al volto, al corpo, ed alle braccia ignude, è pur d’una vergine: e dal mezzo ingiù, alle piume, ai piedi, ed a tutta la fattezza, è d’una gallina; salvo che l’ali sono in su gli omeri della vergine: e con assai bella grazia porta in ciascuna mano una tibia, o un flauto che vogliamo dire: con una attitudine, che, quando sia ben ritratta, credo che farà quella bella apparenza che si ricerca nell'impresa. Però desiderava farla ritrar dalla medaglia, da qualcuno che disegnasse bene. perchè la prima si piglia per esempio di tutte l’altre; ma, non potendo farlo per difetto di disegnatore, con questo poco di schizzo che ne le mando, ho voluto mostrarle a un dipresso come la facevano. E quanto al motto, avrei voluto che fosse di qualche autor celebrato, o Greco, o Latino, o Volgar, che fosse; che ancora questo importa che venga di buon luogo. Nè anco in questa parte potendo far diligenza senza leggere, le dirò semplicemente l’oppenion mia dell'anima che mi pare che dovesse avere. E, se bene ho inteso il suo concetto, credo che s’esplicasse comodamente con parole simili: ECQVIS HINC CAVEAT? che vuol dire: CHI SE NE GUARDEREBBE? non si dovendo temere male alcuno da una cosa tale, che tutta insieme non rappresenta, e non promette altro che umanità, innocenza, e dolcezza. Che mi parrebbe a bastanza per giustificar se, e mostrar la natura di quel suo accidente" (Caro 1725b, lettre n° 145, p. 222-224; Castellani 1907, p. 318-319).  
Lettre du 18 mai 1557 (de Parma): "[...] Circa le medaglie non resto di seguitare, ed ogni dì l'erario multiplica. Aspetto con desiderio quelle che m'avete procurate. E senza aspettare la partita di messer Alessandro vi prego a consegnarle in mano del signor Giovanni Pacini insieme con la dechiarazione de gli rovesci, facendo un piego d'ogni cosa, e mettendovi dentro le medaglie, che tutto verrà sicuramente. Del Gallicola (sic), se non si truova pazienza, non mi parendo onesto ricercarne al signor Tomaso, per non rompere i suoi conserti. Quanto a dire che bisognerebbe trovargli una ricompensa, vorrei saper volentieri d'aver qualche cosa che gli piacesse, che glie ne mandarei subito, senza aspettar altro da lui, e mi sarà caro che mi mandiate una nota di quel che gli manca, perché se sarà appresso di me, o d'amici miei, sarà compiaciuto. E vi prego a baciargli le mani da mia parte. [...]" (Caro 1959 vol. 2, p. 243-244).  +
Lettre du 15 septembre 1562 (de Rome): "A M. Fulvio Orsino, a…..Troppe cose mi domandate in una volta, e con troppa fretta, volendo esser servito così subito, come già per due vostre m’avete sollecitato in un giorno medesimo. Pure, dicendomi che v’importa la celerità, mi son messo tutta questa notte a razzolar le mie medaglie; non l’avendo ancora a ordine, per modo che le possa trovare in un tratto; come spero di poter fare. Ora, rispondendovi capo per capo secondo le vostre interrogazioni: HILARITAS PVBLICA, queste due parole a punto non ho trovato ancora in medaglia alcuna: ma sì bene in tutti i modi sottoscritti: HILARITAS. Questa in Comodo d’argento, è una Dea vestita di lungo, con la destra appoggiata sopra una palma, e nella sinistra tiene un corno di dovizia. In Giulia di Settimio d’argento la medesima, in Didia Clara di bronzo; la medesima. HILARITAS AVGG. in Tetrico d’argento; con la medesima figura di sopra. HILARITAS P. R. in Adriano di Bronzo, e d’argento; pur con la stessa figura, ma con due figurette di più dagli lati. Queste sono mie medaglie. Il Pierio ne cita due; una di Faustina, con lettere sopradette, e con una figura, che nella sinistra tiene un corno di dovizia, e nella destra un tirso vestito tutto di frondi, e di ghirlande: l’altra col corno medesimo da una mano, e con un ramo di palma nell’altra, che gli passa sopra al capo. Con questa dell’Ilarità, si può porre quella che è fatta con questo nome, LAETITIA. In Giulia di Severo; una figura di donna che con la destra sparge la mola salsa sopra l’ara; con la sinistra tiene un timone. SECVRITAS TEMPORVM. nè anco queste due dizioni trovo così accoppiate: ma sì bene come appresso vedrete. e prima semplicemente: SECVRITAS. In Nerone; una donna che siede, e si riposa con un'orecchia sopra la destra, e con una gamba stesa oziosamente. Il Pierio la dichiara, quanto al riposarsi in questo modo, con un luogo di Plinio: Nihil est, quod in dextram aurem, fiducia mea dormias. e la gamba stesa, con un'altro di Luciano: Et, illud quod in votis omnium est, extensis pedibus tandem occubare possis. Questa in Elena di Costantino di bronzo, è solamente una figura di donna che siede. In Lucilla; una nutrice, che siede con tre bambini intorno, de’ quali uno allatta, e due le scherzano a’ piedi. SECVRITAS AVG. in Gallieno d’argento; una figura di donna che sta dritta: con la destra tiene una corda, con la sinistra un’ancora. In Ostiliano; un’altra simile, che con la sinistra s’appoggia a una colonnetta, e con la destra tiene un ramo di palma. SECVRITAS AVGVSTI. in Nerone citato dal Pierio; una figura di donna che siede; innanzi ha un’ara; con la sinistra tiene una bacchetta, con la destra si sostiene il capo. SECVRITAS AVG. in Gallieno d’argento; una figura di donna che con la destra tiene una palla, con la sinistra una lancia, col cubito appoggiato a una colonnetta. SECVRITAS AVGG. in Gordiano; una donna che siede con lo scettro in mano. SECVRITAS PVBLICA. in Antonino di bronzo; una figura di donna togata, e ammantata; appoggiata a un’asta. SECVRITAS REIP. in Giuliano di bronzo; un bue sciolto dal giogo. In Valente; una Vittoria. In Onorio; una figura con la destra appoggiata a un’asta; con una palla nella sinistra. SECVRITAS P. R. in Ottone d’argento; una figura di donna in piedi; nella destra con una tazza, nella sinistra con uno scettro, o lancia. SECVRITAS IMPERII. in Settimio Geta d’argento; una figura, con la destra che tiene una palla, con la sinistra appoggiata al seggio. SECVRITATI PERPETVAE. in Antonino di bronzo; una figura con la destra appoggiata al seggio, con la sinistra a un’asta. In M. Aurelio; una figura che con la sinistra si regge il capo, con la destra tiene una verga. SECVRITAS ORBIS. in M. Giulio Filippo; una donna che siede; con la destra tiene una saetta, con la sinistra in alto appoggiata al seggio. Della Pace (terzo vostro quesito) nelle medaglie si trova così: PAX. In Lucio Vero d’argento; una figura di donna; nella destra ha un ramo d’olivo, nella sinistra un corno di dovizia. In Trajano d’argento; una figura dritta; con la destra abbrucia l’arme con una facella; con la sinistra tiene un corno simile. PAX AVG. in Antonino d’argento; col ramo d’olivo, e col corno, come nel Vero. In Gordiano d’argento; con l’olivo, e con lo scettro. In Vettorino di bronzo; il medesimo. PAX AVGVSTA. in Massimino di bronzo; con l’olivo, e con lo scettro. PAX AVGVSTI. in Vitellio di bronzo; con l’olivo, e col corno. In Tacito di bronzo; nella destra con le spiche, nella sinistra con l’asta. In Gordiano; col ramo, e con lo scettro. PACI AVGVSTAE. in Vespasian d’oro; a sedere, col ramo, e con lo scettro. PAX ORBIS TERRARVM. in Ottone d’argento; nella destra con le spiche, nella sinistra col caduceo. PACI ORB. TERR. AVG. in Vespasian d’argento; il capo solo grande della Dea, con bella acconciatura, mitrato, e turrito. Queste sono le descrizioni che trovo della Pace, quanto alle medaglie. Negli Autori si vede descritta variamente ornata quando di spiche, quando d’oliva: alcuna volta col lauro; alcun’altra con solo caduceo. Ed è stata alle volte figurata che porti in braccio Pluto, Dio delle ricchezze, in forma di putto cieco, con una borsa in mano. vedete il Giraldo. Io non so, se mi domandate queste figure, per descriverle, o per rappresentarle, o per dipingerle. Però vi aggiungo che si deve far bellissima d’aspetto; saper che è compagna di Venere, e delle Grazie; Signora de’ Cori; Regina de le Nozze. Quanto all’altra domanda, della Giustizia; sotto questo nome non la truovo nelle medaglie, salvo una volta, così: IVSTITIA. in Adriano d’argento; una donna a sedere, con la tazza nella destra, con l’asta nella sinistra. Negli Autori poi sapete che si fa figliuola di Giove, e di Temi: di forma, e d’aria di Vergine; d’aspetto veemente, e formidabile, e con occhi fieri: non umile, non atroce; reverenda, e con una certa melanconica dignità: e, che presso gli Egizj si fingeva senza capo; e jeroglificamente era significata con la man sinistra distesa. Da altri è stata fatta, a sedere sopra una lapida quadrata, in una mano con la bilancia pari, dall’altra con una spada occulta sotto l’ascella. nel qual modo la feci fare per la sepoltura di Paolo III. ed appresso con le secure, e con le falci. Ma in luogo di IVSTITIA, nelle medaglie si trova quasi in tutte, AEQVITAS. e AEQVITAS AUG. In Gordiano d’argento; nella destra con la bilancia, nella sinistra col corno di dovizia. In Trajano, in Gallieno, in Nerva, in Treboniano, la medesima. Quanto all'ABVNDANTIA; con questa parola non è manco nelle medaglie; che io sappia. in suo luogo si pone ANNONA. e nelle mie trovo così: ANNONA AVG. In Adriano di bronzo, e d’argento; una misura da frumento con le spiche dentro. In Antonino, in L. Vero; la medesima. In Antonino di bronzo; la Dea Cerere, con le spiche nella destra, stesa sopra una prora di nave; ed una misura frumentaria: nel qual modo sapete che significavano l’Annona marittima. In Antonino; un’altra con la medesima figura, che tiene le spiche, e ’l corno di dovizia; ed a’ piedi una misura, come le sopradette. ANNONA AVG. in Treboniano Gallo; con la destra tiene un timone; con la sinistra le spiche; che ancora in questo modo significavano l'Annona provista di mare. Della Religione; io non trovo; che nè anco sotto questo nome ho medaglia alcuna appresso di me. nè so che sia citata da altri. Ve ne sono bene infinite, con questo: PIETAS. In Druso; il capo solo della Dea, velato, mitrato; e così in altri luoghi. In M. Antonio Triumviro; con la sinistra tiene un corno di dovizia; con la destra come un timone; ed appresso è una picciola cicogna. In T. Elio; una Dea in piedi, con le mani aperte, e supine verso il cielo. In Faustina; con una mano si tiene un lembo della vesta, con l’altra sparge la mola sopra l’altare. In Adriano; con una tiene il lembo nel medesimo modo; l’altra è supina verso il cielo. In Lucilla; ha l’ara innanzi, e la tazza rovesciata sopra l’altare. In Treboniano; con la destra stesa, e col corno nella sinistra. In Treboniano medesimo; con le braccia, e con le mani aperte, guardando il cielo. In Decio giovine; un giovinetto mezzo ignudo; nella destra un non so che, che si discerne; nella sinistra un caduceo. In Plautilla; con la destra tien l’asta; con la sinistra un bambino. PIETAS AVGG. in Valeriano; insegne, ed istrumenti augurali. In Carino; il medesimo. Salonina; una donna a sedere con due bambini innanzi, ai quali stende non so che; e con la sinistra s’appoggia a un’asta. PIETAS AVGVSTAE. in Ottacilla; con una mano supina verso il cielo. PIETAS PVBLICA. in Giulia di Severo; una figura in piedi avanti all’ara, con ambe le braccia aperte, e con le mani supine verso il cielo. Della Munificenzia, non ho medaglia alcuna, se non quella d’Antonino di bronzo; che sta così: MVNIFICENTIA AVG. e per rovescio ha uno Elefante. Ed una simile in Settimio Severo. non so se, perché questo animale sia di natura munifico; o perchè volesse significare la munificenzia di quelli Imperatori, che producessero gli Elefanti negli spettacoli. Vi ho messo distintamente, come ho trovato e nelle medaglie, e negli Scrittori, per supplire al mancamento ch’avete voi costì de’ vostri libri, e delle medaglie. Del resto fate il giudicio da voi, che io non ci voglio far altro. E non mi par d’aver fatto poco, a non dormir questa notte, per non mancare alla fretta che me ne fate. Vi prego a baciar le mani al padrone da mia parte, e raccomandarmi a tutti. Di Roma, alli xv. di Settembre. M. D. LXII" (Caro 1725b, lettre n° 186, p. 295-301; Bernetti 1907, p. 111; Castellani 1907, p. 325-329; Greco 1961, lettre n° 671, p. 123-127; Daly Davis 2012, p. 40-44).  
Lettre du 3 février 1560 (de Rome à Lucca): "(...) ma, venendo accompagnate con un presente di medaglie (umor mio principale) e di tante in una volta, voglio che sappiate che m’hanno dato una contentezza suprema. Ed, oltre che mi sieno state tutte carissime, e preziose, per l’animo con che me l’avete donate, siate certo che, ancora quanto alla qualità d’esse, mi sono in maggiore stima che voi non pensate. Perchè ce ne ho trovate assai buone, ed alcune rarissime. tanto che il mio erario, il quale ebbe quasi il primo tesoro da voi, ora n'è divenuto sì ricco, che comincia a competere con i più famosi degli altri antiquarj: e, se la rimessa che mi promettete di Lione, è tale, spero di superarli. Ora io mi trovo tanto sopraffatto dalla liberalità, e dall'amorevolezza vostra, ch’io non so da qual parte mi cominciare per ringraziarla, non che per riconoscerla" (Caro 1725b, lettre n° 129, p. 199-200; Castellani 1907, p. 318).  +
Lettre du 23 mars 1538 (de Rome, à Florence): "Il Libro non s'è ancor veduto, nè manco il vetturale che lo portò; essendo costì, rinvenitelo voi. L'interpretazione della medaglia, che si desiderava dal Maffeo, è questa: Che gli Egizzj, volendo significare un'uomo d'alti pensieri, e volto alla contemplazione delle cose celesti, facevano un'Elefante col grugno rivolto in suso; e volendo significar la prudenza nelle cose del mondo, figuravano un Serpente: e questo è il significato del dritto, per dinotare lo spirito, e la sagacità di Cesare; e credo che la medaglia fosse coniata quando egli fu Pontefice Massimo: e per questo nel rovescio sono le quattro insegne pontificie, ed augurali, ma sono sì mal ritratte, che appena si possono conoscere. Quella di mezzo è la secure, o 'I malleo, o la secespita, che se la chiamassero, con che ammazzavano le vittime. Quello che pare un pesce polpo, è l'albogalero. Quella che simiglia a una sferza, è l’aspersorio: e quell’altro, a uso di scomberello, è l’haustorio" (Caro 1725a, lettre n° 18, p. 23; Castellani 1907, p. 316-317).  +
Lettre du 3 juillet 1563 (de Rome): "Ho ricevute le vostre medaglie, o, per dir meglio, quelle ch'avete pensato che siano medaglie; che non sono veramente degne di questo nome. Or non vi par questo un bel modo d’entrare a ringraziarvene ? E’ bello, e buono tra veri amici. E pur ve ne ringrazio, e ve ne tengo maggior obbligo che se m’aveste mandate le più belle, e le più rare che si possino avere: e non solamente medaglie, ma cammei, e gioje, e qualunque altra più preziosa cosa si vegga dell’antico; considerato (come dite) l'amorevolezza con che me le mandate, e la prontezza di provedermene: e, per Dio, anco il giudicio in questa parte, di mandarmele tutte qualunque si sieno. Perchè questo è il più sicuro modo da poterne scer le migliori, o le men ree. Ed io vi mostrerei di tenermene soddisfatto del tutto, come me ne soddisfo in questa parte dell’animo vostro; se non che, io non voglio frodarvi in quel che siete così liberamente, e sinceramente con me; e della dimanda che in ciò mi fate del mio parere. Vi dirò dunque che mi sano state carissime, e preziose, quanto merita d'essere stimata l’intenzione, la diligenza, e la liberalità con che me l’avete proviste, ed inviate; e la promessa che mi fate di provedermi, e d’inviarmi dell’altre: ma che per loro stesse non sono da stimarle. Nondimeno il Signor Giannotto Bosio, e ’l gentiluomo che l’ha portate, hanno veduto con quanta allegrezza l’ho ricevute: e quanta festa ho fatto loro intorno, per venirmi da voi. Questo sia detto liberamente per vostra instruzione" (Caro 1725b, lettre n° 206, p. 350-351; Castellani 1907, p. 319-320).  +
Lettre du 19 juin 1565 (de Rome): "La lettera di V. S. col presente delle medaglie mi trovò malato, siccome sono ancora, se ben migliorato di molto" ; "Quanto alle medaglie; dopo quelli ringraziamenti ch'io ve ne debbo; mi rallegro con voi del profitto ch'avete cominciato a fare in questa professione; nella quale v'è piaciuto volermi per maestro; perchè sono state la maggior parte buone nel genere loro; ma di quelle d'argento ce ne sono state fino a tre che mi sono sommamente care: perchè io non l'avea, e non so chi altri se l'abbia. che questa è una delle qualità che fa le medaglie preziose. L’altre tutte sono buonissime, e necessarie a chi non l’hanno; ed a me sono carissime, perchè so con che animo l’avete mandate. Ma, perchè l’ho tutte, si tengono per voi con molt’altre ch’io ho: perchè a me basta di accrescere il mio conserto di quelle che mi mancano. Del resto io desidero, e voglio che diventiate antiquario, e medaglista ancor voi. E per voi tesaurizzo, con animo di farvi in poco tempo, per un principiante, assai ricco; avendone di molte che a me sono d’avanzo. e non intendendo che me ne sappiate grado alcuno; perchè una che ne tragga da voi che non abbia io; che n’ho pur molte; mi paga con la sua rarezza quante ne possiate aver da me: e non me ne fate nè danno, nè incomodo alcuno; perchè in ogni modo quelle che m’avanzano, soglio donare ad altri; ed ora si serbano per voi. Sicchè, quando potrete attendere, seguite l'imprese; che farete peculio ancora per voi, e delle vostre, e delle mie che ho di soverchio. che così va tra galantuomini questa pratica di medaglie; che chi n’ha poche, ne riceve assai; e l'uno accomoda l'altro: e così chi comincia, vien presto a notabil somma" (Caro 1725b, lettre n° 244, p. 417-420; Castellani 1907, p. 320-321).  +
Lettre du 25 octobre 1551 (de Rome): "A messer SILVIO ANTONIANO, a Ferrara. Se non vi ho risposto prima, abbiate pazienza, come io l’ho d’un catarro, che n’è stato cagione; e m’ha concio questi giorni come Dio vel dica. Io ricevei prima la vostra de’ xij. di questo, e leggendola mi fu presentata la seconda de’ v. Nè finita di legger questa, comparse il libro del Sig. Pigna con la sua di tanti mesi innanzi, appunto in su quel che la vostra mi faceva menzione del suo libro, e di lui. Vi dico questo caso; sì perchè mi pare uno scherzo della fortuna, come perchè possiate dire a S.S. quanto tempo è stata la sua per viaggio. Ora mi rallegro prima dell’arrivo a salvamento di vostra madre; la quale saluterete da mia parte. Io le diedi a portarvi alcune medaglie: e non so perchè non mi diciate il ricevuto. Sarà pur vero che ne tegnate quel conto ch’io vi dissi. Mi piacerebbe se venisse dal grand’animo ch’avete: ma gli magnanimi ancora sogliono stimare le cose piccole, massimamente quando alcuna circostanza o del dono, o del donatore le ringrandisce. Ed in questo proposito vi voglio ricordare un’altra volta, che, se ben di qua se ne trovano per le vigne; non ce ne sono però le cave, come della pozzolana. E che, se non sono delle bellissime, e delle rarissime, non sono ancora nè tanto plebee, nè tanto disgraziate; che almeno la fatica d’averle procacciate non meriti una musata, se non un gran mercè. Ma sia con Dio; da ora innanzi spenderemo la nostra diligenza in cose che sieno più proporzionate alla vostra grandezza. Nè però ci assecureremo tanto di questa vostra sprezzatura, che ve le lasciamo un’altra volta razzolar tutte a senno vostro; poichè, quando l’aveste nelle mani, mostraste di stimarne qualch'una. E forse che non cavaste (come si dice) l’occhio della pignatta. Or quanto alla nota de’ rovesci; io non ve l’ho domandata per fare impresa d’interpretarli; ma perchè voglio tutti quelli che posso avere, per potere alle volte col riscontro di molte legger le lettere di tutte; supplendo quelle che sono intere, e bene impresse, a quelle che sono difettose, e logore. Questo è bene un preparamento alla dichiarazion d’essi. Ma io non ho tempo d’attendervi. Ed, avendo voi quest’animo, come dite, non voglio mancare di dirvi il modo che terrei, poichè me ’l domandate. La prima cosa, scriverei tutte le medaglie che mi venissero alle mani, o delle quali io potessi aver notizia, e i diritti, e i rovesci loro diligentemente, con tutte le lettere, così come stanno appunto, segnando quelle che non ci sono, o non appaiono, con intervalli, e con punti, con certi segni che mostrassero se sono o d’oro, o d’argento, o di bronzo, e con certi altri, che facessero conoscere, se sono o grandi, o picciole, o mezzane: e separatamente le Consulari dalle Imperatorie, e le Latine dalle Greche. E per ordine de’ tempi, il meglio che si potesse per la prima bozza. E questo scriverei, (partendo il foglio in due colonne) nella colonna prima; e secondo che le scrivessi, così terrei in un'altro libretto una tavola per alfabeto di tutti i nomi che vi trovassi, ed anco delle cose. Di poi studiando, secondo i nominati ne’ libri, riscontrerei i nominati nelle medaglie, e trovando i medesimi nomi, paragonerei i rovesci con le azioni; e le lettere, e le note delle cose con le descrizioni. E così si verrebbono a far di belli interpretamenti, tanto nelle medaglie, quanto ne’ libri. E queste io noterei brevissimamente a rincontro nella seconda colonna, con la citazione degli autori donde si fosse cavata, e non altro. Ed ognuno che studiasse, vorrei che facesse il medesimo, lassando agli altri il vano per quello non trovassi io. E questo è quanto occorre di dirvi intorno alla domanda che m'avete fatta. Resta, che se ’l trovate buono, lo mettiate in opera; che farà bello studio, e dilettevole. E per esempio, ne manderò una raccolta quando sarà in essere, con quelle poche annotazioni che si saranno fatte infino allora o da me, o da chi si sia. Quanto ai versi che m’avete mandati, come volete ch’io dica che non mi piacciono? Con la pena che mi proponete, in caso ch'io gli lodi, me gli fate lodar per forza. perciocchè vi siete avveduto ch’io farei peggio che dirne bene, acciocchè voi me ne mandaste spesso. Vi dirò dunque che sono bellissimi. Ma, se non me ne date il castigo che dite, di farmene vedere ogni settimana; non loderò più nè loro, nè voi. Vedete, a che stretta vi siete messo da voi medesimo, per astuto che siate: che vi bisogna, o mostrarvi infingardo, e non farne; o scoprirvi ambizioso, e confessare che le mie lode vi piacciono. Staremo a vedere come vi governerete. Dell’onorata compagnia che mi nominate, Al Sig. Cesano io sono già servitore di molt’anni, Il Pigna mi tengo già per acquistato. A questi due basta che mi raccomandiate, e mi tegnate in grazia. Col Signor Maggio io non ho per ancora entratura. E, per esser uomo tanto singolare, desidero d’esserli servitore. Se vi basta l’animo di far che m'accetti; offeritemeli, e voi state sano; e studiate. Di Roma, alli xxv. d’Ottobre. M. D. LI." (Paris, Bibliothèque nationale de France, Département des Manuscripts Italiens, Ital. 1707, fol. 255r – 256; Caro 1725b, lettre n° 7, p. 11-14; Bernetti 1907, p. 112-113; Castellani 1907, p. 313-314; Greco 1959, lettre n° 374, p. 109-111; Daly Davis 2012, p. 36-37).  
Lettre du 14 août 1555 (de Rome à Ferrara): "Se non rispondo così presto alle vostre lettere, come vorreste, la cagione è ch'io ho troppo da fare; e ch'io piglio sicurtà più volentieri di quelli che mi sono più intrinsechi. Tiro (come voi dite) la carretta tanto, che Dio voglia che non mi scortichi. La medesima cagione m’ha fatto negligente a procacciarvi le medaglie. M. Stefano del Bufalo m’ha promesso alcuna di quelle che domandate; ma non ho fino a ora avuto tempo d’andare a trovarlo a casa. Lo farò a ogni modo. Ma io non vorrei che voi pensaste che quì se ne faccia la ricolta, come de’ lupini. Dico così, perchè ognuno se le tiene strette il più che può: pure vi ajuteremo tutti a farne un conserto. Io ho paura che quell'amico me l'abbia calata d'un Vitellio, e di certe altre che non ritrovo. Da che egli le razzolò, non l’ha vedute niun'altro. Io ho piacer che l'abbia fatto; ma, per non entrare in altri sospetti, vorrei che gli faceste confessare il cacio da galantuomo; perchè glielo perdono volentieri, come vizio virtuoso. Tanto più che ha mostro di non essere un goffo, a non attaccarsi alle più cattive. Non vi potrei dire, quanto contento ho preso risentire che ’l Pigna vi ha tolto in protezione: perchè, se ben non lo conosco di vista, è persona che si è fatto conoscere da ognuno: e dagli suoi scritti ritraggo che sia dotto, e studioso molto" (Caro 1725b, lettre n° 49, p. 80-81; Castellani 1907, p. 319).  +
Lettre du 1 juin 1558 (de Parme, à Rome): "Ho ricevute le dieci medaglie, e mi sono state carissime per loro stesse, e per conoscere la prontezza con che me l'avete mandate. Ve ne ringrazio quanto io posso. L'Augusto con l'arco m'è piaciuto sommamente. Quello de’ mirti m’è caro per conto del rovescio, ancorachè sia di bassa lega. Se vi abbatterete in un'altro migliore, donerò via questo. L’Otacilla, e la Severina, sono anch’esse recipienti per ora, l’altre l’ho tutte; ma non per questo mi sono discare, per la varietà de’ rovesci. Vorrei che m'aveste scritto quel che v’ho da mandare per conto d'esse: e per l’avvenire l'avete a far sempre: perchè io non intendo che le cortesie che mi fate, vi sieno dannose. Anzi, oltre alla ricompensa della valuta, vi voglio esser davantaggio debitore d'ogni servigio, e tener memoria dell’amorevolezza vostra. Vi ricordo che diceste mandarmi un Caligula, ed un Floriano. Di grazia, se potete, mandatemeli subito; perchè possa compir l'ordine di certe tavole ch'io fo. Se quelle del Signor Bozzale non si possono avere, aspetteremo che ci capitino alle mani per altra via; giacchè se ne truovano ogni dì. Quella de' GRAC. penso che sia de' Sempronj: ed io l’ho con una Quadriga: ma l’altre lettere non dicono come le vostre: però, quando sia netta, me la potrete mandare. E, volendomi dar notizia d’altre medaglie, scrivetemi sempre tutte le lettere, appunto come stanno, majuscole. e descrivete il rovescio, e l’effigie. Io vi priego a baciare le mani alla Signora Lucia Bertana da mia parte. e state sano. Di Parma, addì primo di Giugno. M. D. LVIII." (Caro 1725b, lettre n° 98, p. 152-153; Castellani 1907, p. 318).  +
Lettre du 1 octobre 1558 (de Parme): "Voi sapete con quanta impazienza sopporto ogni indugio che mi sia fatto intorno alle medaglie: e però, se non vi ho scritto infino a ora che mi mandiate quelle che voi mi dite d'aver già pronte, senza che me ne scusi, potete pensare che sia proceduto da ogn’altra cosa, che da far poca stima o di loro, o di voi. le cagioni saprete poi; che non voglio ancora con questo, indugiare a dir che me le mandiate. E vi prego a farlo quanto prima, indrizzandole pur, come solete, in mano del vostro giovine. Il Caligula, in qualunque modo si sia, m’è necessario per finire una tavola. Alla giornata me ne procacciarete uno più netto, perchè il mio conserto s’ha da riformare più d’una volta per le vostre mani. Gli altri che mi nominate, credo d’aver tutti: desidero nondimeno di vederli, e spezialmente il Massimino; che, migliorando, gli piglierò sempre; e non mi curo d’averne anco più d'uno, per poterne accomodar gli amici. De’ versi, m'avete fatto maravigliare; perchè d’antiquario mi siete in un subito riuscito poeta. Dell’onore che mi fate con essi, vi ringrazio; e vi lodo anco dell'ingegno che ne mostrate; ma non già del giudicio che fate di me, e della sterilità del soggetto che pigliate: pure farò pensiero che ancora questi sieno medaglie, se non di materia Corintia, almeno di mano di buon maestro. ma da qui innanzi, per onore delle vostre fatiche, improntatele in miglior metallo: o piuttosto, in lor vece, mandatemele delle antiche, o con l’ antiche l’accompagnate sempre: perchè così mi saranno doppiamente care. Ma in tutti i modi tutte le cose che mi verranno da voi, mi saranno carissime. E di queste di nuovo vi ringrazio. Di Parma, il primo d'Ottobre. M. D. LVIII" (Caro 1725b, lettre n° 106, p. 166-167; Bernetti 1907, p. 113-114; Castellani 1907, p. 318).  +
Lettre du 18 février 1736 (de Pesaro): “Al disegno di questa Patera vi sono aggiunte sei medaglie etrusche, quattro sue, e due mie ; ed in oltre una del Sig. [...] di Gubbio, di cui ebbi questa scorsa [...] il disegno. Ho scritto di nuovo al Sig. Ab. [Servafori] per avere il disegno delle sue che se gli sarà permesso dalla sua, per quello mi si dice, mal ridotta salute, mi manderà, ed averò io l’onor di trasmettergli. Vorrei aver avuto, la med. Sorte colla Minerva del Museo [Ardizi] mà il Padrone doppo avermi tenuto da settembre in qua nella parola, vedendomi poi importuno per finirla una volta, si è fatto negare in casa, ed hà usato altri simili modi, de quali [...] io, non sono più in istato di ricercarne. Oggi appunto per l’ultima volta sono andato à casa sua col Pittore, e non si è trovato chi avesse le chiavi” (Firenze, Biblioteca Marucelliana, BVII21, cc. 119r-120v – online).  +
Lettre du 18 mars 1736 (de Pesaro): “Ricevei la gentilissima sua l’ordinario doppo, e ne averà avuto a quest’ora riscontro unito al disegno della statua di Minerva del Museo [Ardizi]. In questa le accludo il disegno della medaglia etrusca del Ab. [Gervasoni]. In mezzo al suo gravissimo male hà pensato à mantenermi la parola. Non hà fatto disegnare il diritto, non essendovi cosa di particolare, ma solamente una testa di Giove barbato, con quelle medesime due stellette da un lato, che si vedono nel rovescio. Mi hà bensì ordinato, che la [...], quando ella non voglia nel Museo Etrusco pubblicare tal medaglia [c. 125v] a rimandarmi il disegno, che egli rivorrebbe. Gli hò scritto pregandola ancora, se può dare una occhiata alle sue cose, di qualche altro disegno di monumento etrusco” (Firenze, Biblioteca Marucelliana, BVII21, cc. 125r-126r – online).  +
Lettre du 2 juin 1736 (de Pesaro): “Sarà molto bella la disertazione del S. Cav. Guazzesi sopra gli Anfiteatri Toscani. Quando si voglia fare entrar Gubbio nella Toscana è da avvertirsi, che Teatro e la Fabbrica, che resta sia in piedi in parti, e non anfiteatro. [c. 138v] Deve venire quanto prima a Pesaro il fratello del Sig. Ab. [Gervasoni] e vedrò se vi sarà maniera di avere la copia delle sue [...] Quella medaglia del suo museo, di cui le trasmisi ultimamente il disegno, non è già inedita come io supposi. Pubblicolla il Sig. Marchese Maffei nella Verona Illustrata par. 3 accidentalmente mene sono ingegnato io di spiegarla in una dissertazione che hò scritta adesso per ordine de Sigg. dell’Accademia di Cortona” (Firenze, Biblioteca Marucelliana, BVII21, cc. 137r-138v – online).  +
Lettre du 25 août 1736 (de Pesaro): “Queste girandole mi han tenuto fuori fino a sabato scorso, in cui men tornai a casa, con portare una buona raccolta di medaglie consolari radunate per la Romagna, tra le quali il principal luogo tengono il cistoforo di Ap. Pulcro battuto in Cilicia nel tempo del suo governo, la medaglia d’oro della gente histria, ed un’altra similmente d’oro segnata col solo nome di Roma" ; "E perché ella veda che io del suo affetto ne faccio tutto il capitale eccomi a darle un incomodo. Tra i molti acquisti di medaglie consolari fatti da me ultimamente, mi sono venute una quantità di duplicate delle quali vorrei disfarmi, come di cosa inutile, per potere col ritratto supplire ad alcune spesarelle fatte ultimamente. Le accludo per tanto una nota fatta secondo l’ordine dell’Orsino, nel quale potrannosi riconoscere quali medaglie siano. Io non le ho pesate ma non credo di sbagliare asserendo che saranno ventisette oncie d’argento in circa, poco più o poco meno. Questo argento così fino, quale è quello delle medaglie consolari, si vende per puro argento nove pavoli e tre quarti, e fino a dieci pavoli l’oncia. Onde io delle medaglie non ne vorrei meno di 16 ruspi. La prego dunque far diligenza se trovasse compratore in Firenze, dal quale per farmi il favore compito, può ella procurare di cavarne di più, essendo il prezzo di 16 ruspi quel meno al quale io possa darle” (Firenze, Biblioteca Marucelliana, BVII24, cc. 25r-26v – online).  +
Lettre du 9 décembre 1736 (de Pesaro): “Il Sig. Apostolo Zeno, al quale scrissi il suo progetto, mi risponde di avere per quei medesimi sigilli trattato in Roma intavolato dal Padre Baldini, ma che quando non avesse avuto quello effetto, avrebbe in contraccambio preso il Museo Fiorentino e quelle sue medaglie d’argento ; e però sarebbe bene che ella di queste ne facesse una nota delle teste e de’ rovesci più rari, e me la mandasse, che io poi la trasmetterei al medesimo Sig. Apostolo.” (Firenze, Biblioteca Marucelliana, BVII24, c. 30r – online).  +
Lettre du 29 avril 1737 (de Pesaro): “Le mandai già tempo fa i disegni di alcune medaglie semietrusche che erano presso il Sig. Avv. Passeri e il Sig. Ardizi. Or bene io adesso non solamente tengo tutte quelle, ma col beneficio di questa cava ho formata una serie di medaglie di secoli antichi di Roma e di Italia, che credo sia qualche cosa di particolare e spero che nel ragionare delle medaglie nella mia cava scoperte, potrò portare qualche osservazione, forse da niuno ancor fatta” (Firenze, Biblioteca Marucelliana, BVII24, cc. 37r-38r – online).  +
Lettre du 18 novembre 1737 (de Pesaro): “Scriverò al Sig. Apostolo Zeno, quanto ella mi impone in riguardo a’ suoi sigilli, e gli scriverò ancora che ella ha 160 medaglie imperiali d’argento, essendo più facile che a cagione di queste egli s’induca al puro baratto. Si assicuri in somma che io non mancherò domani sera di servirla ; ma sarà difficile che egli voglia mandarli [c. 45 v.] per esser semplicemente veduti” (Firenze, Biblioteca Marucelliana, BVII24, cc. 45r-46r – online).  +
Lettre du 15 mars 1738 (de Pesaro): "Il Co. Gherardesca a lei similmente presenterà un simile esemplare ed unito vi riceverà l’altra dissertazione del nummus e reus che [c. 158v] le ritorno" ; "Vedrà presto una mia dissertazione sopra due medaglie sannitiche, scritta son già due anni, e intorno alla quale avrei mille cose da dire” (Firenze, Biblioteca Marucelliana, BVII21, cc. 158r-159r – online).  +
Lettre du 20 avril 1738 (de Pesaro): “Quanto al Pittore ed intagliatore hò communicata la sua stim.ma lettera a questi SS.ri, i quali prima di pensare cosa alcuna definitivamente, aspettano di sentire che cosa saranno per dire in risposta di quanto le significai nello scorso ordinario. Al S. Co. Montani farò la sua ambasciata; intanto hò avuto piacere di leggere la sua che almeno il nuovo antiquario numeri le medaglie” (Firenze, Biblioteca Marucelliana, BVII21, c. 162r – online).  +
Lettre du 25 janvier 1744 (de Pesaro): “Per altro hò letto tutto e con avidità l’accennato libretto, e se per una parte hò trovata occasione di mortificarmi per l’onore che le è piaciuto di farmi, vi hò per l’altra trovate cose che mi sono molto piacciute, e segnatamente, giacche per la stessa ragione non mi posso allungare, la sua conghiettura che la e della nostra iscrizione di Pesaro possa essere un misto di o ed u, ossia l’8 de’ Greci, che si accosterebbe molto più frontale di quella iscrizione al [...] di Esi- [c. 210v] chio, che portai nell’ultima dissertazione sopra le medaglie Sannitiche” (Firenze, Biblioteca Marucelliana, BVII21, cc. 210r-v – online).  +
Lettre du 30 janvier 1745 (de Pesaro): “Dal nostro Passeri ho ricevuto il disegno delle due medaglie Pesaresi ch’ella si è compiaciuta favorirmi. Non dubito di chiamarle tali, perché la prima col Cerbero è la stessa stessissima che fù dal [...] pubblicata, e veduta poi dallo [Spandemio] in cod. Galleria, colla intera parola [...] Colla testa d’Ercole coronata di pioppo da una parte e il Cerbero dall’altri. Nell’Agostini vedesi l’imagine di questa medaglia ma siccome non doveva essere eccellente la conservazione così in vece delle lettere vi son fatti i puntini. Non potendo adunque dubitarsi che Pesarese non sia la prima ne viene in conseguenza che pur Pesarese dee giudicarsi l’altra se non nei simboli almeno e nella fabrica, e nella Iscrizione somigliante. Non così facile però sarà l’indagare a qual tempo precisamente debba riferirsi la medaglia, la quale non può credersi se non anteriore alla deduzione della colonia seguita l’anno 570 di Roma, e probabilmente ancora alla conquista di questa Provincia fatta [c. 222v] da Romani cent'anni prima” (Firenze, Biblioteca Marucelliana, BVII21, cc. 222r-v – online).  +
Lettre du 9 octobre sans an (de Pesaro): “Per arricchire questo di nuoni monumenti non mancherò di far disegnare e le Patere particolarmente ricercate, e tutto ciò che ella giudicherà più a proposito ; ma la prego farsi accordarmi nel servirla la dilazione fino a mezzo novembre, poiché avendo noi qui una strepitosa opera, ci troviamo imbarazzati di tal maniera, che non è possibile aver un’ora di requie, ed io oltre l’essere oppresso dal divertimento, e dalla soggezzione, ho la casa piena di Forestieri, tanto che mi si rende impossibile il far ora quel che vorrei dunque. Dunque allora le farò disegnare le due Patere con permissione ; la Minerva del museo Ardizi che è molto bella, alcune medaglie di Gervasoni, di Passeri, e mie, si pure [c. 233r] così a lei piace ; ele manderò il disegno del mio amore che feci fare due anni sono, con intenzione di farlo intagliare, quando ella sia in pensiero di pubblicarlo, e dirolle allora ancora la Istoria di questa bella statuina” (Firenze, Biblioteca Marucelliana, BVII21, cc. 232r-233r – online).  +
Lettre du 2 décembre 1773 (de Pesaro): “Ho la medaglia di Trajano con quello che fu creduto una volta porto di Ancona, e che credesi in oggi rappresenti il famoso ponte del Danubio. E’ ben conservata ; l’ho esaminata con la lente ; nè ho saputo vedervi un Nettuno, nè canne, nè ſigure sopra l'arco" (Rubbi 1796, p. 109, lettre 147).  +
-Lettre du 30 nov. 1666 : sur l’utilisation faite par Francesco Boncompagni d’un orfèvre bolognais pour l’achat d’antiquités à Venise (Archivio di Stato di Firenze, Carteggio d’artisti, XII, 136 ; voir Missere Fontana 2001-2002, p. 217, note 56).  +
-Lettre du 10 fév. 1674 : sur la vente de la collection de la famille Musotti détenue par Lodovico Foschi : « Quel Foschi che ha lo studio di medaglie del quale anni sono ne trasmisi a V.A. l’inventario sta per vendderlo come ha fatto i dissegni, e altre cose. E il prezzo credo che potrebbe essere cento doppie in crica, benche altre volte ne habbia chiesto mille scudi ; ho procurato che me lo voglia consegnare da vedere diligentemente, ma non vi è verso a persuaderlo, credendo ben poscia io peraltro, che ei non facesse una porcheria per pensiero come sarebbe a diredi cambiarne, o nasconderne veruna. E del tutto ho voluto farne parte a V.A. Ser..ma per suo avviso » (Archivio di Stato di Firenze, Carteggio d’artisti, XIV, 552 ; voir Missere Fontana 2001-2002, p. 214, note 34).  +
-Toulouse, Bibliothèque d'étude et du patrimoine, Ms 796 (II, 865) - Catalogue d'une collection de médailles antiques. Rédigé en français; cette collection contenait surtout des pièces du Haut-Empire; à la fin, notes sur la valeur de l'as romain. Papier; hauteur 220 mm; XVIIIe siècle. Reliure en parchemin (Molinier 1885, p. 452).  +
'A scrappy and summary list of coins survives, entitled ‘Catalogue of the Lady Carteret’. This must be John Carteret’s mother selling the collection ‘during his minority’ (see [[Ainsworth 1719-1720 by Thomas Birch|FINA 14448]]). The relevant pages consist of a summary bill, dated 22 April 1704, and with various bits of arithmetic. It shows that the collection was very large, almost 6000 pieces. The document shows the purchase of 5803 coins and medals at a total price of £669 6s 0d.' (Burnett 2020b, pp. 376-7)  +
'A manuscript list, today described as a ‘catalogue of paintings, coins, portraits, &c of the Bodleian Library with the names of donors’ has a summary list of the coins in the collection.507 It is thought to have been compiled ‘?by Humphrey Owen, before he was librarian, about 1740–47’. The first pages, numbered 1 to 8, give a summary of the ‘Cimelia’, ‘Numismata & alia cimelia’ from 1601 to 1747, including the coins acquired from Archbishop Laud in 1636 until 1747.' (Burnett 2020b, p. 442)  +
'The papers of Sarah Sophia Banks include an extensive catalogue, with commentary, of ‘Saxon Coins in the Collection of James West Esq<sup>r</sup> Sep<sup>r</sup> 10 1744,’ running to 22 pages. It includes three pages of ‘An Account of the Saxon Coins found at Bath in the Foundations of the Priory [blank space] in the Possession of Mr Lord & transmitted to me by James Mundy Esqr for my inspection.’ There is also a shorter (16 pages) account of ‘Saxon Coins of James West Esq<sup>r</sup> Thursday Aug 29<sup>t</sup>h 1744,’ annotated on one leaf ‘For Mr New’.' (Burnett 2020b, p. 1298)  +
-Inconnu, Icones imperatorum romanorum cum eorum epitaphiis et sub fine vita Alexandri et ejus Testamentum. pet. in- 4 rel, anc. doré sur tr. Manuscrít sur vélin, qui paraît avoir été exécuté vers la fin du 15ème siècle, et décoré d’une migniature et des médaillons de la plupart des empereurs, depuis Jules César jusqu’à Constantin le grand, peints d'une manière fort délicate à l’imitatíon des médailles antiques de bronze: il fut autrefois dans la bibl. de N. J. Foucault, et c’est le N. 790. du Cat. des livres de M. le comte de Wassenaer Obdam (Van Damme 1807, p. 102, n° 633).  +
'The British Library has a volume of papers concerning Simonds D’Ewes, mostly concerned with coins (BL Add MS 22916). There are two principal groups. ... The second group consists of copies of the introductory notes D’Ewes had been preparing for his unpublished ''Thesaurus Numarius Romanus'', and are copied from Harley MS 255, which also included rough drafts listing his coin collection in various ways. The copies were made c. 1700 by someone with access to the D’Ewes papers. It is tempting to think that they were made by Humfrey Wanley, who was also interested in coins, and whom we know had seen the inventory of D’Ewes’s coin collection (presumably Harley MS 255), when he was sorting through D’Ewes’s papers in 1703, prior to their purchase by Robert Harley in 1705. The handwriting, however, is different from his, so we must assume that the copies were made by someone else. One of the documents copied in the manuscript (ff.25–8) is a listing of the Gorlaeus collection, arranged by metal and giving the numbers of coins of each Roman emperor, or Republican family. Totals are also given, including for Greek coins, but unfortunately the Greek coins are not listed. Its title shows that it dates to 1608–11, after the death of Gorlaeus in 1608 and before it was bought by Prince Henry in 1611: Impp: Romanorum antiquisima rarissima nec non varia singulorum Caesarum numismata, a Julio Caesare ad Heraclium, quae Abrahamus Gorlaeus collegit, et haeredes possident<br> [Very ancient and very rare coins of the Roman emperors, and varied specimens of individual Caesars, from Julius Caesar to Heraclius, which Abraham Gorlaeus collected, and his heirs possess]. Each section, after itemising its contents by emperor, gives a summary. They are: (after gold):<br> Numismata suprascripta 474<br> Sunt et alia superioribus haud dissimilia 173<br> Praeter haec sunt etiam alia Impp: post Heraclium 30<br> Consularia 30<br> Graeca 108<br> Summa aureorum 825<br> (after silver):<br> Numismata suprascripta 2907<br> Sunt et alia superioribus haud dissimilia 1874<br> Graeca 754<br> Gothica 62<br> Summa 5597<br> (after bronze)<br> Numismata suprascripta 2230<br> Sunt et alia superioribus haud dissimilia 522<br> Praeter haec sunt etiam Graeca 160<br> Summa 2912 (after consular silver)<br> Numismata suprascripta Coss: 1470<br> Sunt et alia superioribus haud dissimilia 842<br> Summa 2312 These section totals are then summarised at the top of f.29r: Summa omnia aureorum, argenteorum, et aereorum, quae in hoc indice posita sunt 11642<br> Superioribus hisce sepositis, sunt et alia aurea, argentea, et aerea, de quibus an vere antiqua sint dubitatur 1618 (13260)<br> Sunt et aurei, argentei, et ferrei annuli antiquissimi et rarissimi plusquam ducenti, quos imperatores et Consules Romani gestarunt, et obsignandum usi sunt:<br> Sunt etiam antiquissimi preciosi incisi lapides, ut Achates, Onyx, Heliotropium, Sarda, numero 200<br> [Total of all gold, silver and bronze pieces, which are recorded in this list: 11642<br> Separated from the above are also other gold, silver and bronze pieces, concerning which it is doubtful whether they are ancient: 1618 (13260)<br> There are also more than 200 gold, silver and iron rings, very ancient and very rare, which the Roman emperors and consuls carried, and used for signing There are also very ancient and valuable cut stones, such as agates, onyx, heliotropes and sard, 200 in number] The total of 13,260 is exactly the same as in the letter of 1601, so we can conclude that Gorlaeus had not acquired any coins after 1601, and that he had not been successful in selling any of his duplicates. As this listing is immediately followed by the report of the Commission of 1640 (on which, see below), it is clear that the original must have been a listing made at the time of the purchase of the coins by Prince Henry in 1611. D’Ewes would have access to it in 1648, when he was appointed in charge of the Royal collection with Patrick Young, the royal librarian and his friend. However, D’Ewes was clearly using the list in the letters he wrote to Smetius in 1647 (FINA [[Simonds D'Ewes - Johannes Smetius - 1647-8-7|4199]] & [[Simonds D'Ewes - Johannes Smetius - 1647-12-14|4208]]), so it seems likely that Young would have shown it to him before then, especially if it is correct to think that Young looked after the royal collection after 1640. As we have seen, they were friends and regular companions. It is possible that the c. 1610 listing was either the same as or based on that made by Daniel Heinsius who, several years later, in [[Daniel Heinsius - Simonds D’Ewes - 1642-5-14|his letter to D’Ewes of 1642]] had mentioned that he had made an ‘index’ of the collection. We do not know when Heinsius made his ‘index’ or exactly what it may have included; but the word ‘index’ is also used in the inventory here. Since the collection still included 12,916 coins in 1640, it is clear that Prince Henry bought all 13,260 coins on offer.' (Burnett 2020b, pp. 1413-14)  
'A single sheet of paper has been labelled in modern times as ‘[Draft of catalogue of Roman denarii in Laud coll:]’: Bodleian Library, MS Num f. 10 a C17 85. It was folded into four parts, this giving eight columns, on which are catalogued 67 Republican and 94 Imperial denarii. The list is incomplete and breaks off in the middle of Trajan. But the coins do not correspond to those in the Laud collection (as listed in [[Catalogue of Archbishop Laud's Coins - Oxford, Bodleian Library - MS Laud Misc. 554|Bodleian Library, MS Laud Misc. 554]] and [[Catalogue of Archbishop Laud's Collection of Coins - Lambeth Palace Library - MS 225|Lambeth Palace Library, MS 225]]), so it must be something else.' (Burnett 2020b, p. 412 n. 276)  +
-Madrid, Biblioteca Nacional de Espana, MSS/12939/27, f° 13-19v : Noticias de los monetarios de D. Pedro Leonardo de Villaceballos, natural de Córdoba.  +
-Toulouse, Bibliothèque d'étude et du patrimoine, Ms 792 (II, 109) - 1. « Numimata Imperatorum et Cæsarum Romanorum. » Catalogue en latin d'une collection de médailles de César à Valèrien; les verso des feuillets sont restés blancs et ont reçu quelques additions. A la fin, deux tables, l'une des noms de lieux, l'autre des noms de personnes; Dans l'ordre Chronologique. Papier; 279 feuillets et 85 pages; hauteur 240 mm; XVIIIe siècle; une seule main. Reliure du temps en veau. Ancien 380. (Molinier 1885, pp. 451-452).  +
'This catalogue of the Cambridge University collection lists 610 coins, divided into several sections: ff.1-5: Numismata Graeca: 1 gold, 21 silver and 8 bronze<br> ff.7-19: Numismata Consularia Arg.: 62 silver<br> ff.20-24: Numismata Imperialia Aurea: 28 gold<br> ff.25-42: Numismata Imperialia Arg.: 115 silver, to Honorius<br> ff.43-71: Numismata Imperialia Aerea: 212 bronze, to Honorius<br> ff.73-4: Saxon and English Coins: 11 Anglo- Saxon; 1 Scots; and 1 Ferdinand V de Castille (?)<br> ff.75-81: English Coins: 51 coins to Charles II, latest date 1670<br> ff.83-98: Modern Coins of different Countries: 99 coins, including pieces dating from the late 17th century, down to 1693 The date of compilation must be later than the latest coin listed, of 1693; in addition, there are references on f.41 to Banduri’s description of a coin of Magnus Maximus, thereby giving a terminus post of 1718; and on ff.12, 14, to Morel, pushing the date forward to after 1734.<br> But what exactly is this volume? Various notes have been added on the fly-leaves and on paper inserts: : This is perhaps the catalogue of Perne’s bequest to the university; see notes on Perne in the drawer of seal matrices. J. C. T. Oates observed that the MS Catalogue of the Gale Colln and this catalogue are in the same hand, both probably late 18th century. [in the hand of Graham Pollard; but there seems no trace now of the Perne notes referred to]; : But it includes modern coins of the 17th century which must be additional to the Perne collection [M.A.S. Blackburn’s hand] : By Grace of 30 April 1856 the Coins & Medals of the University Library were transferred to the Fitzwilliam Museum [unattributed]; : This Catalogue was transferred to the Fitzwilliam Museum, 8 March, 1894. J. W. Clark, Registary. : PERNE’S COLLECTION. The only known record of the coins is in the Baker MS in the University Library in which Baker transcribed a eulogy of Perne which began the catalogue and its imprint, proof that once there was a printed catalogue of the collection. NB: The MS catalogue of the Gale collection of the Perne (?) collection are in the same hand, which is probably late 18th century. J. C. T. Oates. 21 X 64 [typewritten note]. It can be seen that the catalogue has variously been connected with Perne, and that its hand has been associated with that of the Gale catalogue, and that both have been dated to the later 18th century.<br> The second point is somewhat confusing since there are in fact two copies of [[Gale, Roger - Catalogue of the coin collection of Roger Gale|the catalogue of Gale’s collection]]. The original Gale catalogue, dated to January 1737, is in Gale’s own hand, and it is the later, undated copy that is in the same hand as this more general catalogue. This means that 1744, the date of Gale’s death, when the catalogue presumably went to the University Library with Gale’s coins, is the ''terminus post quem'' for both the copy of the Gale catalogue and for this more general catalogue, and both can be seen as parts of the same process, written by the same person and applying the conventions of the original Gale catalogue to both parts. Both volumes are the same size, although the Gale catalogue is much longer and the general catalogue has been re-covered at some point, perhaps in the 19th century. The coins listed in the general catalogue bear a convincing correspondence with the description of the coins in the University Library given by Uffenbach in 1710.' (Burnett 2020b, pp. 401-2)  
'There is a strange and undated list of ‘ye following Medalls in Esteeme,’ which were ‘Rece’ed from ‘Docter Trumbull’. It is written on the back of a letter addressed to ‘Mrs Heath: Akehurst at her house in Letherhead Surrey,’ but that does not mean that it was she who made the list, as it may just be a piece of reused paper. However, Alexander Akehurst is known as the person who rebuilt Emlyn House or The Mansion, Leatherhead Church Street, now Leatherhead Register Office. But no collector of that name is attested. The list consists of two parts, written in different hands and both undated. The first is written in a rather childish looking hand. It uses childish language and makes many mistakes, e.g., the conflation of Olybrius and Glycerius (‘Olicerius’): <q>[f.54v] Rec’ed from Docter Trumbull y<sup>e</sup> following Medalls in Esteeme<br> The most rare<br> Julius Caesar ... in gold<br> Augustus) in Copper Large for y<sup>e</sup> small are Common<br> Tiberius )<br> Brittanicus<br> Otho ... in Copper<br> Pertinax<br> Didius Iulianus<br> Percennius [sic] Niger is y<sup>e</sup> most rare after Otho in Copper<br> Gordianus<br> Herrennius Etruscus – in Gold<br> Hostilianus<br> Aemilianus<br> Soloninus [sic] Gallienus<br> Quintillus<br> Saturninus<br> Firmius<br> Dioclesian [sic] – in Gold & in Copper<br> Valerius Maximianus in gold and in Copper large<br> Valerius Severus<br> Martinianus<br> Crispus Large in Copper<br> Delmatius<br> Nepotianus<br> Nigrinianus<br> Julian ye Apostate in Copper Large<br> Martianus<br> Petronius max:<br> Mecilius Avitus<br> [f.55r] Leo<br> Majorianus<br> Libius Severus<br> Anthemius<br> Olicerius<br> Iulius Nepos<br> Basiliscus<br> Romolus [sic] Aug<br> Zeno in Copper<br> Tiberius Mauritius<br> Tiberius Constantinus in Silver<br> Leontia<br> Heraclitus [sic]<br><br> More common<br> [in three columns; col. 1:]<br> Claudius<br> Nero<br> Vespatian<br> Titus<br> Domitian<br> Nerva<br> Trajan<br> Hadrian<br> Faustina<br> Valentinianus<br> Honorius<br> [col. 2:] Lucius Verus<br> Antonius<br> Marcus Aurelius<br> Commodus<br> Septimius Severus<br> Iulia Domna<br> Antonius Caracalla<br> Geta<br> Antonius Heliogab<br> Theodosius<br> Iustinianus<br> [col. 3:] Iulia Mamea<br> Maximin<br> Gordian Iunr<br> Philip Father & Son<br> Trajanus Decius<br> Trebonianus Gallus<br> Volusianus if not in gold<br> Flavius val: Constantius<br> Constantinus<br> Arcadius<br><br> The Most Rare of Greeke Medalls<br> [in four columns; col. 1:] Amintas<br> Antipater<br> Pharnaces<br> Gelon<br> [col. 2:] Cleopatra<br> Cassander<br> Attalus<br> [col. 3: Ptolomies y<sup>t</sup> have the Sr name<br> Trophon<br> Eumenes<br>[col. 4:] Bachides<br> Phileterus<br> The other greeke princes are Common<br> [f.55v]<br> Note that y<sup>e</sup> Medals of the Roman Emp<sup>rs</sup> in Greeke of silver are rare<br> Of the Grecian Princes those in Copper are more rare then those of silver and gold<br> On the contrary, those of the greeke Cities in Copper are more Common.<br> There are Consular Medals w<sup>ch</sup> are all of the Roman Families of these it is dificult to know y<sup>e</sup> good.<br> The Medalls that are not exprest here are rather good than bad.<br> There are none so common but they become rare of they are of an Extraordinary size and very faire & have a head of each side or have a good reverse or above all if y<sup>e</sup> Reverse be onley an Inscription.</q> This summary is followed by a more detailed list in another hand (ff.56–63), which gives full descriptions of 130 large bronzes (mostly AE1, some AE2) from Julius Caesar to Postumus, with references to Oiselius 1677, Occo 1684, and Vaillant 1694, thus establishing a terminus post quem. But the coins in the second list do not coincide with those in the first (e.g., no Britannicus or Pescennius Niger), so it may be unrelated: perhaps each one was taken from a separate volume of the catalogue described above? Some are marked FALS or DUB, and with B, R, RR or C, and there are various numbers from (1) to (11) which look like tray numbers.<br> The list looks as if it were made by the person who bought the collection, but his or her identity is unclear, as is the subsequent fate of the coins.' (Burnett 2020b, pp. 1550-1)  
Ms 1226, Manuel de numismatique, d’après Morelli, Banduri, et Beauvais. Notice sur Guillaume Beauvais, par Jean-Jacques Bruand, XVIIIe-XIXe siècle, papier, 140 feuillets, 180x118 mm, reliure en cartonnage, écritures de diverses mains. F° 1, «Médailles consulaires... publiées par Morel » ; f° 25, «Index nominum consularum romanorum quae in nummis antiquis cernuntur... « (écriture de J.-J. Bruand) ; f° 40 «Nottice sur M. Beauvais, auteur de l’Histoire abrégée des Empereurs», par J.-J. Bruand ; f° 133, «Tables des empereurs, impératrices, etc.», par J.-J. Bruand Note : Jean-Jacques Bruand (1769-1826), homme politique (local), avocat, homme d’affaire et collectionneur, se suicida après le suicide de son fils en 1826. Il possédait un médaillier de 8 000 monnaies dont 60% d’antiques.Sa collection fut achetée 8 000 francs par la municipalité, en 1827. Les Mss 1723-1724 de la bibliothèque municipale de Besançonsont les Catalogues du médaillier de Jean-Jacques Bruand, et notes relatives à sa collection par lui-même, commencement du XIXe siècle, en deux volumes de 334 et 131 feuillets, papier,243x185 et 235x118 mm, portefeuilles en carton recouverts de basane, autographe (notice CCFr). Il y a quelques informations sur ces catalogues dans un article de Guy Labarre, «Hérô et Léandre dans le médaillier de Besançon», DHA, 39, 1 (2013), pp. 107-120 (CAIRN): «Les catalogues de la collection J.-J. Bruand établit par lui-même à diverses reprises se trouvent à la Bibliothèque d’étude et de conservation de Besançon. Tous ne sont pas datés, mais il vont de l’»état somaire de mon père ainsi que je l’ai eu en 1795» (folio 212) à 1806, 1809 et 1811 (folios 1 à 15).» (p. 112). Labarre donne en note un total partiel, au f° 205, de 7269 monnaies.  +
-Besançon, Bibliothèque municipale (info : Guy Meyer) -Ms 1227, Recueil de numismatique romaine, XVIIIe siècle, papier, 325 pages, 243x175 mm, demi-reliure basane, écriture de trois mains distinctes. Page 1, « Numismata aerea selectiora imperatorum romanorum..., quae notata sunt asterico x, hos omisit Vaillant, recenset Rotlinus”; Page 1472, «Numismata praestentiora, aurea et argentea, a Julio Caesare ad Tyranos usque » ; Page 261, «Prix des médailles, par M. Vaillant», et autres extraits de la main du P. Dunant, capucin de Besançon.[gardien des capucins d’Auxonne] » ; Page 309, «Médailles impériales en argent ».  +
'MEMORANDUMS FOR INTELLIGENCE<br> To Mr. Trench Naples the 16th Septemb 1712<br> NEWS CONCERNING THE ARTS: as<br> 1) What new Works in Statuary, Painting or Engraving?<br> 2) What Antiques discover'd, or publish'd in Print &c?<br> 3) What Painters, Sculptors or Engravers of any note or young Men who are promi arrive at Rome from other Places, or are sent for to England, France , Germany, or taken Prince's or great People's Service?<br> 4) What Drawings, Pictures, Heads, Statues, Bassi Relievi, Medalls or other Pieces of modern or antique, are bought, or pass from hand to hand, or are publickly or secretly be sold? And of what valew esteem'd?<br> 5) In particular concerning Ioseppe Cari, What single Piece of his (being one of his best sort) may be had, at an easy Price' (O'Connell 1988, p. 177; Burnett 2020b, p. 1047)  +
'My wife (who sends you a thousand thanks for your kind accounts of my younger one) wrote you word in her sister's, how I was now taken up and diverted by antiquities, medals, and chiefly drawings, and pictures brought to me every day to see, my acquaintance in these matters beginning now to enlarge, and my discoveries proving more successful.' (Rand 1900, pp. 468-70; Burnett 2020b, p. 1047 n. 340)  +
'You will find me, if alive, entertaining myself very busily with drawings, sketches, prints, medals, and antiques, which as well as pictures and other virtuoso-implements are brought often to my chamber and bedside; ... If you could bring with you a good book or two relating to medals, I should be very glad. I can get none here but the Italian ; none either in Latin or French.' (Rand 1900, pp. 493-4; Paknadel 1974, p. 295; Burnett 2020b, p. 1047)  +
'The FEL. TEM. of the first volume-plate (which is all happiness from the right balance, liberty, and ancient model of religion) is a noted medal-inscription for ''felicitas temporum'' or ''felicia tempora''.' (Rand 1900, pp. 529-31; Burnett 2020b, p. 1047 n. 344)  +
-Lettre du 25 juillet 1738 (de Gloucester): Hears B. has fine silver medals of Alexander the Great & of Antony & Cleopatra, will he sell them & if so for how much. Is B. inclined to seel his whole collection. (Oxford, Bodleian Library, MS Ballard 37, f° 211).  +
'Tuckney had, rather unfortunately and surely not intending any criticism, compared D’Ewes’s gift of 500 bronze coins, in return for the previous loan to him of a gilded copy of the Bible, to the Homeric exchange of gold and bronze armour between Diomedes and Glaucus, as a sign of true friendship.' (summary from Burnett 2020b, p. 382)  +
'Tuckney’s next letter of thanks is dated 18 May, but its flowery language gives little clue as to the identity of the ‘multi nummi’, ‘Sum’o laboris temporisque impendio undique conquisitos’, which the ‘pijssimus filius’ had decided to give to his alma mater.' (summary from Burnett 2020b, p. 382)  +
'Right worthy & much honoured, I very heartily wish I had been able in my last letters to have expressed to you my own & the universities gratefull resentments & acknowledgments of your former bounty, but your letter hath soe exceedingly engaged us, that had I enjoyed my health I should not have known how to have gone about in any fitt manner to have returned our indebted thankes for soe noble a favour, but a late distemper of body having very much unfitted me for any thinge, was happy in this, that it putt me upon thoughts of doing it a much better way, by giving order to the Orator of the university to draw upp a letter to you, w<sup>ch</sup> in a Congregation called this day was read & very chearfully <s>and</s> by all approved, & voted to be sent to you as a publick testimony of the whole universities humble thankfulness for that great honour you have putt upon it. S<sup>r</sup> the booke w<sup>ch</sup> you sent for is herew<sup>th</sup> sent by Glenton the Carryer, w<sup>ch</sup> when you have don w<sup>th</sup>, you will please to return, nor need you doubt of our cheerful readiness to acco’modate you w<sup>th</sup> any other books we have, w<sup>ch</sup> may further you in that noble worke w<sup>ch</sup> you are soe intent upon, in which you have our most cordial desires of an happy success, for the great advancement of learning, & the glory not only of your worthy self, but also of the whole English Nation.' (BL< Harley MS 374, f.383; Burnett 2020b, pp. 382-3 n. 26)  +
'Noble S<sup>r</sup> Your goodness, which hath soe freely & abundantly heaped favours uppon us, will (we humbly desire & hope) pardon our want of such returnes, as they deserve, & you may justly expect. Your last letter directed to the university was publiquely read in ye Regent house, & both it, and your noble guift of both Roman & English coynes were very thankfully received by the whole Senate, & their thanks had been returned by their Orator, but that he was from home, & should have therefore been done after another ma’ner by me but that hurryes of business, & many bodily destempers of the toothache especially, have wholy unfitted me for any such imployment, be pleased therefore S<sup>r</sup> to accept of myne own & the whole universities humble & thankfull acknowledgments for this last & all other your great favours, w<sup>c</sup>h will be lasting monuments of your great love to learning, & this Nursery of it, & ever remaine as firme tyes & obligations uppon us to love & honour you. [Acknowledges the return of the Saxon Gospels and Aelfric and returns the bond; and looks forward to the return of the Gildas....]. I shall heartily pray that you may be long continued, & much asisted to the finishing & perfecting of what ever you have in hand or eye for the further advancing of learning, & the glory of our English Nation by it.' (BL, Harley MS 374, f.285; Burnett 2020b, p. 383)  +
‘Nov. 1662, memorandum that Dr. <Herbert> Pelham of Magd. Coll. lent to me 3 Roman coines that were about 40 yeares since found at Stow Wood. (i) One was off Caligula, as it should seeme, but upon one side where the face is ’tis thus wrote: IMP. C. ALLEC[T]VS. P F. A. V. – on the revers, a woman with such a thing in her right hand ([drawing of a caduceus]) and the letter S. on the right side of her and P. on the left; the words that are round her cannot be read. (ii) The other is of the emperor Constantine with his face on one side and on the revers an armed man, an inscription about it, and the two letters of S. P. on each side of it. (iii) The other seems to be of Theodosius, and on the revers is PIETAS.—This information I gave to Dr. (Robert) Plot.’<br> (Burnett 2020b, p. 1209)  +
‘dined with Mr. Ashmole at his house in Sheer-lane, neare Temple barr; and John Davis of Kidwelly was there. After dinner he conducted A. W. to his lodgings in the Middle temple, where he shewed him all his rarities, viz. antient coines, medalls, pictures, old MSS. &c. which took them up neare two hours time.’ (Clark 1892, p. 191; Burnett 2020b, p. 1209)  +
<nowiki>‘Beginning of June (<16>76) John Nourse, lord of Wood-eaton, rebuilding his house and digging up an old seller, found many old coins (brass, as was supposed) which they looking on a<s> useless, throw’d them as useless aside, which rubbish with other help<ed> to levell his court. But one of these comming into the hands of Dr. (Robert) Plot, he found that they were gold, and that that which he had was a Brittish peice, having Cunobiline on one side and Tastia <on> another. Mr. <Obadiah?> Walker also hath another. But the court and yard being finisht and paved, ’tis not yet pluck’d up againe for the gold. Brittish money hid from the Romanes. (In) Stow Wood were found Roman coines about 1651.’<br><br />(Burnett 2020b, p. 1209)</nowiki>  +
Concerning procuring numismatic books in Marseille for Sherard.  +
'M<sup>r</sup> Paul Lucas est arrivé depuis deux mois, il a apporté beaucoup des medailles antiquites et plusieurs divinités en Bronze, des manuscrits et des agathes, parmi les pierres il a trouve une grande quantité des ces cailloux ou bijots(?) qui representent dans leurs interieurs des dendrittes ou des ruines comme les pierres de Florence.' (Royal Society, MS 253/280; Burnett 2020b, p. 620 n. 425)  +
15 mai 1672 : l'ambassadeur reçut un paquet d'Alep, avec les professions de foi du patriarcat grec d'Antioche: « On luy envoya par la mesme voie un sac de médailles. Il y en avoit une d'or de Démétrius et quinze d'argent belles et médiocrement rares. Le reste, au nombre de trente, estoit de bronze et toutes communes ». (I, p. 146)  +
-21 août 1672 : on annonce un prochain envoi d'Alep: « On promettoit aussi à S(on) Exc(ellence) qu'on luy envoieroit bien tost d'autres médailles parmy lesquelles il y en avoit une d'or de Marc Aurèle de la pesanteur de deux sekins (Smyrne, page 158; 90 v; monnaie de Venise de 3,60 gr, soit 7,20 gr), plusieurs d'argent et fort belles, et une quantité de cuivre (i.e. bronze) plus nettes que celles qu'on luy avoit déjà envoyées ». (I, p. 193; arrivées le 7 octobre 1672, I, pp. 223-224)  +
-10 novembre 1672 (d'Athènes) : « Le R(évérend) Père René, capucin, estant de retour d'Athènes, présenta à Son Excellence une petite figure de marbre sans teste, fort bien faite, et que j'ay jugé estre d'une Vénus, avec un petit masque et une petite teste de femme. Il luy présenta aussi trois médailles, dont il y en avoit deux d'Athènes, et l'autre représentoit une teste de front et un lis au revers, comme aux monnoies de Rhodes ». (I, p. 231).  +
-19 janvier 1673 (d'Alep): « Un Grec remit entre les mains de M. l'Ambassadeur une petite bouete qu'on lui envoioit d'Alep, dans laquelle il y avoit 83 pierres gravées (intailles) dont il y en avoit fort peu ou point du tout de considerables, mais il y avoit 14 (a) médailles d'argent parmy lesquelles il y en avoit une grecque d'Aridée, frère d'alexandre, avec cette inscription: ΒΑΣΙΛΕΩΣ (b) ΑΡΙΔΑΙΟΥ ΕΥΣΕΒΟΥΣ » (Schefer 1881, II, p. 10-11)  +
-23 janvier 1673: « En examinant de plus près les pierres gravées qui avoient estées envoyées d'Alep, i'en trouvay quelques unes d'assés passables, il y avoit un Alexandre en casque, une moumies (a), deux masques asses jolis, un centaure, un cheval pegase, un griffon, un casque et quelques autres assés nettement gravées pour pouvoir estre estimées antiques. (II, pp. 11-12).  +
-24 janvier 1673 : Galland examine une monnaie, dans des circonstances indéterminées: « Je vis une médaille d'or d'Honorius pesant un sekin et vingt grains, laquelle estoit assés bien conservée avec cette inscription, D. N. HONORIVS. P.P. AVG. et au revers VICTORIA AVG. CONOB; avec une victoire tenant une palme » (II, p. 12).  +
-4 février 1673 (d’Athènes) : « Monsieur l'Ambassadeur receut dix medailles (a) d'argent et quatre de bronze. La plus considerable de celles d'argent estoit une qui avoit d'un costé une tortüe au milieu de ces deux lettres A I qui me font assurer que c'est une monnoie des Aiginetes et le revers comme il est dans la figure que i'ai mise icy avec la proportion et la grandeur. La seconde (b) avoit une teste (dessin de la monnaie d'Égine) de pallas avec son casque et un hibou au revers avec ces trois lettres ordinaires Elle estoit de ceste grandeur que l'on voit icy (dessin d'un cercle qui donne le module). Les quatre autres avoient la mesme teste et le mesme revers mais (f° v) la grandeur estoit tout a fait differente comme on voit par ce modele (dessin d'un cercle qui donne le module). Il y en avoit neanmoins une qui avoit le revers ainsy marqué que ie le represente (dessin du revers) ou l'on voit ces trois lettres industrieusement placées. La premiere de celles de bronze representoit la teste de pallas avec un casque comme aux(3) precedentes, et au revers une pallas armée avec ce mot AQHNAIWN comme ie l'ay icy marqué grossierement, a sa fabrique ie conjecture qu'elle a esté frappee sous quelque Empereur Ro-(dessin du droit et du revers de la monnaie)-main. La seconde estoit (4) plus petite avec une teste de pallas d'un bon maistre et au revers un hibou et ces trois lettres AQH ou il faut remarquer que la troisieme est un H et non un E comme il est ordinairement aux autres, elle estoit de ceste grandeur (dessin d'un cercle qui donne le module). Les deux autres estoient deux medailles l'une de Constantin et l'autre d'Honorius de petit bronze du bas empire (II, pp. 19-20).  +
-16 février 1673 (a) : Galland examine une monnaie, dans des circonstances indéterminées: « Je vis une médaille de Trajanus Decius avec la figure du Dieu Anubis (b) au revers et cette inscription GENCLLVRICI (c). Elle estoit d'or et bien conservée ». (II, p. 37)  +
-Lundi 22 mai (1673): « Monsieur l'Ambassadeur, en recevant un pacquet de lettres qui luy fut envoié de Constantinople, par un exprès, receut une petite bouëte qu'on lui envoioit de Brousse, dans laquelle il y avoit cinq medailles, un grand Lisymachus d'argent tres bien conservé et d'un excellent relief, un petit Alexandre d'argent la teste couverte d'un muffle de lion, un autre[,] Medaille d'Argent de l'Empereur Severe, de la grandeur de moyen bronze avec ces mots AUT . KAI . CEB . CEΥΗΡΟC. CEB (a) et au revers ΕΦΕCΙΩΝ Β ΝΕΟΚΟΡΩΝ (b), avec la figure droite (c) de la fortune qui tient d'une main un gouvernail, et de l'autre une corne d'abondance, une autre de petit (c) bronze de l'Empereur Theodose, DN . THEODOSIVS . PP . AVG, et au revers GLORIA ROMANORVM . SMNR. La cinquiesme est une medaille grecque fort rare et fort particuliere qui d'un costé represente une teste bien faite et bien conservée couverte d'une salade semblable a celles de Castor et Pollux, et au revers un cheval (d) avec ceste inscription (série de point qui indique des lettres illisibles, la seconde est un cercle) CEIΡΩNOS (e) TRΩΩN (f), en voicy la representation dessinee par le sieur Rombaut Faydherbe de Malines, disciple de Dispembok pour le dessin et de Jourdan pour la peinture ». (dessin de la pièce, à la sanguine; II, Schefer 1881, II, p. 75-76)  +
-Lettre du 2 nov. 1701 (de Caen) : « J’ai fait quelques observations sur votre Lettre latine à Mr. Perizonius, mais leur longueur fait que je n’ose hasarder de vous les envoyer par la poste. Nous allons dans peu de jours à Paris, où je les ferai imprimer dans quelqu’un des journaux qu’on y publie. Vous les y pourrez voir, s’ils vont jusqu’à vous. Je vous dirai seulement en général sur un article de votre dernière lettre à Mr Foucault, que vous avez grand tort de penser que l’ouvrage de Mr Vaillant fera du tort au vôtre, ou que le vôtre fera du tort au sien » [suit une comparaison entre les buts que se proposent les deux numismates] (Correspondance de Caen ; Abdel Halim, p. 415-416, n° CLXXII).  +
-Lettre du 18 mars 1702 (de Caen) : « Vous pouvez m’envoyer vos remarques douteuses en toute sécurité ; je ne suis pas un critique aussi redoutable que vous l’imaginez, et j’espère que vous en tomberez d’accord quand vous aurez lu l’écrit, qui vous donne de l’ombrage. Je vous l’aurais envoyé sans songer à le faire imprimer s’il n’avait pas été trop long à copier » [suivent quelques remarques sur la méthode adoptée par Vaillant dans l’ouvrage qu’il se propose de publier sur les médailles consulaires] (Correspondance de Caen ; Abdel Halim, p. 425, n° CLXXIX).  +
-Lettre du 24 déc. 1698 (de Caen) : « Le 24 décembre 1698, Monsieur [manque dans Denis], Je n'examine pas si la médaille que notre ami met en comparaison avec l'améthyste du cabinet de S.A.R. Madame, représente la tête de Ptolémée Aulètes. Je veux croire qu'elle le représente. Il s'agit de savoir si cette tête est ressemblante à celle qui est représentée sur l'améthyste. Pour vous en dire mon sentiment quant cette médaille me serait venue en la pensée, lorsque je m'expliquai en général il y a plus d'un an sur le défi qu'il venait de faire aux curieux de déclarer à quel prince ils croyaient que la tête, dont il venait de donner la gravure, ressemblât, je vous avoue que j'aurais été bien éloigné d'y trouver la ressemblance qu'il y trouve puisqu'ayant enfin déclaré lui-même son sentiment et qu'ayant posé les deux têtes l'une près de l'autre, je ne la trouve nullement. Je n'appelle pas ressemblance, une couronne égale, ni un visage également sans barbe dans l'une et dans l'autre tête. C'est par les traits uniformes de l'une et de l'autre qu'elle doit s'établir et quelque peine que le graveur se soit donnée pour les rendre tels, elles ne semblent pas assez ressemblantes, pour dire qu'en voyant l'une des deux l'on voit l'autre et que l'on soit convaincu de la ressemblance parfaite en les conférant [comparant] ensemble. Nonobstant mon incrédulité, je vous assure néanmoins que je ne suis pas du nombre de ceux qui n'aiment pas à souscrire aux découvertes des autres ou qui jugent de toutes choses avec chagrin, suivant le langage de notre ami. Pour marque de cela, c'est que je souhaite de tout mon cœur d'être le seul qui puisse se plaindre d'avoir de si mauvais yeux afin qu'il jouisse de la gloire de sa découverte si entière qu'il puisse me reprocher d'avoir abandonné en lui un ami, lorsque tout le monde le louera de sa sagacité et de sa pénétration. Je serai de bonne foi et je le congratulerai volontiers du bon sens qu'il aura eu, quoique contre mon opinion. Mais, supposons que l'améthyste représente Ptolémée Aulètes, pourrait-on croire, à cause qu'il a la tête couverte d'un voile, qu'il y est représenté en joueur de flute. Notre ami prouve assez bien que les fluteurs s'accommodaient la bouche avec une muselière. Cela doit pourtant se restreindre à quelques uns plus délicats que les autres et plus curieux de conserver la juste proportion de leurs joues : car les médailles, les pierres gravées et les marbres antiques nous représentent un grand nombre de fluteurs et de fluteuses qui ont négligé cette précaution. Mais, il ne prouve pas le voile avec la même netteté et il reconnaît lui-même l'équivoque du qui se prend aussi pour une muselière. De la manière dont ce voile est représenté sur l'améthyste, il peut remarquer avec tout le monde, qu'il ne fait nullement l'effet pour lequel il reconnait qu'il a été inventé qui est de cacher la difformité du visage puisqu'il n'empêche pas ici qu'il ne soit vu. Ce visage peut véritablement être vu, et même avec plaisir, puisqu'aucune grimace ne le rend difforme. Pour cacher la difformité du visage, au lieu d'être transparent comme il l'est, le voile devrait être épais et le cacher véritablement de manière qu'on ne le vît pas. Mais, en cet état, il me semble que personne, sans autre marque, ne s'aviserait jamais de le prendre pour un fluteur. On le prendrait plutôt, le visage ainsi caché, pour un affligé qui voudrait marquer davantage la grandeur de sa douleur. Avec ce voile, bien étoffé, il faudrait encore que la bouche parût emmuselée pour me servir du mot de notre ami. Car, je suis persuadé que le voile transparent, comme il parait sur l'améthyste, n'est pas le voile d'un fluteur, tel qu'on nous le décrit. Si jamais l'on ne s'était couvert la tête d'un voile chez les Anciens que pour jouer de la flute, il n'y a pas de difficulté que toute <figure>* voilée dans les monuments antiques devrait être prise pour la tête d'un fluteur ou d'une fluteuse. Mais, c'est que personne n'accorderait à notre ami et je ne crois pas qu'il le prétendît lui-même. C'est pour cela que je me garderait bien de prendre cette belle tête de femme avec le voile tirée d'après une sardoine pour celle d'une fluteuse. À propos de cette fluteuse, je serais curieux de savoir quelle raison notre ami a eue de lui donner le nom de Lamia, de même qu'à l'autre tête de femme qu'il produit d'après une pierre gravée du cabinet de S.A.R. Madame. N'est-ce pas pour grossir son ouvrage de l'histoire de cette femme et de Démétrius dont il ne s'agirait pas ? Sur quel fondement lui a-t-il plu de la baptiser ainsi ? Est-ce à cause que Lamia était belle et que la tête représentée sur cette pierre est belle ? Il y a une infinité d'autres pierres gravées qui représentent des têtes de femme<s> d'une beauté merveilleuse, peut on dire pour cela qu'elles représentent Lamia. Notre ami me permettra de dire qu'il s'est donné trop de liberté dans ses conjectures et qu'en voulant nous expliquer tout, il ne nous explique rien. N'êtes-vous pas avec moi de ce sentiment, après son explication selon lui des trois point mystérieux gravés vis-à-vis de l'estomac de son prétendu fluteur, voulant qu'ils signifient non seulement les trois principales parties de la musique, mais encore les trois modes anciens et uniformes des instruments. Je parcourus, car il n'y a pas moyen de lire avec attention une matière si sèche et si ennuyeuse, je parcourus, dis-je, tout ce qu'il dit de la musique ancienne à cette occasion et lorsque j'arrivai à l'endroit de cette explication, à laquelle je ne m'attendais pas, j'en fus si surpris que je ne pus m'empêcher de m'écrier : je m'estime heureux de n'avoir pas assez d'esprit pour arriver à un tel point de raffinement et je ne porte point d'envie à notre ami de l'avoir si pénétrant jusques dans ces minuties; après cela, ajoutais-je, il n'y a plus rien qui ne puisse s'expliquer. Il n'est pas nécessaire de relever la fausseté de cette explication qui est une vision toute pure. Mais quoique ce soit véritablement une vision, je suis néanmoins persuadé que c'est un endroit dont notre ami, de l'humeur dont il est, s'applaudit d'avoir mieux rencontré que dans aucun autre de tout son ouvrage. C'était pour venir à cette explication ingénieuse et réservée à lui seul qu'il avait pris grand soin d'avertir qu'il donnerait l'explication de la moindre circonstance représentée sur l'améthyste : cela, sans doute, valait bien la peine de prévenir le lecteur pour lui donner un avant-goût de la satisfaction extrême que lui donnerai une subtilité si peu commune. Il faut pourtant reconnaître à la louange de notre ami qu'il nous donne beaucoup de choses curieuses et recherchées quoi qu'avec confusion ; mais pour son honneur j'aurais souhaité qu'il se fut attaché uniquement à traiter sa matière sans la perdre de vue et qu'il ne se fut pas détourné pour corriger le texte de quelques auteurs latins et grecs qu'il n'a pas entendus parce que ses corrections ne donnent pas une grande idée de son habileté dans la critique. Comme il a un grand soin d'appuyer d'autorités tout ce qu'il avance, afin de faire voir qu'il a une grande lecture de tous les bons auteurs ; pour faire voir que personne n'était exempt de la raillerie des Alexandrins, il en rapporte un exemple par lequel il prétend qu'ils appelaient les gouverneurs des provinces éloignées sitientes, des altérés pour ainsi dire et il cite un passage de Pline pour le prouver. C'est à la page 28 : mais Pline dit toute autre chose comme nous l'allons voir. Voici le passage. Sinus insulis refertus (notre ami ne rapporte point ces mots qui sont nécessaires) ex iis quae Mareu vocantur, aquosae : quae Eratonos, sitientes. Regnum ii [his] praefecti fuere [Pline, HN, VI, XXXIV (169)] ; c'est-à-dire : il y a un golfe rempli ou parsemé d'îles dont celles qu'on appelle les îles de Mareus ont beaucoup d'eau et celles que l'on nomme les îles d'Ératon n'en ont point. Ces personnages, à savoir Mareus et Ératon, étaient des gouverneurs du temps des Rois. C'est le véritable sens de Pline qui fait la description d'un golfe de la Mer Rouge et qui, comme vous le voyez, n'entend parler d'aucune raillerie. Sitientes ne se rapporte point a praefecti mais aux îles dont le passage fait mention. Notre ami qui, par la trop grande vivacité de son esprit, n'a pas compris que les gouverneurs dont parle le passage y fussent nommés, a imaginé deux corrections aussi fausses l'une que l'autre et qui rendent le sens confus d'une manière qu'il n'y a que lui qui puisse l'entendre, à savoir en séparent nos d'avec Erato et en lisant ibi pour ii. Il devait considérer que Mareu est écrit en latin pour et Eratonos pour . La rapidité de son imagination qui le porte à favoriser ses premières pensées, le fait tomber dans ces sortes de bévues. La correction d'un autre passage du même auteur, au même livre, ch. 30, et non pas 70 que je prends pour une faute d'impression, n'est pas plus heureuse. Il y ôte usus ignium pour y suppléer usus ungium [HN, VI, XXXV (30)]. Je suis fâché d'être ici contraint de dire à notre ami que la démangeaison de critiquer ne devait pas le porter à faire dire une extravagance à Pline qui paraît partout de si bon sens. En effet, est-il possible de s'imaginer que ces peuples qui avaient eu des ongles de tous temps aient ignoré jusques à Ptolémée Lathurus qu'ils pouvaient s'en servir pour se gratter et pour égratigner, car c'est à quoi l'usage des ongles est utile ? Est-il difficile de comprendre que dans l'Éthiopie dont parle Pline, où il fait si chaud, des peuples aient pu vivre sans l'usage du feu ? Laissons de croire qu'ils furent jusques alors assez grossiers pour ne savoir pas faire ce que les singes font si naturellement. Votre rhétorique ne serait peut-être point capable de lui persuader le contraire. Portarent pour portarem et Neapolitani pour Neapoli, p. 152 [Galland renvoie aux pages de l'imprimé et donc Genébrier lui a adressé non pas le manuscrit mais le livre], dans le passage de la lettre de Cicéron [Epistolae ad Quintum fratrem, II, 10, de mai 55 a.C., lettre 121 de l'édition Nisard, chez Didot, vol. V, 1864; 12 (II, 9), 2, datée de juin 56, éd. Loeb] ne sont pas mieux imaginés. Cicéron veut dire qu'il menait Ptolémée de Naples à Baïes [en fait Cicéron conduit Anicius de Naples à Baies, avec une escorte de cent hommes armés, dans une litière à huit porteurs, mais pas celle offerte par Ptolémée à Anicius, mais l'erreur vient en partie de Baudelot qui n'a rien compris au passage qu'il veut corriger, confondant dans sa traduction Anicius, correctement désigné p. 151 comme un ami de Cicéron, avec Ptolémée, p. 152]. Ainsi ces corrections ne redressent pas le passage, elles le corrompent. Parlons présentement des corrections grecques que vous ne trouverez pas plus recevables que les latines. Nonobstant le changement que l'on nous fait de , un des surnoms de Ptolémée Aulètes, en , je m'en tiendrai à [p. 254 de Baudelot] qui est un beau nom et qui signifie « Désirable ». Notre ami est trop prévenu en faveur du dont il ne peut cesser de parler [pp. 254-257] pour ne pas soupçonner qu'il lui fait plus d'honneur qu'il ne lui en appartient. P[age] 283, le changement de en dans les deux vers grecs rapportés par Plutarque pour faire signifier des bandages au mot d' [armes] n'est pas supportable. Minerve voulant jouer de la flute avait quitté sa lance et son bouclier, et peut-être son casque, ses armes ordinaires, et sur cela le satyre lui dit : « Cet air de fluteuse ne vous convient pas, quittez vos flutes pour reprendre vos armes et laissez nous voir vos joues avec leurs agréments ordinaires ». L'explication de notre ami est forcée et accommodée à son sens particulier et non pas au sens naturel de ces vers. Quoiqu'il veuille dire, le mot d' en cet endroit-là signifie la lance, le bouclier et le casque de Minerve et non pas des bandages de fluteurs et de fluteuses [Plutarque, De cohibenda ira, Mor. 456 B]. Pages [sic ed.] 294, le mot de changé en doit demeurer en sa place mais à l'ablatif, en cette manière [avec iota souscrit] : il se rapporte à , pour signifier : « il retint par force ». Le mot , qui signifie à double son, des vers de Nonnus [Nonnos de Panopolis, Dionysiaques, X, 225, voir p. 362 de Baudelot; le mot comme souvent chez Nonnos est un hapax, pour le sens de « double son », voir LSJ, s.v.] qu'il a plu à notre ami de changer en , sans aucun fondement, doit aussi demeurer à sa place. Il m'avait parlé de ce changement et j'avais pris la liberté de lui dire qu'il ne fallait pas se hasarder de corriger les auteurs si librement à moins que d'être fondé sur de bons manuscrits authentiques ; que le mot est un mot grec fort bon et convenable à l'endroit où il était employé et que la raison qu'il m'apportait, la même qu'il a insérée dans son ouvrage, n'était pas recevable ; mais l'événement fait voir de quelle manière mon avis fut reçu. Le passage était destiné à l'usage auquel il a servi : il n'y avait pas moyen de le déranger pour le placer ailleurs et il ne fallait pas que la peine d'avoir feuilleté Nonnus fut perdue. Je laisse là quelques autres corrections inutiles pour remarquer des fautes qui viennent de la connaissance imparfaite de la langue grecque. Dans le passage que je viens de marquer qu'il faut laisser le mot de , ceux-ci t [Plut, Mor., 456 C] ne signifie pas la rudesse mais l'impétuosité du souffle. [e.g. p. 303], qui signifie « le cou », signifie chez notre ami, fort mal à propos en différents endroits le nez et la tête. Il n'a pas su que le mot a signifié le cou avant que de signifier l'isthme de Corinthe qui est un « col de terre » et non pas une « langue » comme il l'explique. Ainsi, qui vient du même mot signifie un ornement du cou, c'est-à-dire un collier. C'est pour cela qu'il fait sans raison une longue digression pour prouver faussement que ce dernier mot, employée dans l'Odyssée d'Homère [pp. 342-347], a du rapport avec les jeux isthmiens quoique ces jeux ne fussent pas établis du temps d'Homère, prétendant qu'il a été inséré depuis ce poète. Tout ce qu'il dit là-dessus n'est qu'une fable de son invention et le mot n'est pas une coiffure ni un ornement qui couronne la tête, c'est un collier [sur et ainsi que sur les mots de cette famille, voir Chantraine, DELG, pp. 469-470] de même que qu'il n'a pas entendu. Cette faute lui en a fait faire plusieurs autres. Les Fricasseuses d'Aristophane citées en gros caractères [p. 349] ne sont pas des fricasseuses, ce sont des fricasseurs [Les Rôtisseurs, ]. Il devait consulter la grammaire grecque sur la signification des mots terminés en -. Lui qui aime si fort les proverbes et qui ne saurait s'empêcher d'en citer souvent n'a pas entendu celui-ci : qui se trouve p. 357. Ce n'est pas comme il l'explique enfler un roseau. C'est inflare rete, « enfler des filets », pour dire « prendre de la peine et travailler inutilement ». J'aurais à dire beaucoup d'autres choses et particulièrement touchant les médailles qu'il explique : mais comme cela demande une discussion trop longue, vous voudrez bien me dispenser de passer plus outre. Je me suis seulement attaché à ce peu de remarques pour vous dire mon sentiment sur l'Histoire de Ptolémée Aulètes, comme vous me l'avez demandé, afin de vous les indiquer comme celle qui feront un tort considérable à la réputation de notre ami auprès de tous les savants qui se font un mérite de bien entendre les auteurs latins et grecs et qui se piquent de savoir la langue grecque dans la perfection, sachant qu'il faut bien posséder ces connaissances pour avoir l'entrée dans la belle littérature. Je ne l'ai point fait par un esprit de malignité, mais parce que je suis véritablement touché du peu d'estime que cela lui attirera de la part de ceux qui en peuvent juger. Je suis parfaitement, Monsieur, votre etc. » (Correspondance de Caen ; Abdel Halim, p. 243, n° XCIII – transcription complète de Guy Meyer).  
-Lettre du 20 mai 1700 (de Caen) : « Je le (nb : Baudelot) plains de la persuasion où il est dans l’infaillibilité de ses sentiments, encore plus d’avoir les oreilles fermées aux bons avis de ses véritables amis, et de ne les avoir ouvertes qu’aux louanges qu’on lui donne par flatterie ou par pur compliment. Je ne sais ce qu’il pense de la liberté que je me suis donnée. Vous savez en quels termes et avec quel douleur, je vous ai toujours parlé du peu de disposition, que je voyais en lui de s’acquérir une véritable réputation parmi les gens de lettres, par ses préjugés et par ses préventions presque sur toutes les matières. Je ne suis pas le seul qui ai remarqué les fautes dont je vous ai entretenu ; d’autres que moi les ont aperçues en France, et chez nos voisins. Ce n’est pas une marque d’approbation, que personne ne les ait relevées en public. C’est qu’elles sont en si grand nombre, et de telle nature, que l’on ne veut point perdre à les réfuter le temps que l’on peut employer plus utilement. Il ya déjà du temps que j’ai achevé ma Réplique à la Défense de M. Dubos ; mais je ne suis pas encore bien résolu de la faire imprimer. Sa publication n’ajouterait rien davantage à la bonne cause des trois Gordiens, dont le défenseur des quatre n’a rien diminué, puisqu’il n’a pas répondu aux plus fortes objections que je lui ai faites, et que ce qu’il a opposé aux autres ne les détruit pas. Ceux qui liront nos raisons de part et d’autre, sauront bien prendre le bon parti » (Abdel Halim p. 285=286, n° CXIX).  +
-Lettre du 17 juillet 1693 (de Paris) : « Quoique mes lettres à Mr Dubos détruisent entièrement le système de dissertation touchant les quatre Gordiens ; néanmoins son sentiment est que mes lettres et sa dissertation soient imprimées conjointement ; mais pour son intérêt mon sentiment serait de n’imprimer ni sa dissertation ni mes letres » ; « On lui (Foy-Vaillant) a apporté hier la première épreuve de l’explication des médaillons de Mr l’abbé de Signi (nb : l’abbé François de Camps de Signy, 1639-1721). Comme il ne doit y avoir que cinquante pages d’impression, je crois que c’est un ouvrage que l’on verra bientôt » (Paris, Bnf, Man. Fonds français 9362, f° 196-197 ; Abdel Halim, p. 189-190, n° LXIX).  +
-Lettre du 25 déc. 1698 (de Caen) : « Je ne sais si vous aurez appris que le dernier ouvrage de notre ami M. Baudelot paraît enfin sous ce titre : Histoire de Ptolémée Aulètes. Dissertation sur une pierre gravée antique du cabinet de Madame. J’en ai reçu un exemplaire de sa part par l’entremise d’un ami commun qui m’a demandé en même temps ce que j’en penserais. Je lui envoyai ma réponse hier, en le priant de la communiquer seulement à l’Abbé Giraud, et à un très petit nombre d’amis particuliers, et de confiance, souhaitant qu’elle ne fasse point d’éclat, en considération de l’amitié dont M. Baudelot m’honore. J’espère que la copie que je vous en envoie avec cette lettre vous fera passer quelques moments assez agréablement, en attendant que vous ayez reçu l’ouvrage au sujet duquel elle est écrite, qui vous divertira encore davantage » (Correspondance de Caen ; Abdel Halim, p. 244, n° XCIV).  +
-Lettre du 17 fév. 1699 (de Caen) : « Touchant ce que vous me mandez par votre lettre du 13 de janvier, de la médaille de Tibère que possède M. Cuper, j’ai de la peine à croire que l’on y lise IMP. VNICVS ; je voudrais l’avoir vue pour en être persuadé. Il n’est pas possible de croire que cela soit, puisqu’il est constant qu’Auguste, sur l’autorité de ses médailles, était aussi IMPERATOR, et qu’il l’a été jusqu’à XXI … M. Cuper et M. Spanheim ont grande raison de n’être pas content des Antiquités grecques de M. Gronovius … » ; « L’on a voulu dire à M. Baudelot, sans parler de moi, quelque chose des fautes grossières qu’il a laissées dans son flûteur ; mais il n’est pas moins sourd qu’aveugle, et il est persuadé que c’est par jalousie que l’on en parle. Il est heureux de croire que ce qu’il fait est hors de repréhension ; mais c’est à la manière de ceux qui bâtissent des châteaux en Espagne. Pour vous dire quelque chose touchant à la curiosité des médailles à l’occasion de celles de M. Cuper, M. Vaillant en a présenté une singulière à M. le Duc de Maine, pour étrennes. C’est un Carausius d’argent avec EXPECTATE VENI, au revers, qui représente la Félicité tendant la main à Carausius. M. Vaillant l’a achetée d’un Anglais » (Paris, BnF, Man. Fonds français 9360, f° 193-194 ; Abdel Halim, p. 249-250, n° XCVIII).  +
-Lettre du 13 mars 1699 (de Caen) : « Je suis bien aise que ma critique vous ait donné du plaisir. L’ouvrage qui m’a fourni le sujet de ce petit amusement vous aurait diverti davantage, s’il était venu jusqu’à vous. Je me suis seulement attaché aux fautes les plus grossières. Les autres m’auraient emporté trop loin, et m’auraient fait perdre trop de temps. L’on a voulu parler de quelques-unes de ces fautes à l’auteur sans nommer personne ; mais il se croit irrépréhensible, et incapable d’en commettre aucune. S’il n’est pas habile homme dans les matières qu’il entreprend, il est au moins heureux dans la persuasion où il est de l’être, et de ne pas s’apercevoir que l’on se moque de lui. Je n’attends plus rien de bon de tout ce qu’il promet. Par-dessus toute chose, il faut entendre parfaitement les auteurs grecs et latins, pour bien traiter ces sortes de sujets, et il ne les entend pas, et ne les entendra jamais ; non seulement perche uccello vecchio non impara mai : mais encore, parce qu’il abonde trop en son sens, qu’il a tout au revers de celui des autres. Il y a longtemps que j’avais entendu dire que M. Dubos devait se défendre contre M. Cuper, qui lui a donné prise en quelques endroits, comme je l’ai connu en lisant son ouvrage l’année passée à la Bibliothèque du roi ; mais je ne savais pas sous quel titre ni que ce dut être en latin. Pour ce qui regarde ce que j’ai écrit sur le même sujet, je ne crois pas qu’il ait rien trouvé, qui puisse détruire mes arguments. M. Cuper que je ne laisse pas d’honorer comme il le mérite, a écrit avec trop de sécheresse, et il n’a pas approfondi la question. Depuis la dernière lettre que j’ai eu l’honneur de vous écrire, j’ai fait la même réflexion que M. de la Thuillère, sur ce qui lui a donné occasion de lire IMP. VNICVS, et j’en ai écrit mon sentiment à M. Oudinet dans les mêmes termes. Il n’y a pas de doute que c’est cela qui a fait tomber M. Cuper en erreur, dont il se relèvera facilement, d’abord que vous lui aurez mandé ce que l’on en pense. M. Vaillant va faire travailler à une seconde édition de son dernier ouvrage, plus augmentée, et il prétend faire graver une médaille rare à chaque tête, comme dans ses Numismata praestantiora. Il a traité pour cela avec un libraire de Hollande. Cette édition sera meilleure que la première, en ce qu’il pourra corriger toutes les fautes qu’il a renvoyées à l’errata, qui est fort long. Néanmoins, elle sera toujours défectueuse, en ce que les inscriptions et les descriptions des têtes, de chaque médaille y manqueront. Je lui en avais dit mon sentiment avant qu’il eût commencé de faire imprimer ; mais ce fut inutilement, parce qu’il n’avait fait ses collections que sur les inscriptions, et les descriptions des revers. De plus, il ne voulait pas charger son ouvrage d’impression, et c’est aussi ce qu’il a observé dans les Numismata Praestantiora. Cependant je suis persuadé qu’il faut rendre ces sortes d’ouvrages parfaits, autant qu’on le peut » (Paris, BnF, Man. Fonds français 9360, f° 194-195 ; Abdel Halim, p. 253-255, n° C).  
-Lettre du 21 nov. 1699 (de Caen) : « Vous avez eu connaissance de mon voyage à Paris. J’y ai fait un séjour de trois mois dans des occupations continuelles, tant pour faire de nouvelles acquisitions de médailles que pour d’autres commissions dont j’étais chargé » ; « Je ne suis pas moins satisfait que vous de la sincérité de M. Cuper, touchant l’Auletes de M. Baudelot. La vérité doit l’emporter par dessus tout autre intérêt. M. Baudelot est le meilleur homme du monde. Il a plusieurs belles connoissances, il aime les livres, les antiquités et les médailles. Mais il a le défaut de ne pouvoir revenir de ses préventions,dont il est d’autant plus difficile de le guérir, qu’il s’y estengagé depuis longtemps, en se faisant un point d’honneur de penser d’une manière différente de celle des autres. Je l’ai vu quelquefois à Paris. La mort de Madame sa mère ne lui a guère procuré plus de repos qu’il en avait auparavant ; au contraire, il paraît que ses affaires vont plus mal. J’étais encore à Paris, lorsqu’il perdit un procès, qui n’était pas de peu de conséquence. L’augmentation de médailles pour notre cabinet, que j’ai apportées de Paris, est de cinq à six cent, en or, en argent et en bronze, de toutes les grandeurs, et il y en a de très rares. M. Foucault en a aussi apporté quelques unes de son voyage en Poitou, parmi lesquelles il y en a une de Germanicus qui n’a pas encore été vue. Elle représente d’un côté la tête de ce Prince, avec cette inscription : GERMANCVS (pour GERMANICVS) TI. AVGVSTI F. AVG. N. Au revers, Germanicus paraît assis, tenant une patère de la main droite, la gauche appuyée au côté, avec cette autre inscription: CONSENSV SENAT. ET EQ. ORDIN. P. Q. R. Elle m’a fourni le sujet de quatre ou cinq lettres que j’ai écrites à un savant P. Jésuite de Rouen (nb: Pierre-Joseph de Grainville), à qui j’en avais donné avis, lequel prétendait par l’inscription et par le type de la médaille, que Germanicus avait été mis au rang des dieux. Mais, pour lui prouver le contraire, je me suis servi de l’Arrêt du Sénat, donné touchant les honneurs qui lui furent rendus après sa mort, et rapporté par Tacite, ou il n’est fait aucune mention de consécration. Mais il a de la peine à se rendre à mes raisons touchant le temps que la médaille a été frappée, prétendant que ce fut sous Caligula fils de Germanicus. Mon sentiment est que ce fut sousTibère, dans le temps que tous les honneurs portés par l’Arrêt du Sénat lui furent rendus, et il me semble plus soutenable que le sien. Je crois vous avoir parlé de la tête d’Hippocrate trouvée dans notre cabinet sur une médaille de l’île de Cos. Comme la médaille est fort petite, M. Foucault l’a fait dessinée d’une grandeur raisonnable, et j’ai fait, pour les mettre au dessous, ces quatre vers, que je soumets a votre censure :Hippocratis vultum, quam cernis reddit imago ;Divina in scriptis mens manifesta patet. At scripta et vultum in corpus si junxeris unum,Hippocrates, dicas, en mihi vivus adest. Je suis toujours avec un très grand respect, … » (Paris, BnF, Man. Fonds Français 4363, Correspondance de l’Abbé Nicaise, f° 11-12 ; Caillemer 1885, Lettre n° 19, p. 96-98 ; Abdel Halim, p. 277-279, n° CXV).  
-Lettre du 12 févr. 1700 (de Paris) : « M. Vaillant, puisque vous me demandez de ses nouvelles, est dans une santé parfaite, et nous dînames hier ensemble chez un gentilhomme suédois curieux de médailles. Il travaille avec autant d’application que d’assiduité à l’explication des médailles consulaires. Vous savez que Goltzius a donné ces médailles seulement par rapport aux Fastes, et Fulvius Ursinus par rapport aux Familles, et que ni l’un ni l’autre, ils n’ont rien dit des médailles en particulier. C’est à quoi il s’applique présentement. Il m’a chargé de vous faire ses compliments. Pour ce qui me regarde, la vente des livres de M. Boucot m’a donné de l’occupation tout le temps qu’elle a duré de même que la recherche des médailles pour l’augmentation du cabinet de M. Foucault, laquelle continue de m’en donner. Je lui en ai acquis plus de six cents propres à toutes les suites dont son cabinet est composé, et nous sommes en marché de plus de cent autres d’argent, tant impériales que consulaires. S’il fait cette acquisition, sa suite d’argent impériale sera de plus de 2600 médailles » ; « Je n’ai vu M. Baudelot qu’une seule fois en passant de ce dernier voyage. C’a été chez M. l’Abbé Giraud, où il vint dans le temps que j’y étais. Il est toujours entêté de son Flûteur, et persuadé qu’il a fait le plus bel ouvrage du monde. Il a su que M. Spanheim par honnêteté en a dit du bien à Madame. Il a été l’en remercier. Jugez si M. Spanheim n’aura pas ri en lui-même du compliment. J’apprends que M. Spanheim va nous donner une nouvelle édition de son ouvrage De usu numismatum augmentée de nouvelles dissertations, de même qu’une ample dissertation en […] touchant la fête de Bacchus. Je fais une grande estime de toutes les productions de son esprit ; […] il me semble qu’il faut perdre haleine trop souvent en le suivant, pour trouver quelque chose qui arrête. Je ne sais rien de M. Toinard (Thoynard). Je ne l’ai vu qu’une fois à la bibliothèque du roi où nous n’avons pas eu grand entretien ensemble. Je ne crois pas que M. Dubos s’occupe à autre chose qu’à se divertir à l’opéra, et avec ceux qui s’en mêlent. Touchant à l’Histoire des quatre Gordiens, il ne paraît pas qu’il songe plus à répondre à M. Cuper qu’à ma lettre. Je crois que M. de Lompré s’était chargé de la fatigue sur ce qui me regarde, puisqu’il m’a dit qu’il avait une Réponse toute prête de sa composition, qu’il ne faisait pas imprimer pour de certaines considérations. Je lui dis qu’aucune considération ne devait l’empêcher de soutenir la vérité s’il croyait l’avoir de son côté » (Paris, BnF, Man. Fonds Français 9362, correspondance de l’Abbé Nicaise, f° 179-180 ; Abdel Halim p. 280-283, n° CXVI).  
-Lettre du 23 juillet 1700 (de Caen) : « Vous ne me dites rien du Vindiciae pro quatuor Gordianorum historia : ne l’auriez-vous pas encore reçu ? Vous y trouveriez de quoi passer une demi-heure de temps assez agréablement. Vous avez été mal avec M. Baudelot, et vous voilà enfin raccommodé avec lui ; je m’en réjouis. Mais, je suis mal avec lui à mon tour, et je ne sais pas quand nous serons raccomodés. Quelques amis qui ont lu ma lettre touchant son Aulètes, lui en ont fait voir un extrait. Au lieu d’en profiter, j’ai su qu’il s’en est scandalisé, et c’est pour cela qu’il ne m’a pas envoyé sa Lettre à M. Lister… Si la Response de notre ami (je ne laisse pas de l’appeler de ce nom malgré sa colère), si sa Response, dis-je, à M. l’Abbé de Vallemont, se trouve aussi modérée que la préface de sa Lettre à M. Lister, et qu’elle soit appuyée de bonnes raisons, il en recevra des louanges, et il ne serait pas aisé à M. l’Abbé de Vallemont, de répliquer, du moins, solidement. Car de l’humeur dont il est, bien ou mal, il ne manquera pas de répliquer. Il s’est engagé à traiter d’une matière dans laquelle il n’est pas bien versé, et à l’âge où il est, il n’y a pas apparence qu’il vienne à bout de l’approfondir davantage. Philoxène a cru pouvoir dire aussi un mot, et son sujet lui en a donné l’occasion, de sa hardiesse à publier des médailles qui n’ont jamais été. M. Foucault m’a chargé de vous envoyer le dessin qu’il a fait faire de la médaille d’Hippocrate, que vous trouverez en ce paquet, et de vous prier en même temps de la garder pour vous, et de ne pas la communiquer « ; « La Gemme antiche, nous vient aussi de Rome : c’est M. de la Chausse lui-même qui l’envoie » (Paris, BnF, Man. Fonds Français 9362, correspondance de l’Abbé Nicaise, f° 184-187 ; Abdel Halim p. 331-333, n° CXXXIX).  +
-Lettre du 16 jan. 1701 (de Caen) : « Depuis que je n’ai eu l’honneur de vous écrire, j’ai fait tenir à M. de Spanheim les traductions latines des deux lettres contre le quatrième Gordien. Je ne doute pas qu’il ne les ait envoyées à M. Cuper, après la réponse honnête qu’il a eu la bonté de me faire sur ce sujet … Je ne perds point de vue le Selecta de nos médailles impériales ; j’en fais toujours quelque chose chaque matin, et j’emploie les après-midi au catalogue des pièces contenues dans quatre à cinq cents volumes de recueils in-8°, que nous achetâmes l’année passée à la bibliothèque de M. Boucot… » (Paris, BnF, Man. Fonds Français 9362, correspondance de l’Abbé Nicaise, f° 192-193 ; Abdel Halim p. 345-347, n° CXLVI).  +
-Lettre du 15 avril 1683 (d’Istanbul): He will not conceal from B. that his mission was to investigate Greek MSS. and coins, but he has been officially diverted to investigate Oriental codices, from which he hopes to enrich the Royal Library. He hopes for finds of Arabic, Persian, Turkish and Macedonian codices. (Oxford, Bodleian Library, MS Smith 72 fols. 37-40).  +
-Lettre du 7 sept. 1700 (de Caen) : « illustre et savant M. Cuper » : « Puisque cette occasion, Monsieur, me procure l’honneur de vous écrire, vous prenez trop d’intérêt à tout ce qui regarde le progrès des belles-lettres, pour ne pas apprendre avec plaisir que le cabinet de M. Foucault s’enrichit tous les jours par les acquisitions qu’il fait de nouvelles médailles. Il n’y a pas longtemps qu’il en a fait une de plus de trois cents, qui ont été apportées de Syrie. Il y en a des rois de Syrie, des colonies du même pays, des grecques impériales, et plus de deux cents latines du Bas-Empire, depuis Dioclétien jusqu’à Honorius, considérables par les lettres qu’elles ont à l’exergue, qui servent à prouver qu’il faut les expliquer autrement que le P. Hardouin a prétendu les expliquer. Il y a aussi de quoi se convaincre que la diversité des têtes de Constantin, ne vient pas de la pluralité des empereurs de ce nom, que ce père s’est imaginée ; mais, de ce que l’on a mis le nom de Constantin autour des têtes de Galerius Maximianus, de Galerius Maximius, et de Licinius le père, dans les endroits, comme la chose le fait voir, où l’on n’avait pas son portrait. Ce sont des particularités qui se remarquent à l’œil. J’attends encore dans peu de jours plus de cent médailles que l’on m’envoie de Constantinople, où je ne doute pas qu’il y en ait un grand nombre, qui pourront avoir place dans ce cabinet » (Paris, BnF, Ms. Français 6138, Galland. Correspondance de Caen, p. 102-104 ; Abdel Halim, p. 337-338, n° CXLII).  +
-Lettre du 23 nov. 1700 (de Caen) : « J’ai su par l’entremise de M. l’Abbé Nicaise, que par les soins de M. Cuper, un libraire de Hollande était résolu de réduire en un seul recueil, tout ce qui a été édcrit sur la question, savoir s’il y a eu trois, ou quatre Gordiens, et pour cela de faire traduire en latin ce qui a paru en français. Sur cet avis ayant jugé à propos de traduire moi-même les lettres d’Entyphron et de Philoxène, je prends la liberté, Monsieur, de vous adresser les traductions que j’en ai faites, et de vous supplier de vouloir bien les faire (parvenir) à M. Cuper, comme vous avez déjà eu la bonté de lui faire tenir la lettre française de Philoxène. J’ai fait quelques petits changements et additions à cette dernière, une particulièrement qui regarde la multiplicité des Constantins que je réduis par les médailles, aux seuls que l’on doit reconnaître. Si vous avez la curiosité et le loisir de la lire, afin de vous épargner la peine de la chercher, vous la trouverez à la page 124. Après avoir achevé les catalogues des différentes suites des médailles du cabinet de M. Foucault, il y a quelques semaines que j’ai commencé de travailler aux Selecta des impériales les plus particulières qui s’y trouvent en argent et en bronze de toutes les grandeurs, avec des remarques abrégées sur chacune suivant la matière qu’elles me fourniront d’en dire quelque chose. Il y a peu de têtes dans toute la suite dont ce cabinet ne fournisse quelque médaille » (Paris, BnF, Ms. Français 6138, Galland. Correspondance de Caen, p. 104-106 ; Abdel Halim, p. 343-344, n° CXLIV)  +
-Lettre du 7 nov. 1699 (de Caen) : « Mon Révérend Père, si j’avais la faiblesse de m’en faire accroire, et de m’imaginer que j’ai quelque mérite, rien ne serait plus capable de me gâter que la dernière lettre / dont vous m’avez honoré. Mais je me connais, et il y a quelque chose en moi par où je suis assez heureux pour être de votre goût, ce qui me manque… A ce que votre révérence me mande de ne pas attendre qu’elle me fasse des questions, je cnnais qu’elle ne me donnera pas autant d’occupation que m’en donne le R. P. de Grainville. Depuis environ cinq semaines, nous nous sommes écrit plusieurs grandes lettres au sujet d’une nouvelle médaille moyen bronze de Germanicus que M. Foucault a rapportée de son voyage du Poitou, dont je vous envoie un dessin, lequel tel / qu’il est, vous la fera assez connaître, sans quil soit nécessaire de vous en faire la description. Le P. de Grainville a prétendu deux choses sur cette médaille ; l’une qu’elle marque que Germanicus a été consacré, et l’autre qu’elle a été frappée par les soins de Caligula, son fils. Pour prouver qu’il a été consacré, il s’est fondésur l »inscription du revers, à cause qu’elle se trouve au revers d’une médaille de la consécration d’Auguste, et sur la patère que Germanicus tient à la main au revers. Pour lui montrer que la preuve qu’il tire de l’inscription n’est pas recevable, je lui ai cité une médaillle petit bronze de Jules César du cabinet de M. Foucault, d’une très grande rareté, où elle se trouve aussi, non pas au sujet de sa conservation, mais de son triomphe pour avoir fait la conquête des Gaules, ce qui paraît par le mot GALLIA qui se lit aussi au revers, avec le type qui représente une victoire debout sur une cotte d’armes, et un escalve les mains / (248) liéés derrière le dos. Et par là, je lui ai fait connaître que cette inscription n’est point particulière ni attestée pour signifier une consécration ; mais tout autre honneur accordé du consentement général des Romains. A l’égard de la patère, je lui ai avué qu’on la voit très souvent à la main des divinités, mais parce que sur cette médaille, ni sur les autres, ni ailleurs, Germanicus n’est pas appelé DIVVS, comme (BnF, Ms. Français 6137, Galland. Correspondance de Caen, p. 245-253; Abdel Halim p. 275-276, n° CXIV).  
-Lettre du mois d’août 1709 (de Caen) : [Galland résume les arguments de Vignoli concerant la fausseté de la médaille d’Antonin Pie représentant une tour et portant la légende FELICITAS VG. Il réfute ensuite ces arguments et expose les raisons qui le portent à certifier l’authenticité de la médaille ; médaille d’ailleurs qu’il avait eu le loisir de manier et d’étudier dans le cabinet de Foucault] (Abdel Halim, p. , n° CCLXXXV).  +
-Lettre du 22 nov. 1700 (de Caen) : « Ayant appris par une lettre de M. l’Abbé Nicaise sur ce que vous lui en aviez écrit, qu’un de vos libraires avait dessein de réduire en un recueil latin ce qui a été écrit touchant les trois Gordiens, et pour cela de faire traduire ce qui en est en français, j’ai cru qu’il était plus à propos que je fisse moi-même les traductions de ce qui me regarde. J’y ai employé quelques heures perdues et après les avoir achevées, j’ai pris pour vous les faire tenir, la même voie que j’avais déjà prise en vous envoyant la lettre de Philoxène, je veux dire celle de l’illustre savant M. de Spanheim, qui veut bien avoir cette bonté, afin que vous puissiez en disposer à votre bon plaisir, puisque vous trouvez que ces petits écrits valent la peine d’être mis en un état de se conserver plus longtemps, à la satisfaction de ceux qui y prennent quelque goût. Comme j’y ai corrigé et adouci l’endroit de la lettre française, où il y a quelque chose d’un peu fort contre M. de Lompré, je souhaiterais, si l'on n’a pas encore commencé à l’imprimer, qu’elle parût seulement imprimée en latin, telle que j’ai l’honneur de vous l’envoyer. Si elle se trouve déjà en français sous la presse, il faudra prendre patience : je tâcherai de faire ma paix avec M. de Lompré, qui est cependant le premier auteur du renouvellement de l’opinion des quatre Gordiens. Outre cette correction, M. Huet, ancien évêque d’Avranches, m’ayant fait l’honneur de me dire que vous lui aviez marqué par une de vos lettres, la surprise où vous étiez sur le sentiment du P. Hardouin, touchant la mutlitude des Constantins qu’il s’est avisé de vouloir introduire, je ne me suis pas contenté de lui avoir retranché le Constantinius Maximus, comme je l’ai fait dans la lettre française, j’ai cru, puisque la matière m’y conduisait, devoir faire une addition dans la traduction latine, pour retrancher les autres, et les réduire au seul Constantin que nous connaissons tous. C’est ce que j’ai fait ; et vous trouverez cette addition à la page 125. Vous aurez peut-être déjà fait là-dessus la même observation que moi. Si cela n’est pas, vous pourrez la faire par le moyen de vos médailles et de celles de vos amis. Les médailles antiques nous apprennent quelque chose de plus que l’histoire ; elles peuvent même la corriger en de certaines circonstances. Mais d’ailleurs, elles y sont très conformes, et ceux qui en font une étude particulière ne doivent ni espérer, ni avoir pour but, d’y trouver de quoi la renverser, et y faire les changements qu’ils pourraient s’imaginer. Je ne doute pas que vous ne soyez dans le même sentiment. Le P. Hardouin et M. l’Abbé Dubos s’y sont laissés tromper. Ayant eu l’occasion de lire l’Histoire des quatre Gordiens du dernier avant qu’il l’eût fait imprimer, comme nous étions amis, comme je crois l’être encore, je combattis son sentiment par deux ou trois lettres. Après qu’il l’eût fait imprimer, croyant être obligé de prendre la défense de la vérité, je réduisis ces lettres en une, et je la publiai sous le nom d’Entyphron. Vous savez ce qui est arrivé depuis… Depuis plus de trois ans que je suis chargé du cabinet des médailles antiques de M. Foucault, dont je crois que les richesses en cette curiosité vous sont connues, j’ai presque toujours été occupé à les ranger et à en faire les catalogues. Il y a environ un mois que me voyant délivré de ce travail, j’ai commencé à m’appliquer à un autre. C’est de faire le choix de celles qui n’ont pas encore été vues, ou publiées, et de les éclaircir par des remarques, pour lesquelles j’aurais un grand besoin de vos lumières. Je n’y épargnerai pas le peu que j’en ai ; et je croirai avoir réussi, si je puis mériter l’approbation d’une personne comme vous, qui a une si grande intelligence dans cette sorte de matière. Cette entreprise qui regarde les médailles impériales latines, particulièrement des colonies, et grecques, sera un peu de longue haleine, à cause de la quantité dont le cabinet est fourni » (Den Haag ; Abdel Halim, p. 339-341, n° CXLIII).  
-Lettre du 19 févr. 1701 (de Caen) : « Je ressens très vivement les témoignages de bonté et d’amitié que vous avez bien voulu me marquer par votre lettre du 6 de ce mois. C’est pour moi en même temps un honneur, et un bonheur si grand que je n’ai point de termes dont je puisse me contenter pour vous en témoigner ma reconnaissance. J’ai bien plus de sujet de m’estimer heureux du commerce que je vais avoir avec une personne comme vous, consommée dans les belles-lettres, que vous n’en avez de l’entretien que vous vous proposez d’avoir avec moi, quelquefois, touchant la curiosité des médailles antiques. J’avoue que je pourrai avoir lieu de vous communiquer sur cette matière des nouveautés qui vous feront plaisir ; mais, je vois bien que je mettrai du cuivre pour retirer de l’or » (remarques sur les médailles décrites par Cuper dans sa letre précédente) ; « J’ai reçu l’ordre de M. Foucault qui a voulu que je lui fisse la lecture de votre lettre, et qui en a été très satisfait, de vous envoyer tout ce qu’il y aurait dans son cabinet de propre à orner votre dissertation sur les médailles marquées d’un ou de plusieurs éléphants. Mais, parmi toutes celles qu’il a, que je vois bien que vous aurez pu tirer de votre cabinet ou d’ailleurs, je n’en ai trouvé que deux que je crois que vous n’aurez pas vues, dont je joins ici les dessins » (explication des deux médailles)« Vous rendez, Monsieur, un très grand service à la République des lettres, en prenant le soin d’amasser des médailles, et surtout de vous en procurer par les habitudes que vous pouvez avoir en Levant. C’est de là particulièrement qu’il en peut venir tous les jours de nouvelles. Je le sais par une expérience de quinze ou seize ans sur les lieux. Vous en pouvez tirer par le moyen de vos marchands qui sont à Smyrne et à Alep. Les gens du pays, du ministère desquels ils sont obligés de se servir pour la facilité de leur négoce, se feront un plaisir d’en chercher d’abord qu’ils en auront été sollicités. D’un nombre qui me furent envoyées de Constantinople l’année passée, j’en ai mis plus de vingt dans le cabinet de M. Foucault » (suivent quelques exemples de médailles)« Lorsque vous aurez achevé votre Réponse à M. l’Abbé Dubos, et que vous prendrez la peine de lire la mienne, je crois que vous y trouverez fort peu de choses où nous nous serons rencontrés. Vous remarquerez que je me suis attaché simplement à me défendre sur les endroits par où j’ai été attaqué en mon particulier, et que je me suis bien gardé de plaider une cause qui est entre les mains d’un si excellent avocat. M. Foucault m’a chargé de vous bien remercier de votre compliment obligeant, et en vous assurant de son amitié, de vous faire offre de son cabinet de médailles, n’y ayant rien qui ne soit à votre service » ; « Je continue toujours le Selecta des médailles impériales de ce cabinet, et j’en suis aux grecques de Tibère. De ce que j’en ai déjà fait, je connais que celles des douze premiers empereurs fourniraient un juste volume. Je tâche de ne rien dire que de nécessaire sur chaque médaille, et de la sorte, je ne suis pas trop concis, ni aussi trop diffus » (Correspondance de Caen ; Abdel Halim, p. 351-353, n° CXLVIII).  
-Lettre du 6 juillet 1701 (de Caen) : [médailles achetées par Foucault à Jean Foy-Vaillant, explications d’une médaille grecque d’Elagabale, remarques sur une médaille de Tibère portant la légende IMP.VNIC.] « Votre dissertation des Eléphants étant achevée, il y a lieu d’espérer que vous en ferez bientôt un présent au public. Mons. Foucault est bien fâché de ce qu’il ne s’est rien trouvé de meilleur dans son cabinet que ce qu’il vous a envoyé pour mériter davantage l’honneur que vous lui voulez faire. Pour moi, je ne mérite nullement l’honneur d’y être nommé, et c’est une grâce purement gratuite dont vous m’honorez. Depuis Pâques, j’ai été obligé de faire quelque interruption sur le travail du Selecta, pour écrire une lettre à M. l’Abbé Nicaise touchant la découverte d’une médaille d’Amandus, qui s’est trouvée unique entre six à sept cents médailles du Bas-Empire, trouvée depuis peu à Bayeux, qui n’est qu’à six lieues de cette ville, et cette lettre doit être imprimée dans les Mémoires pour l’histoire des sciences et des beaux-arts qu’on imprime à Trévoux du commencement de cette année. On y imprimera aussi des Observations que j’ai faites sur deux médailles de Gratien, et sur une grecque de Caracalla […] contre ce que le P. Hardouin, qui ne s’est pas nommé, a fait imprimer sur ce sujet dans ces mêmes Mémoires. De plus, j’ai mis aussi en état d’être imprimée une lettre très ample, sur un livre du même P. Hardouin, imprimé l’année passée sous ce titre : Numismata aliquot rariora Augustorum Tettrici senioris, sive patris, Aureliani junioris, et Maxentii, e museo praenobilis Cl. V. D. Georgii de Ballonfeaux etc. Si vous n’avez pas encore vu ce livre, je souhaiterais qu’il allât jusqu’à vous. Vous y trouveriez des nouveautés sur les explications de ces médailles, qui vous surprendraient. Le cabinet de M. Foucault me fournissant des armes pour le réfuter, j’ai cru ne pouvoir me dispenser de le faire pour rendre un bon service au public que ce R. Père abuse depuis trop longtemps, sur ces sortes de matières. La préface qui est au commencement de ce livre, m’a aussi donné lieu de détruire la pluralité des Constantins qu’il [s’est] imaginée. Les presses de cette ville étant occupées, je suis résolu d’envoyer cette lettre à Mr Vaillant, pour la communiquer à mes amis de Paris, curieux de médailles, au cas qu’il n’y ait pas lieu de l’y faire imprimer. Si parmi les médailles grecques qui vous viennent, il y en avait de doubles, M. Foucault en vous offrant d’autres grecques qu’il a en double en troc, vous prie de vouloir bien lui en faire part. Ce petit commerce serait fort aisé, en faisant tenir à M. d’Avaux, ambassadeur du roi, les paquets qui s’enverraient de part et d’autre, après que l’on serait convenu par lettres des médailles qui seraient propres à être envoyées. Si cette proposition vous agrée, vous obligerez beaucoup M. Foucault, de me faire savoir les médailles que vous aurez doubles. Je verrai s’il les a, ou s’il ne les a pas, et j’aurai l’honneur de mon côté de vous mander celles qu’il aura doubles, afin que vous choisissiez ce qui vous conviendra. M. Foucault voulant bien m’épargner le paiement du port des lettres que vous me faites l’honneur de m’écrire, m’a dit que je pouvais vous mander de vouloir bien les envoyer à son adresse en cette manière : A Monsieur, Monsieur Foucault, intendant de la Basse-Normandie. A Caen. C’est que par sa charge, il est exempt de payer le port des lettres, et cette exemption est pour lui seul, sans y comprendre presonne des gens qui lui appartiennent » ; « Je joins à cette lettre une copie d’une partie des observations dont je vous ai parlé pour vous donner quelque connaissance de nos disputes » [suivent deux dissertations : l’une est celle adressée aux auteurs des Mémoires de Trévoux relative aux médailles citées dans la lettre du 10 mai 1701 (4 pages in-4°) ; la deuxième est intitulée : Lettre de Mxxx sur l’explication de quelques médailles antiques où l’on prétend que sont marqués des jeux que les empereurs romains avaient établis pour le divertissement du peuple, en 8 pages in-4°] (Correspondance de Caen ; Abdel Halim, p. 400-402, n° CLXVI).  
-Lettre du 18 sept. 1701 (de Caen) : « Quelle différence n’y a-t-il pas entre un véritable homme de lettres, ce que vous êtes, qui sachant qu’il n’est pas infaillible, et qu’il peut commettre des fautes, reconnaît non seulement sans peine celles quil peut avoir commises, mais témoigne encore de l’obligation à ceux qui lui en donnent avis ; quelle différence, dis-je, n’y a-t-il pas entre lui, et ceux qui ne méritent presque pas de porter un nom si louable, sont non seulement bien éloignés de reconnaître celles qu’ils commettent presque à chaque page de leurs ouvrages, mais insultent encore ceux qu’ils devraient remercier de les en avoir fait apercevoir, et ne cessent pas toute leur vie, tant qu’ils font imprimer, d’accumuler fautes sur fautes ? N’est-ce pas là une terrible, et en même temps une indigne obstination ? Quel plaisir au contraire n’est-ce pas de profiter, sans jalousie, du travail et de l’étude les uns des autres, et même de pouvoir s’attribuer réciproquement ce travail et cette étude ? Pour moi, lorsque je trouve ailleurs le contraire de quelque sentiment dont je puis être prévenu, et que je suis évidemment persuadé que j’avais tort dans ma prévention, je suis ravi d’une telle découverte, et je sais bon gré à l’auteur de m’avoir redressé » [remarques sur les médailles portant l’inscription IMP. VNIC., découverte d’une médaille d’Amandus, réfutation du P. Hardouin au sujet des médailles de Gratien] « Ce même Père (nb : Hardouin) a encore donné dans les Mémoires de Trévoux des mois de juillet et d’août, p. 153, l’Explication d’une médaille d’argent d’Auguste du cabinet de M. Foucault auquel je travaille. L’intérêt que je dois prendre pour ce cabinet m’a obligé d’écrire en français par une lettre expresse qui sera publiée à son temps dans les mêmes Mémoires, à peu près ce que j’en avais dit en latin, et de réfuter son explication point par point. Elle est assez longue, et elle a déjà été lue manuscrite dans l’Académie des inscriptions et médailles. Cette Académie n’était ci-devant que de huit académiciens ; mais elle vient d’être augmentée par le roi de trente-deux autres, de manière qu’elle est divisée en quatre classes, chacune de dix acadmiciens. Il ya dix académiciens honoraires, dix pensionnaires, dix associés, et dix élèves. M. Foucault est un des honoraires, et l’on m’a fait l’honneur de me recevoir an nombre des élèves. C’est, Monsieur, le seul titre que j’ai pu prendre jusqu’à présent, que celui d’être de cette Académie, qui doit dès à présent être regardée comme illustre du côté de son fondateur, et qui le deviendra sans doute davantage comme il y a lieu de l’espérer. Car je ne suis pas docteur en médecine, titre dont vous m’avez honoré dans l’adresse de votre dernière lettre. Je n’ai même jamais étudié en médecine, quoi que j’ai lu quelque chose des principaux auteurs de cette science. Néanmoins j’ai pris le titre d’antiquaire du roi, qui m’a été donné en assez bonne forme dans le temps que j’ai voyagé en Levant, en y cherchant des médalles pour le cabinet du roi. Mais, parce qu’il n’y avait pas d’appointements attachés, j’ai cru ne devoir pas m’en servir. Il est porté par le règlement de cette Académie, que l’on vient de rendre public par l’impression, que deux des académiciens honoraires et quatre des associés, pourront être étrangers. Je ne connais personne parmi les étrangers qui mérite mieux que vous que le roi lui fasse l’honneur de le regarder comme un sujet très digne d’y avoir place. Vous êtes assez connu, et je suis persuadé qu’on ne manquera pas de vous faire cette justice. Je vous assure, Monsieur, que j’en parlerai hautement en mon particulier comme je le dois, et M. Foucault se fera un plaisir d’y donner son suffrage » [médailles nouvellement acquises pour le cabinet de l’intendant] (Abdel Halim, p. 405-407, n° CXLIX).  
Lettre sans date (entre le 7 nov. 1701 et le 4 janvier 1702) (de Paris) : [a envoyé par mer trois exemplaires de ses Observations sur les Lettres de M. Ballonfeaux et du P. Hardouin à l’adresse de M. Halma] « Je vous supplie, si vous avez occasion de le faire, d’envoyer un des trois exemplaires à M. le baron de Spanheim, et un autre à M. Morel, antiquaire de M. le comte de Schwartzburg à Arnstadt, sinon vous en régalerez quelques-uns de vos amis, curieux de ces sortes de matières. Pour ce qui est du troisième exemplaire et des deux autres petits ouvrages, quoique ce soit un présent de très peu de conséquence, néanmoins, j’espère que vous voudrez bien le recevoir comme une marque de vénération que j’ai pour un mérite aussi rare que le vôtre. Mon observation sur les médailles de Tétricus sont reçues ici assez favorablement et tous ceux qui connaissent le P. Hardouin et les fausses idées qu’il a sur les médailles, approuvent fort la manière que j’ai suivie en écrivant contre ses sentiments. Je m’attends qu’il ne demeurera pas sans réponse ; mais je ne vois pas qu’il puisse rien apporter de solide contre des faits qui sont incontestables » [discussion sur le titre Augustorum et ses abréviations sur les monnaies romaines] « Les lettres ont fait une grande perte en la personne de M. Nicaise, qui est mort le 19 du mois d’octobre. Il s’était souvenu de tous ses amis dans son testament, en laissant quelque chose à chacun par où ils puissent se souvenir de lui, et je suis persuadé qu’il ne vous a pas oublié. Mais il n’a pu résister aux importunités de ses parents, qui croyant que cela leur ferait quelque tort, ont obtenu de lui qu’il le révoquât avant sa mort » ; « Je souhaite que vous trouviez quelque chose de bon dans les médailles que vous attendez de Constantinople, et qu’elles n’aient pas la même aventure que celles qui furent enlevées par nos armateurs. M. Foucault m’a chargé de vous faire ses remerciements de votre civilité, et de vous marquer qu’il attend la liste de vos médailles avec patience, de sorte que vous pouvez prendre tout le temps à la dresser que vos affaires vous le permettront » (Abdel Halim, p. 418-420, n° CLXXIV).  
-Lettre du 11 févr. 1702 (de Caen) : [observations sur deux médailles de Constantin citées par Cuper dans sa lettre précédente] « Les lettres écrites à M. B, c’est-à-dire à M. Baudelot, sont du P. Chamillard, auxquelles j’ai fait une réponse, par une lettre imprimée en cete ville. La Response à M. G. est de M. Baudelot, pour la défense du P. Chamillard, à laquelle je n ‘ai pas voulu faire de réplique, en considération de notre amitié, quoiqu’il m’eut ouvert un grand champ à ne pas demeurer dans le silence. En 1698, l’Abbé de Vallemont ayant publié la Nouvelle explication de la médaille d’or de Gallien, je publiai la même année une autre Lettre sur cette explication. La même année M. de Vallemont fit imprimer une seconde Lettre contre la mienne, qu’il joignit ensuite à sa Nouvelle explication, ou première lettre, par une autre impression. Au lieu de lui répliquer, j’ai mieux aimer le laisser dans son sentiment que de perdre le temps que je pouvais employer à quelque chose de meilleur. Cet abbé s’est mis dans les médailles trop âgé, avec des préventions dont il n’est pas possible de le faire revenir. M. Baudelot a aussi écrit contre lui sur cette matière » [sur quelques légendes de médailles romaines incorrectement reproduites dans les recueils d’Occo et de Mezzabarba, réponse à diverses propositions sur les médailles faites par Cuper] » (Correspondance de Caen ; Abdel Halim, p. 423-4, n° CLXXVIII).  +
-Lettre du 8 mai 1702 (de Caen) : « J’aurais pu être aussi diligent que M. Foucault à faire réponse à la lettre que vous avez bien voulu joindre pour moi à celle qu’il a reçue de votre part il n’y a pas longtemps, si je n’avais pas été obligé d’attendre qu’un ami de cette ville, bon dessinateur, m’eût fait le dessin ci-joint, que je vous ai envoyé seulement en papier imprimé sur la médaille sans avoir passé l’encre de Chine sur les traits, par le soupçon que j’ai que des traits de pécédent ne se soient évanouis par le transport » [observations sur ce dessin qui est celui de la médaille portant la légende Gallienae Augustae, discussion d’une médaille supposée de Pyrrhus]… « Par une lettre que j’ai reçue de Paris, j’ai appris que dans les Mémoires de Trévoux que l’on rimprime à Amsterdam, l’on a ajouté dans un des derniers quelque chose contre moi, où l’on me mande que je suis maltraité. Je vous supplie, Monsieur, si ces Mémoires viennent entre vos mains, c’est d’avoir la bonté de faire copier cet endroit-là, et de me l’envoyer sous l’adresse de M. Foucault, qui n’a pas moins de curiosité de le voir que moi. Si ce sont des injures, je n’y ferai pas réponse. Si ce sont des raisons contre ce que j’ai écrit, je verrai s’il y aura quelque chose à y répliquer » [sur une médaille d’Auguste, sur une autre portant une inscription en persan] « Notre Académie m’a chargé de travailler à l’explication des mots de dignités qui se trouvent sur les médailles. Cela m’occupe présentement, et m’a fait interrompre le Selecta de notre cabinet. J’avais cru d’abord que ce serait un ouvrage de peu de durée, mais je vois qu’il me mènera assez loin. J’envoyai la semaine passée pour essai celle du mot de Censor, qui est quarante pages. J’en suis à Consul, qui n’en aura pas moins. Mais tous les articles ne seront pas de la même force. J’espère que cette guerre n’apportera pas plus d’obstacle au commerce des lettres que la dernière, et ainsi elle n’empêchera pas que vous ne continuiez de m’honorer quelquefois des votres, à votre loisir » (Correspondance de Caen ; Abdel Halim, p. 426-429, n° CLXXXI).  
-Lettre du 14 juillet 1702 (de Caen) : « Quelques jours avant l’arrivée de vôtre paquet de 4e de ce mis, j’avais reçu de Paris une copie de la lettre prétendue d’Amsterdam, faite sur un exemplaire venu de Hollande à la Bibliothèque du roi. Je ne laisserai pas de vous avoir la même obligation que si je ne l’avais pas reçue en aucune manière. J’aime beaucoup mieux l’avoir imprimée que manuscrite. Vous me marquez assez ce que vous en pensez ; mais, Monsieur, que croyez-vous que j’en pense moi-même ? Je l’ai vue, je l’ai lue, j’en ai ri. Quelque autre aurait jetté feu et flamme, aurait protesté de faire repentir l’auteur de son style si atroce, et d’en prendre bien sa revanche ; et moi j’en ai ri, et je continuerai d’en rire, et je me garderai bien de prendre la plume pour lui faire réponse. Si j’étais assez riche, je ferais réimprimer sa lettre pour en distribuer des exemplaires à tout l’univers, et c’est toute la réponse que je voudrais lui faire. Je suis certain que même ses meilleurs amis n’approuveraient pas un écrit trempé dans le fiel et le vinaigre. Un autre peut-être triompherait de l’avoir mis dans un si grand excès de colère ; et moi, j’ai un véritable chagrin de voir de sa part une opiniâtreté si grande, à persister en des faussetés si énormes, et à les défendre d’une manière qui ne peut lui attribuer que du blâme, pendant qu’il me fait beaucoup d’honneur. Ce qui me fait de la peine, c’est que vous n’avez pas encore vu les Observations qui m’ont attiré cette lettre. Le porteur m’a assuré lui-même qu’il a livré mon paquet ; mais je le tiens un menteur. Je vous les enverrais par la poste si j’osais prendre cette hardiesse. Elles ne sont pas extrêmement grosses, quoi qu’il y ait 96 pages. Je vous supplie de me mander si je puis vous les envoyer, j’en ferais couper les marges. Si vous le jugez à propos peut-être que quelque libraire de chez vous pourrait les réimprimer, et cela servirait, en vos quartiers, de réponse à la Lettre« [observations sur quelques médailles de Corinthe mentionnées dans la lettre de Cuper, sur une médaille portant la légende C. C. Augusti, des titres de dignités, de charges, d’onneurs sur les médailles antiques]« Je me suis plains aux auteurs des Mémoires de Trévoux de la négligence de leur correcteur d’imrimerie, qui a laissé dans ma Lettre touchant Amandus, Capis au lieu de Caius et Alberius au lieu d’Albertus, de quoi ils ont fait un errata dans le tome du mois de janvier de cette année. L’impression de leur ouvrage se fait à près de cent lieues d’eux, de sorte qu’ils ne peuvent voir les épreuves après leur correcteur. Quand je n’aurai pas d’occupations qui m’en empêchent présentement, cela seul me détournera de leur commniquer davantage de quoi remplir leur ouvrage. M. Foucault, nonobstant les douleurs et les incommodités que les hémmorhoides lui font souffrir depuis trois semaines en le retenant au lit, ne laisse pas d’être très sensible à vos compliments » (Correspondance de Caen ; Abdel Halim, p. 430-432, n° CLXXXIII).  
-Lettre non datée (fin du moi d’Août 1702) (de Caen) : « Voici enfin les Observations que vous devriez avoir reçues il y a longtemps, dont j’ai fait rogner les marges un peu grandes pour diminuer le paquet. La 55e page est rognée un peu trop près et j’y ai suppléé deux ou trois lettres qui ont été emportées » [retour à la discussion des théories du Père Hardouin sur les médailles antiques ; critique d’un article de l’académicien Henrion dans les Mémoires de Trévoux ; développements de quelques faits de l’histoire de César et d’Auguste commémoré par les médailles] annonce l’ouvrage des Mille et une nuit « en y travaillant seulement les après dîners, comme par divertissement après mon travail du matin sur les noms de dignités qui se trouvent sur les médailles, qui n’est pas si avancé ; car, comme je suis l’ordre alphabétique, je n’en suis encore qu’à la lettre M » (Abdel Halim, p. 434-436, n° CLXXXV).  +
-Lettre du 20 nov. 1702 (de Caen) : « Je me fais un grand honneur de l’approbation que vous donnez à mes Observations sur les médailles de Tétricus que l’on estimait si précieuses et dont on voulait tirer des arguments pour établir des nouveautés dans l’histoire romaine éloignées de toute apparence. Quand tout le monde me donnerait tort, m’accuserait de m’être engagé mal à propos dans cette dispute, et donnerait gain de cause à ma partie, le jugement d’une personne comme vous, non moins éclairée sur cette matière, que sur une infinité d’autres plus importantes, me tiendrait le même lieu que s’il avait été rendu de l’avis commun de tout l’univers. Sans parler des autres ouvrages du P. Hardouin, les obscurités contenues dans le Saeculum Constantinianum me parurent si étranges, que je ne pus concevoir comment elles pouvaient être tombées dans l’esprit d’un homme, estimé d’ailleurs très sensé, et je ne m’étonnai pas qu’on l’eût supprimé avec sa Chronologie de l’Ancien Testament qui parut en même temps. Je ne m’arrêtai pas à ce dernier ouvrage qui n’était pas de ma compétence. Néanmoins, je ne laisserai pas d’y remarquer quantité d’autres paradoxes sur le fait des médailles antiques. Je ne songeais pas aussi à rien écrire contre le Saeculum Constantinianum, non seulement parce que c’eût été une entreprise d’une trop longue haleine, et qui d’ailleurs m’aurait détourné d’autres occupations plus utiles ; mais encore parce que je voyais beaucoup de difficulté à travailler la matière d’une manière dont l’auteur n’eut pas sujet de se plaindre, lorsque le prétendu M. de Ballonfeaux (nb : Galland met en doute l’existence de l’érudit luxembourgeois) fit paraître les Lettres sur les médailles de Tétricus et sur les autres. Cela me détermine à travailler au petit ouvrage que vous avez vu, et de l’adresser à Mr. de Ballonfeaux avec toute l’honnêteté possible envers lui, et envers le P. Hardouin. Ce n’est pas aussi de ce côté-là que l’on se plaint de moi dans la Lettre imprimée à Amsterdam. La vérité que j’ai représentée clairement est odieuse. Il n’en a pas fallu davantage pour me traiter d’une manière si peu digne de celui de la part de qui elle vient. A me considérer moi-même par rapport à celui à qui je me suis attaqué, il y a peut-être de l’inconsidération dans ce que j’ai fait ; mais il ne m’est pas possible d’avoir de la complaisance, lorsqu’il s’agit de détruire la fausseté, et d’empêcher qu’elle n’étouffe la vérité. Ce que je puis assurer, c’est que la présomption, ni le désir d’une vaine gloire n’y a pas eu de part. Je n’ai eu d’autre vue que de désabuser ceux à qui l’autorité d’un nom célèbre aurait pu imposer : j’espère qu’ils m’en sauront bon gré, et quand ils ne voudraient pas se donner la peine d’approfondir la question, que la manière dont on m’a fait réponse ne contribuera pas médiocrement à leur persuader que la cause dont j’ai pris la défense est bonne. Mais je laisse là cette matière pour retourner à votre lettre » [éclaircissement, à l’intention du correspondant, de quelques questions de numismatique suscitées par la controverse avec Hardouin et Ballonfeaux] « M. Foucault reçut hier une relation fort ample de ce qui se passa il y aura demain huit jours à la première séance d’après les vacances, qui est publique, de l’Académie des Inscriptions et des Médailles. M. Vaillant y lut un écrit, par lequel il prétend prouver sur les médailles frappées à Antioche au nom de Varus, à la faveur des dates qui y sont marquées, que Notre Seigneur n’est pas né l’an 754, suivant notre ère commune, mais l’an 749 de la fondation de Rome. M. Vaillant le fils, reçu cette année, à la place de M. Charpentier, y récita un discours sur une médaille d’or du Cabinet du roi, qui est du roi Achaeus, où il renferma ce que les auteurs ont écrit de sa vie »… « Un autre académicien (nb : Philibert-Bernard Moreau de Mautour) récita un discours sur le travail qu’il a entrepris de traiter en français des Amazones par les médailles antiques, avec plus de méthode que n’a fait Petrus Petitus et les autres auteurs qui ont déjà écrit sur cette matière. Enfin, un autre académicien lut quelque chose de la traduction du français en latin de l’Histoire du roi par les médailles publiée cette année, dont il a été chargé par l’Académie » (Abdel Halim, p. 439-440, n° CLXXXVIII).  
-Lettre du 30 jan. 1703 (de Caen) :« Je vous supplie de ne pas regarder vos réponses aux lettres que j’ai l’honneur de vous écrire comme des dettes qui vous apporteraient l’importunité d’un créancier trop intéressé si elles n’étaient (écrites) régulièrement. Je suis payé suffisamment pour l’agrément avec lequel je suis persuadé que vous les recevez »[Cconsidération sur les médailles de Tétricus, détails sur la dispute avec André Morel au sujet des médailles consulaires, réponses aux difficultés proposées par Cuper au sujet des médailles des Thyriens] (Abdel Halim, p. 447-448, n° CXC).  +
-Lettre du 27 mars 1703 (de Caen) : « Voilà une grande colère que je me suis attiré de la part de M. Morel ! Ce n’a pourtant pas été mon intention » [résumé de la controverse de Galland avec Morel ; retour à la controverse du Père Hardouin et Ballonfeaux, à la suite de la publication par ce dernier d’une Réplique à Galland] [critique d’un article des Mémoires de Trévoux de février 1703 relatif à une médaille de Faustine la mère] (Abdel Halim, p. 451-452, n° CXCII).  +
-Lettre du 29 avril 1703 (de Caen) : « Vous me faîtes connaître par votre dernière lettre, que vous êtes persuadé non seulement qu’il n’y a pas de médailles qui marquent la consécration de Tétricus le Père, après sa mort, mais encore qu’il ne peut y en avoir, à moins que quelqu’un de ses descendants ne lui ait fait cet honneur […] J’ai fait mon occuption de l’étude des langues orientales avant celle des médailles antiques. Je savais de l’hébreu assez passablement à l’âge de treize ou quatorze ans ; et quand je fus venu à Paris vers la fin de 1661, j’en pris des leçons, de même que la langue arabique, achevant mes humanités. En 1670, étant arrivé à Constantinople, je m’appliquais plus sérieusement aux mêmes langues de même qu’à la turque et à la persienne »… [sur la Réplique de Ballonfeaux à Galland ; Galland fait ensuite un long exposé de sa controverse avec P.-D. Huet au sujet des antiquités romaines découvertes à Vieux] (Abdel Halim, p. 455, n° CXCIV).  +
-Lettre du 3 oct. 1704 (de Caen) : [discussion des articles de la lettre de Cuper relatives aux médailles] « Je suis fâché de ne pouvoir vous donner de nouvelles du prince qui honore si fort l’antiquité numismatique. Je ne connais même personne à Paris qui puisse m’en apprendre. Il me semble que les nouvelles publiques auraient parlé de sa mort s’il n’était plus de ce monde. Vous m’obligeriez infiniment de me faire part de ce que vous avez remarqué de curieux dans le cabinet que vous avez vu à Amsterdam, lorsque vous en avez eu le loisir » [remarques sur les médailles de ce cabinet citées par Cuper et dont l’une, se trouvant également au cabinet de Foucault a été expliquée par Galland dans ses Selecta des médailles de l’intendant, observations sur les divers ouvrages de numismatique mentionnés dans la lettre de Cuper] « Je vis M. Vaillant à Paris, où j’étais cette année, un peu après Pâques. Il ne m’a pas dit qu’il eût fait, ou qu’il eut dessein de faire imprimer la dissertation dont vous me parlez sur la véritable époque de la naissance de N. S. » ; « Il y a plus de huit mois que j’ai fait présenter mon Dictionnaire numismatique à notre Académie. Elle en a fait l’examen, et j’y en ai lu moi-même quelques article après Pâques, dans les assemblées où je me suis trouvé pendant deux mois de séjour que j’ai faits à Paris, entre autres celui de Néocores dont elle a paru assez contente » (Abdel Halim, p. 464-467, n° CXCIX).  +
-Lettre du 5 déc. 1704 (de Caen) : «Je suis encore à recevoir, et à voir la Response de M. de Ballonfeaux. Un nouvel ouvrage du P. Hardouin, que le P. Hardouin a envoyé lui-même à M. Foucault sous ce titre : R. P. Joannis Harduini Dissertatio epistolica, latine et gallice, super numis antiquis duobus, Tetricorum, et Diocletiani, Augustorum, Luxembourg, où il demeure toujours ferme, dans les mêmes principes que j’ai combattus, m’ôte entièrement l’envie de voir cette Réponse. Je l’en tiens quite, et il interprétera mon silence comme bon lui semblera » [sur le titre d’Auguste au revers des médailles des Césars ; sur une médaille de Carausius portant la légende PAX. AVGG. ; sur diverses médailles faussement attribuées aux Tétricus père et fils ; sur une médaille de Postume expliquée par Baudelot de Dairval] « J’ai avancé mes observations latines sur les médailles choisies du cabinet de M. Foucault, jusqu’à celles de Néron ; et j’en ai bien 340 pages in-4°, d’une écriture plus serrée que celle-ci. Mais j’ai été obligé de les discontinuer pour m’occuper au Dictionnaire numismatique. Ce Dictionnaire achevé, je me suis trouvé engagé à la traduction des contes arabes … » [explication d’inscriptions et de médailles mentionnées par Cuper] « L’échantillon que vous m’avez envoyé du cabinet des médailles espagnoles de M. Bary, d’Amsterdam, me fait connaître aisément qu’il faut qu’il soit aussi singulier, et aussi curieux que vous me le marquez. Il fallait qu’un homme aussi curieux et aussi entendu que lui, demeurât longtemps en Espagne et s’appliquât à y amasser des médailles avec tant de soin pour empêcher qu’une partie au moins de ces monuments si précieux, qui périssent tous les jours, par le défaut des curieux, comme on n’en doit pas douter, ne fut entièrement ensevelie dans l’oubli. J’espère que vous communiquerez au public ces lettres amples que vous décrivez, afin que les antiquaires profitent de vos découvertes, et de vos remarques savantes » [discusion des médailles de ce cabinet citées par Cuper]« Je ne savais pas qu’on eût fait en Allemagne une nouvelle édition des Médaillons du roi. Ces médaillons furent frappés du temps de M. Colbert, et que M. Carcavi était garde du cabint du roi. Mais celui qui s’est donné le soin de cette nouvelle édition, n’a pas su que la première a été supprimée à cause qu’il y a un grand nombre de fautes […] J’ai oublié de vous marquer par ma dernière que M. Génebrier, docteur en médecine, de mes amis, a publié cette année une Dissertation sur Magnia Urbica, qu’il a dédiée à M. Foucault […] Le même auteur vient de nous donner une autre Dissertation sur Nigrinianus, qu’il a adressée à M. Baudelot » ; « Pour embellir cet ouvrage (du Père de Viri sur la colonne d’Antonin le Pieux), j’ai envoyé le dessin d’une médaille singulière d’Antonin Pie, qui est au cabinet de M. Foucault […] Si M. Bari avait des médailles espagnoles doubles, et que parmi ces doubles, il y en eût que M. Foucault ne possède pas, et qu’il voulut les vendre, M. Foucault se ferait un grand plaisir de les acheter pour en enrichir son cabinet, où il y en a de ce pays-là, peut-être plus que dans aucun autre cabinet » ; « M. Le Baron de Spanheim m’a fait l’honneur de m’écrire de Londres. Il me demande quelques dessins de médailles rares du cabinet de M. Foucault pour augmenter la nouvelle édition de son ouvrage De usu et praestantia numismatum, que l’on rimprime en Angleterre in-folio, avec plusieurs dissertations nouvelles. Mais je trouve peu de chose à lui envoyer qui puisse y convenir » (Abdel Halim, p. 470-477, n° CCI).  
-Lettre du 27 janv. 1705 (de Caen) :« Je suis bien fâché de n’avoir de loisir que pour vous écrire à cette occasion. Je vous dirai néanmoins, que dans les Mémoires de Trévoux du mois de décembre dernier, il y a une petite dissertation contre les six Constantins du P. Hardouin. Elle est du Père de Grainville, Jésuite de Rouen, qui a supprimé son nom. Il me l’avait envoyée manuscrite longtemps auparavant, et il y parle de moi avec honneur. Il travaille sur les médailles de la famille de Cosntantin, et je lui ai déjà donné de bons avis sur cette matière » (Abdel Halim, p. 479-481, n° CCIII).  +
-Lettre du 9 févr. 1705 (de Caen) : [sur une médaille de Maximien Herculius ; sur les autels dressés pour Auguste à Rome ; sur un passage de l’historien Zozime relatif à Domitius Domitianus et les médailles de ce dernier, publiées par Mezzabarba ou encore inédites, dont Foucault possède un grand nombre]« M. Foucault a rapporté de son voyage à Paris, deux petits ouvrages nouvellement imprimés, qui ont rapport aux médailles antiques. L’un : Dissertation sur le culte que les Anciens ont rendu à la déesse de la santé. Et l’autre, qui est dédié : Dissertation sur le Janus des Anciens, et sur quelques médailles qui y ont rapport. Elles sont toutes deux de M. Gros de Boze, jeune antiquaire. Ce sont les premières de ses études numismatiques, qu’il pourra faire suivre avec le temps d’autres ouvrages plus solides. Comme il n’y a rien de nouveau, ils ne méritent pas que vous vous mettiez en peine de les avoir. J’écris à M. Génebrier, et le prie de vous envoyer de Paris, en deux différentes fois, ses deux dissertations sur Magnia Urbica, et Nigrianinus. Je ne doute pas qu’il le fasse avec bien du plaisir. On m’a écrit de Paris que M. Leibniz y a mandé que vote Eléphant paraîtrait bientôt. Je crois que vous m’en auriez parlé s’il en était quelque chose. Je ne sais s’il est vrai comme on m’en écrit aussi de Paris que M. Bayle soit mort ; ce serait une perte pour la République des lettres » (Abdel Halim, p. 481-483, n° CCIV).  +
-Lettre du 15 févr. 1705 (de Caen) : [réflexions sur les inscriptions de la colonne d’Antonin Pie et sur les médailles qui la représentent ; sur l’explication par de Bary de quelques abbréviations employées sur les médailles ; sur une médaille de Dioclétien frappée en Egypte du cabinet de Foucault ; Galland envoie à Cuper la copie de ses discours académiques fait à l’occasion de leurs discussions au sujet des médailles de Domitus Domitianus] « On a reçu depuis peu dans notre Académie trois élèves, pour remplir les places vacantes. Le premier est M. Gros de Boze, auteur des deux dissertations sur la déesse Salus, et sur Janus, dont je vous ai déjà entretenu. Le second, M. Charles de Valois, fils du célèbre Henri de Valois ; et le troisième M. Massieu, que je ne connais pas » [suit la copie du disocurs en dix pages in-8°, intitulé : Discours sur les médailles de Cl. Domitius Domitianus, où l’on fait voir le rang qu’il doit tenir dans la suite des empereurs romains] (Abdel Halim, p. 486-487, n° CCVI).  +
-Lettre du 6 mars 1705 (de Caen) : « Je n’aurai pas de peine à convenir avec M. de Bary de toutes les remarques qu’il peut avoir faites, sur les caractères des Tyriens, des Carthaginois, et de leurs colonies en Espagne » [remarques sur une série de médailles du cabinet de ce personnage décrite par Cuper ; Galland envoie à son correspondant une liste de seize médailles choisies parmi les doubles dont de Bary désire se défaire] « Il aura donc la bonté de mander par votre entremise, ce qu’il estime, en gros, ou chacune en particulier, par rapport à notre monnaie de France. Quand M. Foucault sera convenu du prix, M. de Bary pourra donner avis du moyen de lui faire le paiement. Pour ce qui est de l’envoi des médailles, je crois qu’il le pourra faire par la poste, dans un ou deux paquets consécutifs, à l’adresse de M. Foucault, où les médaillons seront enveloppés dans du papier, entre deux cartons. J’envoyais de cette manière à M. de Louvois celles que je trouvais au Levant, lorsque j’y étais employé par son ordre pour le cabinet du roi » [sur les médailles de l’empereur Léon ; sur les médailles d’Antonin Pie ; sur les fouilles exécutées par Foucault à Vieux et la controverse entre Galland et Huet au sujet des ruines de ce village ; Galland envoie à son correspondant le résumé de quelques corrections faites au discours précédemment envoyé sur les médailles de Domitius Domitianus] (Abdel Halim, p. 487-489, n° CCVII).  +
-Lettre du 14 mars 1705 (de Caen) : [opinions des membres de l’Académie des inscriptions sur le discours de Galland relatif à Domitius Domitianus, d’après une lettre de Gros de Boze à Foucault] « M. Foucault a obtenu du roi les lettres patentes pour la création d’une académie en cette ville, sous le nom d’Académie des belles-lettres dont le roi l’a fait protecteur. Elle est composée de trente académiciens, pour s’assembler une fois la semaine » (Abdel Halim, p. 489-490, n° CCVIII).  +
-Lettre du 15 mai 1705 (de Paris) :« Il (M. Foucault) me marque qu’il vous parle des médailles doubles de M. de Bary, et qu’il se remet entièrement à vous pour les lui acquérir au prix que vous voudrez bien y mettre. Il trouvera le moyen de faire tenir la somme dès qu’il en aura eu avis. Je pourrai bien rester encore quinze jours à Paris. J’y ai fait acquisition d’assez bonnes médailles pour augmenter le cabinet de M. Foucault, et j’espère d’en acquérir d’autres avant mon départ » (Abdel Halim, p. 496-497, n° CCXIII).  +
-Lettre du 25 juin 1705 (de Caen) : [Galland a écrit longuement à M. de Bary ; il est très occupé et répondra plus à loisir ultérieurement à Cuper ; il lui fait cependant part de courtes réflexions sur quelques légendes énigmatiques de médailles, et de la découverte à Vieux d’une médaille curieuse de Diaduménien ; considérations sur la valeur des médailles achetées à de Bary] « J’ai apporté de mon voyage de Paris, une augmentation au cabinet de M. Foucault, de 93 médailles, tant impériales, romaines, grecques et colonies, que de villes grecques et espagnoles. Après ce que vous m’avez mandé si positivement, que vous n’avez pas reçu les deux dissertations de M. Génebrier, je n’ai osé lui en parler à Paris, pour lui épargner la confusion de m’avoir manqué de parole » (Abdel Halim, p. 497-498, n° CCXIV).  +
-Lettre du 10 juil. 1705 (de Caen) : « Je n’y admire pas moins que vous la force de l’imagination des Arabes, et la variété de leurs fictions, beaucoup plus hardies que les fictions d’Homère. Le sixième volume commençait de paraître dans le temps que je suis parti à Paris pour revenir à Caen. J’apprends qu’on n’en est pas moins content que des autres volumes. On demande déjà le septième : il est prêt ; mais j’ai encore à le revoir, et je ne crois pas qu’il doive paraître avant la fin de la campagne, à cause du peu de monde qu’il y a à la cour, et à la ville. Cette solitude n’accommode pas le libraire : car, nos officiers avec nos magistrats, ne s’en font pas moins un divertissement que les dames.. Ce qu’il y a, c’est que cet ouvrage de fariboles, me fait plus d’honneur dans le monde, que ne le ferait le plus bel ouvrage que je pourrais composer sur les médailles, avec des remarques pleines d’érudition, sur les antiquités grecques et romaines. Tel est le monde. On a plus de penchant pour ce qui divertit, que pour ce qui demande de l’application, si peu que ce puisse être » ; « Je viens à la liste des médailles de bronze qui vous sont venues de Venise, dont vous me parlez dans votre lettre du 16 de mai […] J’ai rapporté de mon voyage de Paris plus de quatre-vingt dix médailles, dont le cabinet de M. Foucault se trouve augmenté […] » (Abdel Halim, p. 500-501, n° CCXVI).  +
-Lettre du 23 juil. 1705 (de Caen) : « Le 19 je reçus un paquet de Mr. de Bary, qui contenait les cinq médailles pour le prix que je lui avais offert de la part de M. Foucault. Sa lettre était du 13, et dès le lendemain de sa réception, en y faisant réponse, je lui marquai qu’à la prière de M. Foucault, le directeur des Gabelles de cette ville, qui était parti pour Rouen le même jour que j’écrivais, ne manquerait pas de compter la somme aux deux marchands qu’il m’avait marqués. M. Foucault vous est très obligé d’un service que vous lui avez rendu dans cette occasion. Il y a deux des cinq médailles qui ne sont pas extrêmement bien conservées. Mais M. Foucault ne demande autre récompense à M. de Bary, comme je le lui ai mandé de sa part, que la préférence, au cas qu’il veuille se défaire un jour des autres médailles dont il n’a pas de doubles, et que M. Foucault n’a pas […] » [sur une médaille de Diaduménien ; sur une autre de Trébonien Galle ; description de quelques médailles rares du cabinet de Foucault ; sur une médaille de Soemias ; lecture de légendes énigmatiques de médailles] « M. Vaillant sait bien qu’il y a longtemps que ses Familles romaines sont imprimées. Jusqu’à présent cependant il n’en a pas reçu un seul exemplaire. Il se plaint fort de la négligence de M. Hughetan » (Abdel Halim, p. 506-508, n° CCXXI).  +
-Lettre du 13 août 1705 (de Caen) : [Galland reprend les divers articles des lettres de Cuper dans leur ordre, avec ses propres commentaires fondés pour la plupart sur l’étude des pièces de la collection Foucault] « J’ai envoyé à Paris le discours que j’ai fait sur la médaille de Diaduménien où nous avons la figure d’Héraclite pour être lu dans notre Académie ; mais je n’ai pas encore eu nouvelle qu’il y ait été lu. Je vous envoie un dessin de la médaille, que j’ai tiré moi-même. Je vous enverrais aussi une copie du discours, s’il ne fallait pas trop de temps à la faire. Il vaudrait mieux vous l’envoyer imprimé ; mais je ne suis pas de ceux qui se pressent de faire imprimer leurs ouvrages, ni qui puissent faire la dépense pour cela. Car, comme ces sortes de petits ouvrages ne sont pas propres à beaucoup de monde, les libraires ne veulent pas se charger des frais de l’impression. L’argent des cinq médailles a été compté à Rouen, et je ne doute pas que M. de Bary n’en ait présentement reçu la nouvelle » (Abdel Halim, p. 510-511, n° CCXXVI).  +
-Lettre du 19 sept. 1705 (de Caen) : « Je ne manquai pas, dès le lendemain, d’envoyer à M. Gros de Boze celle dont vous l’avez accompagnée, que j’ai cachetée après m’être fait un grand plaisir de la lire ; j’ai remarqué comme vous des endroits négligés, non seulement dans sa dissertation du Taurobole, mais même dans les autres qu’il nous a données. Je n’ai pas voulu néanmoins prendre la liberté de lui en écrire, ou de lui en parler dans mon dernier voyage de Paris, de crainte qu’il ne la prit pas en bonne part. Je n’ai pas jugé aussi à propos de le faire, par la considération qu’il est jeune, et qu’il est aisé de voir qu’il sera plus exact avec le temps, à mesure qu’il continuera de travailler. Je ne doute pas que les avis obligeants que vous lui donnez, ne contribuent beaucoup à le faire apercevoir de ses petites négligences, et ne le portent à se corriger […] J’ai bien de la joie que le dessin de la médaille de Diaduménien avec le type d’Héraclite, vous ait fait plaisir […] Je suis bien obligé du dessin que vous m’avez envoyé en échange de la médaille où il y a Tertulla Titi […] J’ai reçu la réponse de M. de Bary, et M. de Bary doit présentement avoir reçu celle que j’y ai faite. Il s’est beaucoup prévalu d’une faute d’inadvertance qu’il a trouvée dans ma lettre […] » [sur Félibien des Avaux] (Abdel Halim, p. 515-516, n° CCXXX).  +
-Lettre du 3 nov. 1703 [1705] (de Caen) : « Je prends beaucoup de part au déplaisir que vous devez avoir eu de n’avoir pu faire un plus long séjour à Amsterdam ; mais je n’en prends pas moins à la satisfaction que doit vous avoir donné l’examen des médailles que vous y avez vues dans ce peu de jours » [observations sur une médaille de Tibère attribuée à Auguste ; surn les médailles de la ville d’Utique ; sur les médailles de Tertulla ; sur deux médailles de Néron citées par Cuper ; les travaux de Bary sur les médailles puniques ; Galland achève la première partie de son Selecta des médailles de Foucault ; nouvelles acquisitions pour le cabinet de l’intendant, dont une médaille de la reine Bérénice ; préparation d’un discours académique intitulé : Discours sur la monnoie d’Homère, des Smyrnéens, dont il est fait mention dans Strabon] (Abdel Halim, p. 517, n° CCXXXI).  +
-Lettre du 22 déc. 1705 (de Caen) : « Dans un océan aussi vaste que celui des difficultés qui se rencontrent dans l’étude des médailles, je m’estime heureux de rencontrer assez bien en quelques-unes pour mériter l’approbation d’une personne aussi éclairée que vous l’êtes. Il y en a de si épineuses, que très souvent je ne suis pas plus satisfait de mes propres conjectures, que de celles des autres ; et il y en a un plus grand nombre de celles qui sont impénétrables à un point que j’aime mieux faire un aveu sincère de mon ignorance, que d’en rien avancer légèrement. A propos de l’éléphant que vous avez remarqué sur une médaille […]» ; « Je vous enverrai mon Discours sur la monnaie d’Homère avec bien du plaisir. Mais vous voudrez bien que ce ne soit pas pour cette fois […] Comme M. Foucault a pris la peine de lire votre lettre, l’article du cabinet à vendre de feu M. le baron de Heckeren l’a frappé, et il m’a chargé de vous marquer que vous l’obligeriez très sensiblement si vous pouviez le lui ménager. Il pourrait se résoudre à l’acheter tout entier, pourvu que’il y eut un nombre de médailles un peu considérable, qu’il n’eut pas, et qu’on voulut l’en accommoder à un prix un peu raiosnnable. Vous me faites un très grand plaisir de me faire part des médailles, que vous avez remarquées à Amsterdam, dont vous ne m’aviez pas encore fait mention […] M. de Cuningham ne m’était connu ni de nom, ni de réputation. Il faut qu’il soit venu à Paris depuis le temps que je suis à Caen. A l’égard des médailles les plus rares du cabinet du duc de Maine, dont il souhaite une liste, il faudrait s’adresser à M. Vaillant qui en a la garde. Mais, comme ces médailles rares sont presque toutes grecques, M. de Cuningham peut les trouver dans les Villes grecques impériales de M. Vaillant, où M. Vaillant a pris soin de les insérer : car M. le duc de Maine n’a pas fait d’acquisition depuis ce temps-là. Pour ce qui est des rares du cabinet du roi, il est certain qu’il y en a un grand nombre. Mais, dans le dessein que l’on a de donner un jour le cabinet entier au public, il y a longtemps qu’on a résolu de n’en plus communiquer aux particuliers, afin d’en avoir un plus grand nombre à publier qui n’aient pas encore été vues. M. Vaillant, qui n’ignorait pas cette résolution, ne s’est pas même hasardé de demander la communication de celles qui pouvaient augmenter et embellir davantage son ouvrage. Il a été obligé de se contenter d’y placer celles dont il avait fait les mémoires pendant le peu de temps qu’il avait eu la garde du cabinet, ou qu’il avait observé depuis qu’il le fréquentait. Quant à celles du cabinet de M. Foucault, il n’y en a qu’un petit nombre de grecques d’augmentation à toutes celles qui se trouvent dans les Villes grecques impériales de M. Vaillant, d’où M. de Cuningham peut tirer ce qui lui conviendrait. Pour ce qui est des dernières, M. Foucault est bien aise qu’elles aient l’agrément de la nouveauté dans le Selecta de son cabinet auquel je travaille. Sauf un meilleur avis, il me semble que M. de Cuningham ne doit pas tant s’attacher à remplir son ouvrage de médailles connues, qu’à en donner un petit nombre de celles dont on n’a pas entendu parler. On veut de la nouveauté, et non pas des répétitions » (Abdel Halim, p. 520-523, n° CCXXXIII; Burnett 2020b, p. 838).  
-Lettre du 16 janv. 1706 (de Caen) : « Il y a plus de quinze jours que la copie du Discours touchant la monnaie d’Homère, que je vous envoie aujourd’hui, est prête ; et, depuis ce temps-là, j’ai attendu inutilement la réponse de M. Félibien afin de vous en faire part en même temps. Je sais cependant qu’une autre copie, que j’ai envoyée, lui a été donnée, et je ne comprends pas ce qui peut l’empêcher de m’en écrire un mot. Quoiqu’il en soit, je n’ai pas voulu différer plus longtemps à m’acquitter de la promesse que je vous fis par ma dernière lettre » ; « Je n’ai plus qu’un mot à ajouter, qui est que nous avons appris ici que M. Thoinard, qui ne doit pas vous être inconnu, est mort à Paris depuis quelques jours (nb : mort le 5 janvier 1706). Je ne dois pas oublier que je vous envoie aussi le dessin que vous m’avez mandé du revers de la médaille de la colonie d’Antioche, qui a le dieu Mensis pour type » [suit le dessin de la médaille citée, et la copie, en 14 pages in-4°, du discours intitulé : Discours sur la monnoie d’Homère des Smyrniens, dont il est fait mention dans Strabon, où l’on examine si l’on a de cette monnaie dans les cabinets de médailels antiques (lu dans l’Académie royale des inscriptions et des médailles en décembre 1705)] (Abdel Halim, p. 524-525, n° CCXXXV).  +
-Lettre du 19 févr. 1706 (de Caen) : [remarques sur les monnaies onnues d’Homère] (Abdel Halim, p. 526-527, n° CCXXXVII).  +
-Lettre du 8 mai 1706 (de Caen) : « Je commence par votre médaille de Sept. Sévère […] M. Foucault a envoyé presque toute sa bibliothèque à Paris, et je n’ai plus ici que les Inscriptions de Gruter, pour y chercher celles que vous citez […] « (Abdel Halim, p. 529-530, n° CCXL).  +
-Lettre du 19 mars 1707 (de Paris) : « Un autre que moi pourrait prendre avantage du plaisir que vous prenez à lire mes lettres, comme vous avez la bonté de me le témoigner. Mais, quelle vanité ne serait-ce pas à un disciple, de prétendre s’élever au-desus de son maître, pour avoir eu le bonheur de tomber dans son sentiment. Je vous regarde, et vous honore, Monsieur, comme mon maître, et bien loin que votre approbation contribue rien à me faire me connaître, elle ne fait que m’encourager à continuer dans l’études des antiquités grecques et romaines, qui sont devenues le principal objet de mes études, depuis que je suis de l’Académie des inscriptions et des médailles » [éclaircissements de certains articles du Dictionnaire historique et numismatique de Galland ; médailles du cabinet de Foucault semblables à celles acquises par Cuper] « M. Foucault vous est sensiblement obligé de votre souvenir, et m’a chargé de vous en bien remercier de sa part, et de vous réitérer l’offre, qu’il vous a déjà faite, de tout ce qu’il y a dans son cabinet qui peut convenir à votre étude de l’antiquité gréco-romaine. Je suis bien fâché de ne pouvoir m’acquitter de faire vos compliments à M. Vaillant le père. Il fut attaqué d’apoplexie le 18 d’octobe dernier, et nous le perdîmes quatre ou cinq jours après (nb : Vaillant le père mourut le 23 oct. 1706). Je n’avais pu le voir qu’une fois depuis mon arrivée à Paris, à cause de notre éloignement d’un bout de la ville à l’autre. M. Vaillant le fils vous rend de très humbles grâces de l’honnêteté que vous lui faites » ; « M. Gros de Boze ne vous est pas moins obligé. Il est présentement secrétaire de l’Académie royale des médailles, par la démission de M. l’Abbé Tillemont, et il est très capable de bien s’acquitter de cet emploi. Il a aussi une charge d’inspecteur des devises, qu’il a eue du même Abbé avec l’agrément du roi. Pour ce qui est du P. Hardouin, il est venu deux fois voir le cabinet de M. Foucault, pour y examiner des médailles. J’apprends qu’il fait imprimer à Rotterdam deux volumes de dissertations sur les médailles. Nous devons nous attendre à y voir bien des visions dont je crains fort qu’il n’infeste tous les septentrionaux » ; « Après avoir parlé de tous ces messieurs, je dois vous dire quelque chose de moi-même. Comme M. Vaillant, par sa mort, a laissé dans l’Académie des médailles une place de pensionnaire vacante, cette place a été remplie par M. l’Abbé Fraguier, très digne de l’occuper, qui était associé, et j’ai eu les suffrages de la Compagnie, et l’agrément de S.M. pour être associé à sa place. Depuis que l’Académie a repris ses assemblmées, après les vacances dernières, j’y ai été assidu, comme je le devais, et j’y ai lu des disocurs dont voici les titres : Sur la constance de l’empereur Claude, par rapport à ce qu’elle lui est attribué sur ses médailles […] ; Sur le voyage de Néron en Achaïe […] ; Comment on doit entendre l’endroit de Suétone, dans la vie de Néron, où il est dit que Néron donna la liberté à toute l’Achaïe […] ; Sur la différente significayion de S.C. sur les médailles de bronze, et d’Ex. S.C. sur les médailles d’or et d’argent […] ; Sur le titre d’imperator qu’il fallait avoir reçu pour prétendre au triomphe […]. Comme reçu nouvellement associé, j’aurais à lire un discours publiquement, à la première assemblée d’après Pâques. J’en ai un de prêt sous ce titre : Discours sur une médaille grecque du cabinet de M. Foucault, d’une Cléopâtre, reine, femme de l’empereur Titus […]. Avant Pâques,j’aurai à faire la lecture de la suite d’un Discours sur la trompette, dont la première partie, que j’avais envoyée de Caen, fut lue l’année passée. La bibliothèque de M. Foucault, qui est fort ample, me donne beaucoup d’occupation et très peu de loisir à donner à l’étude, de manière que j’ai interrompu le Selecta des médailles de son cabinet, depuis mon départ de Caen ; et je ne vois pas quand je pourrai le reprendre. Nous avons ici un religieux bénédictin, italien, nommé Dom Anselmo Banduri, qui est chez nos PP. bénédictins de S. Germain-des-Prés pour un temps, par la libéralité du grand duc de Toscane, et qui va mettre sous la presse un excellent ouvrage in-fol. Intitulé : Antiquita Constantinopolitana. Le privilège en est déjà obtenu. Il est tout différent des Familles byzantines de M. Du Cange, et il sera plus ample. Il y a plusieurs pièces grecques non imprimées, particulièrement un [traité] fort ancien qui traite des antiquités de Constantinople, avec des figures de patriarches, d’empereurs et d’impératrices, tirées d’anciens mss. de la bibliothèque du roi. Il y donnera aussi les médailles qui sont dans les Familles de Du Cange, mais augmentées de toutes celles du cabinet de M. Foucault, et pour cela, il aura bientôt achevé le catalogue où il y a certainement plus de 500 médailles que M. Du Cange n’a pas vues. Je m’entretenais dernièrement de votre mérite avec ce Père, qui me dit assitôt qu’il ne lui était pas inconnu, et que souvent il avait vu de vos lettres écrites à M. Magliabecchi. Et cela lui a donné lieu de me prier de vous assurer de son estime, et de son amitié, et de vous demander l’honneur de la votre. D. Bernard de Montfaucon, aussi religieux bénédictin, dont le nom ne doit pas vous être inconnu, qui a amené avec lui, de son dernier voyage d’Italie, le Père Banduri dont je viens de vous parler, va nous donner aussi un bel ouvrage, in-fol., sous ce titre : Palaeographia graeca […] Les médailles grecques du cabinet de M. Foucault y sont citées. L’ouvrage est achevé, et même déjà sous la presse, comme je le crois. M. L’Abbé Passionei, parent du Pape, qui est ici avec le nonce, attend tous les jours l’ouvrage de M. Fontanini, touchant la colonne d’Antonin Pie, comme il me l’a témoigné lui-même il y a quelques jours » (Abdel Halim, p. 535-540, n° CCXLVI).  
-Lettre du 24 juin 1707 (de Paris), comme il me l’a assuré la seule fois que je pus le voir depuis: [sur le titre de flamen du Dictionnaire historique et numismatique ; sur les lettres ZA et IO qu’on lit au revers de certaines médailles antiques] « M. Vaillant vous fait bien son remerciement sur votre compliment à l’occasion de la mort de son père. Il lut il y a quelque temps dans notre Académie des inscriptions et des médailles un discours sur l’explication des lettres CONOB, qui se voient sur tant de médailles. Je ne m’y trouvai pas ce jour-là, de manière que je ne puis vous en rien dire. Il a pris ce qu’il en dit des mémoires du défunt, qui tenait pour certain que son explication était la véritable, comme il me l’a assuré la seule fois que je pus le voir depuis mon retour de Caen, quelques jours avant qu’il mourût : mais il ne s’en expliqua pas davantage. Il me remit seulement un discours, qu’il préparait pour en faire la lecture à l’Académie. Il ajouta qu’il avait de bons témoignages pour garants, et qu’il avait fait convenir de la vérité de son explication, M. l’Abbé de Longuerue, qu’il consultait fort sur ses doutes et qui est un habile homme dans l’histoire ecclésiastique. J’ai l’honneur de connaître aussi cet abbé : mais je n’ai pu encore trouver le loisir de lui aller rendre mes respects, à cause de l’éloignement de sa demeure. La première fois que je rencontrerai M. Vaillant, ou quelqu’un de nos académiciens qui l’auront entendu, je le prierai de me faire part de cette explication » ; « Il faut que l’on se soit mal expliqué sur ce que l’on m’avait dit des deux volumes de dissertations du P. Hardouin, qu’on allait imprimer en Hollande, ou que je l’aie mal entendu. Ce père vient quelquefois voir quelques-unes des médailles du cabinet de M. Foucault, et il les explique d’une manière qui ne mérite pas qu’on y fasse attention » [critiques des méthodes numismatiques du Père Hardouin ; sur la signification des lettres SC. ou EX. S.C des médailles romaines, sujet d’un discours de Galland à l’Académie] « Puisque j’en suis sur cette matière de mes discours lus dans l’Académie depuis mon retour de Caen, j’aurai l’honneur de vous dire, que dans la première assemblée d’après Pâques, qui fut publique à l’ordinaire, comme associé nouvellement reçu, j’y fis la lecture du discours sur la médaille de Cléopâtre, femme de Titus, dont je vous envoie ici la gravure, comme je vous avais mandé que je devais le faire. Il fut un d’un peu plus d’un quart d’heure ; et je puis dire qu’il fut écouté avec attention par tout l’auditoire, qui était très nombreux » [discussion au sein de l’Académie à propos de cette médaille] « Il y a déjà du temps que la Palaeographie grecque de Dom Bernard de Montfaucon est sous la presse ; et pour ce qui est de l’ouvrage de Dom Anselme Banduri, on en est à la première feuille. Ces deux révérends pères, à qui j’ai fait voir l’endroit de votre lettre où vous parlez d’eux, ont pour vous toute la vénération que méritent votre grand savoir, votre probité, et le grand honneur que vous faites aux belles-lettres. Je m’étais mépris en prenant M. Fontanini pour M. VIgnoli. Il n’est encore arrivé à Paris aucun exemplaire du livre De columna Antonii Pii, de M. Vignoli. M. Vignoli en a néanmoins envoyé une caisse ; mais à l’adresse du cardinal Gualterio, ci-devant nonce en cette cour, qui n’était plus en France lorsqu’elle fut apportée à Marseille par mer. Je crois qu’elle y est encore en attendant l’ordre de ce cardinal. Je ne doute pas qu’il y en eut un exemplaire pour M. Foucault dans cette caisse, en considération de la médaille d’Antonin Pie, FELICITAS AVGVSTI, avec le type de la colonne historiale de cet empereur, dont je lui ai envoyé le dessin de la part de M. Foucault, et qui doit avoir beaucoup servi à illustrer son ouvrage » [observations sur les médailles romaines publiées par Charles Patin ; sur la médaille portant Trimalcio publiée par Bourdelot] « J’ai achevé, ces derniers jours, de débrouiller l’histoire des rois de Cappdoce, pour tâcher de l’illustrer par huit têtes différentes de ces rois, que M. Foucault possède sur des médailles de son cabinet. Elle m’a donné beaucoup de peine à coudre ensemble tous les lambeaux qu’on en trouve dans les anciens auteurs, et surtout dans un si grand nombre de rois du même nom, à attribuer à chacun ce qui lui appartenait. Je la laisse reposer, pour la reprendre et la revoir, avec tout le soin et toute l’exactitude qu’elle demande (nb : mémoire jamais retrouvé). Comme j’ai écrit cete lettre à plusieurs reprises, j’ai eu le temps d’être informé sur l’explication que feu M. Vaillant a donnée aux lettres CONOB […] » (Abdel Halim, p. 542-545, n° CCXLIX).  
-Lettre du 14 oct. 1707 (de Paris) : [réponse aux observations de Cuper sur la médaille de Cléopâtre] « Depuis trois ans que M. Foucault a changé de maison, je n’ai fait autre chose que ranger sa bibliothèque, qui n’est pas encore dans l’ordre où elle devrait être. Je ne sais combien d’autres mois je serai obligé d’employer à remettre en ordre dix ou douze mille des médailles du cabinet, qui ont été dérangées et mises en confusion, dans le déménagement. M. Fontanini m’avait demandé un dessin de la médaille d’Antonin Pie, du cabinet de M. Foucault, qui a FELICITAS AVGVSTI, avec la colonne impériale de cet empereur, pour la communiquer à Mr. Vignoli […] » ; « L’explication du CONOB par M. Vaillant a été fort agitée dans l’Académie royale des inscriptions […] Vos observations sur S.C. et EX. S.C. me font connaître que je ne me suis pas expliqué assez nettement pour vous faire comprendre l’état de la question […] J’attendrai la nouvelle édition des ouvrages numismatiques du P. Hardouin, et ce qu’il doit y joindre de nouveau, avec une patience d’autant plus grande, que j’en connais aussi peu d’estime que j’en ai pour tout ce qu’il nous a donné jusqu’à présent sur cette matière […] » [gravure, envoyée par Adrien Reland, d’une médaille curieuse, ‘arabe’ d’un côté, latine de l’autre, avec cette inscription : VICTORIA CONSTANTINI ; explication de cette médaille ; autre découverte d’une médaille encore inédite de Dioclétien] « En arrangeant l’autre jour les médailles des villes grecques, j’ai remarqué un éléphant sur une médaille de Tarente […] » [suit la copie du discours de Galland intitulé : Discours sur la différente signification de S.C. sur les médailles de bronze, et d’EX. S.C. et S.C. sur les médailles d’or et d’argent, en cinq pages in4°, lu dans l’Académie des inscriptions et des médailles les 15 de février 1707] (Abdel Halim, p. 546-547, n° CCLI).  +
-Lettre du 6 janv. 1708 (de Paris) : « Le désir que vous me témoignez par votre lettre du 26 novmebre dernier, de voir mon discours sur l’explication de la médaille de Bérénice, sous le nom de Cléopâtre, m’a fait résoudre à vous en faire une copie, de même que de la défense que j’ai été obligé d’en écrire, et vous trouverez les deux copies dans ce paquet » [éclaircissements nécessaires à ce discours ; nouvelles remarques touchant les letres S.C. e EX. S.C.] « Le Père Hardouin ne peut pas se désaccoutumer de fatiguer le public par ses paradoxes. Ses supérieurs, qui lui ont fait défense de rien faire imprimer sans leur avis, et sans leur permission, lui en ont fait une grande réprimande. Il y a quelques années qu’un Jésuite, qui est mort depuis deux ans, m’a dit qu’il avait été l’examinateur d’un ouvrage de ce Père, dont il avait retranché plusieurs endroits, au mépris de la permission du provincial qui lui avait été donnée sous cette condition […]. Je vous envoie la médaille arabe et latine gravée […] Vous avez aussi dans ce paquet une copie de la médaille de Tarente […] » [annonce de la mort de Mabillon ; suit une copie du discours de Galland intitulé : Discours sur une médaille grecque du cabinet de M. Foucault, d’une Clopâtre, reine, femme de l’empereur Titus, en huit pages in-4°, lu à l’Académie le 5 mai 1707, accompagné d’une Défense de l’explication de la médaille de Bérénice, représentée sous la figure et sous le nom de Cléopâtre reine d’Egypte, en six pages in-4°, lue le 10 mai de la même année] (Abdel Halim, p. 548-550, n° CCLIII).  +
-Lettre du 19 mars 1708 (de Paris) : « Pour suivre ma méthode ordinaire de répondre à vos lettres article par article, je commence comme vous par celui de Bérénice […] » (Abdel Halim, p. 552-553, n° CCLV).  +
-Lettre du 7 mai 1708 (de Paris) : « Je commence, sans préambule, ma réponse à votre lettre du 4 d’avril, c’est-à-dire de vos doctes et savantes observations, sur mon discours ou dissertation touchant les différentes significations de S.C. et d’EX. S.C. sur les médailles antiques […] « Je crois, Monsieur, que la personne et le mérite de M. l’Abbé Bignon, conseiller d’Etat, l’un des académiciens honoraires de l’Académie royale des inscriptions et des médailles, qui, après le roi, peut en être regardé comme l’instituteur avec M. de Pontchartrain, secrétaire d’Etat, son parent, et qui tantôt come président, tantôt comme vice-président, se fait un très grand plaisir de présider à ses assemblées, vous sont connus. Comme de son côté il est bien convaincu de vos rares qualités, de même que de votre amour pour les belles-lettres, et de votre prééminence dans la profession que vous en faites, hors de vos occupations plus sérieuses, non pas tant par les endroits les plus curieux des lettres que vous me faites l’honneur de m’écrire, dont je fais lecture dans nos assemblées, que par le consentement uniforme, et général, de tous les savants d’aujourd’hui il y a quelque temps qu’il me fit l’honneur de me marquer le grand désir qu’il a d’avoir un commerce de lettres avec vous, en me chargeant de vous en écrire, et de vous demander si cela ne vous ferait pas de peine. Son dessein est simplement d’apprendre de vous les nouveautés qu’il y aurait dans vos quartiers… […] Au reste, comme rien ne s’imprime à Paris, qui ne passe auparavant par les mains de M. L’Abbé Bignon, sur qui Monseignr. le chancelier, son allié de fort près, se repose pour cette fonction avant d’accorder les privilèges, il est bien en état de vous rendre la pareille » (Abdel Halim, p. 555-556, n° CCLVIII).  +
-Lettre du 8 juin 1708 (de Paris) : « J’ai à faire réponse à vos deux dernières lettres. Ce n’est pas pour y satisfaire que j’ai l’honneur de vous écrire aujourd’hui. Je le fais pour vous marquer que M. Foucault m’oblige de me séparer de lui. Il a perdu le goût des médailles antiques, jusque là qu’il est résolu de vendre son cabinet. Il m’a même chargé de vous le mander, et comme vous avez des habitudes en Allemagne, de vous prier de voir si quelque prince serait curieux de s’en accommoder, ou du tout, ou d’une partie. Ainsi, cela peut vous faire connaître la raison qui m’oblige de le quitter, ce que je dois faire la semaine prochaine, et que l’embarras du déménagement m’empêchera que je ne satisfasse à vos deux lettres de quelque temps. Comme ma séparation d’avec M. Foucault fera que je n’aurai pas beaucoup de relation avec lui, et qu’en vous marquant, par ma dernière lettre, le désir que M. l’Abbé Bignon avait d’entretenir un commerce de lettres avec vous par rapport à la littérature, je vous marquai aussi, au cas que vous voulussiez lui faire l’honneur de lui écrire sur ce sujet, que vous pouviez faire sous l’adresse de M. Foucault, et mettre la lettre dans le paquet qui serait pour moi, j’ai l’honneur de vous prier aujourd’hui, au cas que ce commerce vous convienne, d’adresser votre lettre à droiture, à M. l’Abbé Bignon, conseiller d’Etat, et de l’envoyer à Amsterdam sous l’adresse de M. Jean-Louis de Lorme, libraire d’Amsterdam, qui est son correspondant général dans ces quartiers-là et qui la lui fera tenir ». « En partant, il (Passionei) a eu le soin et la bonté de me faire remettre entre les mains, un exemplaire de l’ouvrage de M. Vignoli touchant la colone d’Antonin Pie, que M. Vignoli lui a fait tenir pour moi, dont je dois lui faire mon remerciement, non seulement par rapport au présent qu’il ma fait, mais même par rapport à la mention honorable qu’il y fait de moi au sujet des dessins de deux médailles du cabinet de M. Foucault que je lui avais envoyés et dont il a fait un bon usage dans cet ouvrage […] Si vous recevez quelque nouvelle d’Allemagne touchant le cabinet de M. Foucault, je vous prie de m’en faire part sous l’adresse de M. l’Abbé Bignon, afin que jen rende compte à M. Foucault. Je dois me retirer de chez lui la semaine prochaine, et vivre en mon particulier. Je ne puis néanmoins le faire entièrement à mes dépens, tanta est fortuna mea exiquitas, à l’âge de plus de soixante deux ans. J’espère néanmoins que celui qui a soin de ses créatures ne m’abandonnera pas » (Abdel Halim, p. 558-560, n° CCLXI).  
-Lettre du 22 juin 1708 (de Paris) : « Je laisse Bérénice et Cléopâtre en repos à votre exemple […]. Je suis fâché, Monsieur, que mon commentaire, ou plutôt ma dissertation, sur le tombau d’Aurélius Epaphroditus soit de 300 pages, et le temps qu’il faudrait mettre à le copier m’épouvante. J’en ai déjà fait lecture de 90 pages dans une séance de l’Académie […] Touchant l’honneur que M. de Malborough vous a fait, en passant par Déventer, j’ai trouvé avec M. Foucault que votre mérite est encore au-dessus, et qu’il n’y a pas de prince qui ne se fit un plaisir d’avoir la même considération pour vous » ; « Dans la situation où je me trouve aujourd’hui à l’égard de M. Foucault, par une inconstance de sa part à laquelle bien des hommes sont sujets, comme vous l’aurez appris par ma lettre du 8 de ce mois, je suis ravi de l’honneur que vous avez fait à M. l’Abbé Bignon de lui écrire à droiture, plutôt que sous l’adresse de M. Foucault, et qu’en cela vous n’ayez pas suivi ce que j’avais eu l’honneur de vous en écrire par ma lettre du 7 de mai, et je vous supplie de continuer dorénavant de m’honorer de vos lettres par la même voie. Vous serez surpris sans doute, du changement de M. Foucault à mon égard, de même qu’on en est surpris à Paris. J’y perds à la vérité l’usage d’un cabinet de médailles antiques, des mieux fournis qu’il y ait en Europe, à quoi mes soins n’ont pas peu contribué, et une bibliothèque fort ample. En récompense, j’y gagne un bien inestimable, je veux dire l’indépendance, et la liberté d’être tout à moi, et d’employer tout mon temps selon moninclination, qui va me redonner la vie » ; « Ma lettre sur vos doutes, touchant S.C. et EX. S.C., ne mérite en rien tous les éloges que vous lui donnez. C’est moi qui vous suis infiniment obligé de l’occasion que vous m’avez fait naître, de me confirmer moi-même sur un point de l’histoire romaine » [autres considérations sur ces lettres ; réponses aux « difficultés » proposées par Cuper au sujet des médailles du cabinet du roi ; sur une médaille de Vespasien et un médaillon de Navius frappé sous Antonin Pie ; anachronismes dans les sujets représentés sur certaines médailles antiques] ; « je vous annonce que la première fois que j’aurai l’honneur de vous écrire, j’ai à vous envoyer la copie d’un petit discours, dont j’ai fait lecture dans notre Académie, le 22 de mai, sous ce titre : Découverte d’une médaille des Mytiléniens, qui représente d’un côté la tête de Théophraste consacré, et de l’autre, celle d’une déesse inconnue jusqu’à présent » ; « J’espère que vous m’honorerez pas moins de votre amitié, et de vos lettres, présentement que je suis dans l’indépendance, et que je jouis de la liberté, que lorsque j’appartenais à M. Foucault » (Abdel Halim, p. 560-563, n° CCLXII).  
-Lettre du 7 sept. 1708 (de Paris) : « Pour répondre à votre lettre du 24 juillet, et à son post scriptum du 1 août, que j’ai reçue par l’entremise de M. l’Abbé Bignon, j’ai l’honneur de vous marquer que j’étais bien persuadé que le changement de M. Foucault, et sa résolution de se priver de son cabinet de médailles, vous paraîtraient aussi étranges qu’ils vous l’auront paru. En effet, quelque amour qu’il ait montré pour ces antiquités, le dégoût qu’il en a fait voir si publiquement, ne fait connaître que trop que cet amour ne partait pas d’un véritbale goût ni d’une inclination sincère. Je ne lui ai pas communiqué moi-même ce que vous m’avez écrit sur ce que j’avais eu l’honneur de vous mander de sa part. Comme il était à sa maison de campagne, je lui en ai fait un extrait, avec l’article de la lettre de M. Le Clerc, et le lui ai envoyé. La manière dont il en a usé avec moi, le jour que je me suis séparé d’avec lui, sans que je lui en eusse donné le moindre sujet, ne m’a fait connaître que trop que ma vue ne lui était pas agréable, et c’est pour cela que je veux éviter de lui donner le déplaisir de me voir. Il y a néanmoins quelques jours que j’ai su qu’il se plaignait de ce que je n’allais pas le voir. Mais quand il serait possible que j’oubliasse ses traitements injustes, je n’ai pas de temps à perdre à des visites qui n’aboutiraient à rien. Je suis infiniment obligé aux bontés, et à la générosité de M. le Comte de Flodroff ; quoique je ne sois pas du nombre de ces hommes de lettres que rien n’est capable de tirer hors de Paris, j’avoue néanmoins que je suis de leur sentiment. En effet, je ne suis pas demeuré six mois à Paris, après mon arrivée de la province en 1661, que je m’imposai à moi-même la loi d’y demeurer, ou de voyager et d’y revenir. Et depuis ce temps-là, je me suis confirmé de plus en plus dans ce sentiment » [observations sur la médaille d’Antonin Pie portant la légende FELICITAS AVG., publiée par Vignoli dans son ouvrage précédemment cité ; remarques sur le tombeau d’Aurélius Epaphroditus qui donne à Galland la matière de plusieurs lettres à l’Académie des Inscriptions et médailles ; explication de diverses médailles proposées par Cuper ; critiques d’opinions du P. Hardouin au sujet de ces pièces] [remarques sur une médaille de Nerva] [à cette lettre sont rattachés un exemplaire de la Protestation du P. Hardouin et la copie du discours de Galland intitulé : Découverte d’une médaille antique des Mytiléniens, qui représente d’un côté la teste de Theophraste consacré, et de l’autre celle d’une déesse sous le nom d’Ircidamis, inconnue jusqu’à présent, en quatre pages in-4°, « lu dans l’Académie roiale des inscriptions et des médailles, le mardi 22 de may 1708] (Abdel Halim, p. 567-569, n° CCLXIV).  
-Lettre du 15 oct. 1708 (de Paris) : "Car, j’ai l’honneur de vous dire, in aurem, qu’il (Foucault) en a usé d’une manière si désobligeante à mon égard au moment de notre séparation, sans que je lui en ai donné sujet, que je suis bien résolu de ne plus le voir. Je sais qu’il se plaint de ce que je ne vais pas chez lui, et qu’il prétend que je dois avoir oublié ce qui s’est passé alors de sa part, de même, dit-il, qu’il l’a effacé de sa mémoire. N’est-ce pas là une belle morale, de faire injure, et de l’oublier, et de vouloir que celui qui l’a reçue l’oublie de son côté, sans aucune réparation ? Voici donc ce qu’il m’écrit : ‘M. de Leibnitz a raison de dire que ce n’est pas faire plaisir aux intendants des princes, de proposer à leurs maîtres d’acheter des cabinets considérables de médailles. Je ne me déferai du mien que lorsque j’en trouverai à peu près ce qu’il m’a coûté, n’étant pas bien pressé de le vendre. Et il faut que le prince qui sera dans le dessein de l’acheter envoie ici un homme intelligent en médailles, pour les examiner toutes. Ce sera pour lors que je lui en dirai le prix, ces sortes de marché se devant faire avec grande connaissance de cause. Ce que vous pouvez mander à M. Cuper’. Voilà, Monsieur, ce que contient le billet de M. Foucault. Il doit vous faire connaître qu’il n’a pas encore bien déterminé s’il doit le vendre, ou ne pas le vendre. Ce qu’on dit dans le monde de son dessein, et ce qu’on en dit encore, lui a fait naître apparemment quelque remords de l’avoir conçu, et de l’avoir publié. J’ai vu plusieurs médailles grecques des villes […] Il me semble que j’ai vu plus d’une médaille d’Antiochus Deus Epiphanus […] » ; Galland a fait « un voyage de quatrorze jours en Picardie, c’est-à-dire à Noyon, à vingt-trois lieues d’ici, où j’ai été élevé dès l’âge de six mois. Il y avait quarante et un an passés, que je n’y étais allé … Avant d’entreprendre ce petit voyage, j’ai fait, et mis au net, un discours pour être lu dans l’Académie royale des inscriptions et des médailles, sous le titre : Discours qui fait connoistre que la colonne représentée sur une médaille de moienne grandeur d’Antonin Pie, du cabinet de M. Foucault, n’est pas la même que celle qu’on voit sur d’autres du même empereur qui ont été frappées après sa mort avec la légende DIVO PIO« [nb : voir séance du 8 février 1709] (Abdel Halim, p. 570-573, n° CCLXVI).  
-Lettre du 19 nov. 1708 (de Paris) : « C’est pour moi un honneur tout singulier, et que je mets au-dessus de tout autre, de trouver à vous entretenir de choses qui méritent l’approbation d’une personne comme vous, dont le discernenemt et le bon goût sont si exquis dans la belle littérature, et de contribuer à vous délasser l’esprit au milieu de tant d’affaires sérieuses qui vous occupent » [sur la difficulté touchant la colonne d’Antonin] « Nous avons ici, et je l’ai en mon particulier, la Response de M. Delorne, libraire d’Amsterdam, à la Protestation du Père Hardouin contre l’édition des ouvrages de ce père qu’il prépare, quil a envoyée à Paris. Ce débat entre l’auteur et le libraire, donne la comédie à tous ceux qui connaissent le Père Hardouin. Si l’on imprime à Amsterdam l’ouvrage du feu cardinal Noris, contre l’Antirrethicus de ce Père, il suppléera au Bebaoticus, que M. Vaillant avait écrit pour sa défense, et qu’il ne publia pas à la considération d’un des principaux Pères de la Compagnie, qui l’avait prié de ne le pas faire […] » [sur la médaille des Mytiléniens représentant Théophraste ; sur les nouvelles médailles décrites dans la lettre de Cuper] (Abdel Halim, p. 576-578, n° CCLXIX).  +
-Lettre du 10 déc. 1708 (de Paris) : lettre toute entière consacrée à décrire Don Anselme Banduri, ses sentiments religieux, ses propositions de carrière ; rien de numismatique (Abdel Halim, p. 578-580, n° CCLXX).  +
-Lettre du 24 déc. 1708 (de Paris) : « Je n’ai pas communiqué moi-même à M. Foucault ce que vous m’avez fait l’honneur de me mander touchant ce que M. l’évêque de Salisbury vous a écrit au sujet du cabinet de ses médailles ; mais je lui en ai fait un extrait qu’il doit avoir reçu, sur lequel il ne m’a rien fait savoir. Il s’en remet apparemment à la réponse qu’il a déjà faite à M. Leibniz, que j’ai eu l’honneur de vous envoyer. A l’égard du catalogue dont parle M. l’évêque de Salisbury, M. Foucault en a un de ma façon, en six volumes, d’une exactitude qui n’a encore été observée par aucun antiquaire dans la description des médailles. Ce serait un ouvrage d’une très grande utilité s’il était imprimé : mais il n’y a pas de libraires à Paris qui voulut entreprendre de faire les frais de l’impression. Je puis dire en général, que le nombre de médailles approche fort près de dix-sept mille. Il n’y en a qu’environ cent cinquante en or, presque toutes rares. Il y a environ deux cents médaillons. La suite de grand bronze, de même que celle d’argent, impériale, est la plus nombreuse qui ait été vue. Celle de moyen bronze, y compris le petit bronze est de huit à neuf mille. Les médailles des villes grecques, non impériales, sont de treize à quatorze cents. Il y a aussi environ une cinquantaine de médaillons d’argent des empereurs romains, une suite de déités, et celle des médailles consulaires est de cinq à six cents. Il y a aussi neuf médailles samaritaines en bronze. Il me semble que cela peut suffire pour ceux qui peuvent avoir envie d’en faire l’acquisition. Je ne dois pas oublier une suite complète des rois de Syrie, celle des rois de Cappadoce en douze ou treize médailles d’argent, amassée par M. Vaillant, et qui est unique dans ce cabinet. Il faut y compter aussi des rois de Macédoine, d’Egypte, de Bithynie, de Sicile, etc. » [réponse aux difficultés de Cuper concernant les médailles d’Antonin Pie, celles de Commode et de Crispine, les figures représentées sur les médailles des Chalcédoniens, quelques légendes de médailles grecques mal interprétées par Vaillant ; à propos d’une erreur relevée dans les assertions de ce dernier, Galland remarque] « Je médite de faire part de cette observation à notre Académie, dès que j’aurai reçu réponse de M. Oudinet, à qui j’en ai écrit et que j’ai prié d’examiner cette médaille du cabinet du roi, et de vouloir bien me faire part de ce qu’il y aura remarqué touchant ce que je lui ai mandé pour lui servir d’éclaircissement. M. Vaillant, fils du défunt, docteur en médecine de la Faculté de Paris, et de l’Académie des médailles et des inscriptions, est mort depuis environ un mois, dans la fleur de son age. Aussi, voilà la curiosité et l’étude des médailles antiques, éteintes dans cette famille » ; « P.S. : Je vous supplie, Monsieur, quand vous aurez à me faire part de quelque médaille de vouloir bien prendre la peine de m’en marquer la grandeur […] » (Abdel Halim, p. 581-582, n° CCLXXI).  
-Lettre du 11 févr. 1709 (de Paris) : [extraordinaire passage sur l’hiver excessivement froid de cette année-là] [sur la colonne d’Antonin Pie représentée sur les médailles] « Je suis ravi de l’honneur que M. l’Abbé Passionei vous a fait de vous aller voir. Votre grand mérite l’a attiré jusqu’à vous, et je suis bien persuadé que vous avez été très contents l’un de l’autre » [sur les figures représentées sur les médailles des Chalcédoniens] « A propos de la Protestation du P. Hardouin, et de la Réponse de M. de Lorme, les supérieurs des maisons de Jésuites de cette ville ont publié à la fin du mois de décembre, une Déclaration par laquelle ils protestent de n’avoir, ni eux, ni leur Compagnie, aucune part aux rêveries, et aux propositions erronées, et très dangereuses de ce Père : vous verrez ce que c’est dans l’imprimé que j’ai l’honneur de vous envoyer. Vers le même temps, on a signifé aux libraires de cette ville, par un billet, aussi imprimé, une défense, sous peine de punition corporelle, de vendre et débiter les œuvres de ce Père imprimées à Amsterdam. Je sais que M. l’Abbé de Longuerue est fort appliqué aux difficultés sur la chronologie, qui se rencontrent dans les anciens auteurs. Je sais aussi que, de temps en temps, il compose quelque dissertation, qu’il ne fait pas imprimer, par une défiance de ses forces, et qu’il communique seulement à ses amis les plus particuliers. Mais je n’avais pas entendu dire qu’il en eût fait sur les Epoques des Syro-Macédoniens, contre le cardinal Noris. J’ai vu de lui une explication, écrite à la main, d’une inscription antique, qui est en Basse-Normandie, qui m’a fait connaître qu’il n’est pas irrépréhensible. Il ne va voir personne, mais il souffre qu’on aille le voir. Je l’ai vu autrefois, mais rarement ; et je ne cultive pas son amitié parce que je n’en ai pas le loisir. M. Vaillant était fort assidu à le consulter, et j’ai su par lui que cet abbé est fort entier dans ses sentiments, et qu’il n’en revient pas, quelque raison, et quelque autorité qu’on puisse lui apporter. Quelque habile que l’on soit cependant, on peut être redressé par de moins habiles » [observations sur la médaille représentant Théophraste, et celle frappée en l’honneur d’Homère] « M. Reland m’a fait part de ses mêmes occupations dont il vous a entretenu. Je lui ai envoyé de beaux dessins de médailles samaritaines du Cabinet du roi et d’autres » ; « Il est vrai, Monsieur, que ma patience à faire le Catalogue des suites de médailles du cabinet de M. Foucault, a été grande. Mais comme le travail était à mon goût, je puis vous assurer qu’au lieu de m’être à charge, il ne m’a pas moins diverti qu’instruit. Un autre, sans doute, y eut mis plus de temps ; mais mon assiduité a abrégé celui que j’y ai mis. Je puis dire que les descriptions de médailles sont plus exactes qu’aucunes qui aient été faites […] ; « M. de Valois fait graver la médaille grecque de Gordien Pie […] » ; « Le huitième de ce mois, j’eus occasion de faire lecture enfin du discours sur la médaille du cabinet de M. Foucault, qui représente la colonne cochlis d’Antonin Pie. L’Académie me fit la faveur de lui donner son approbation, et elle était d’autant plus nombreuse, que ce jour-là, elle procéda à remplir la place d’académicien honoraire, vacante par la mort du P. de la Chaize. Elle donna tous ses suffrages à M. Bignon, conseiller d’Etat, prévôt des marchands depuis quelques mois, auparavant intendant de la Picardie, frère ainé de M. l’Abbé Bignon. Le P. de la Chaize, Jésuite, après avoir été confesseur du roi, l’espace de 34 années, mourut le 20 de janvier. Notre Académie y perd un grand ornement. On ne peut pas aimer les médailles antiques plus qu’il les aimait, ni avoir une plus grande connaissance de tous les avantages qu’on en pouvait tirer pour la belle littérature. C’est par cet endroit qu’il y eut une amitié étroite entre lui et Jacop Spon, longtemps avant qu’il fut confesseur du roi » [sur les démélés entre le Père Passionei et Dom Anselme Banduri] [à cette lettre est rattaché un feuillet portant la mention manuscrite : « Déclaration du Père provincial des Jésuites et des supérieurs de leur Maison de Paris, qui devait probablement servir de couvert à l’exemplaire de cette Déclaration envoyée à Cuper par son correspondant] (Abdel Halim, p. 586-590, n° CCLXXIII).  
-Lettre du 20 mai 1709 (de Paris) : [observations sur les statues que les anciens Grecs et Romains posaient sur un piédestal ou une colonne, à l’occasion de la colonne représentée sur les médailles d’Antonin Pie ; remarques à propos « d’une figure d’homme assis dans un char, au revers d’une médaille de Gordien Pie, publiée et gravée dans le voyage de M. Wheeler » ; sur les médailles samaritaines et l’origine des caractères qui y sont gravés ; réponse aux difficultés proposées sur la médaille portant N. d’un côté et V. de l’autre et sur celle de Tranquiline étudiée par Speringius] « Si lon en veut croire bien des gens, le P. Hardouin, sans avoir égard à sa soumission, et à sa signature à la Déclaration de ses supérieurs sur ses ouvrages imprimés à Amsterdam, est toujours dans les mêmes sentiments qu’auparavant. Je n’ai pas de peine à en faire le même jugement : il est bien rare qu’un visionnaire revienne de ses visions » [sur la médaille de Smyrne frappée en l’honneur d’Homère ; défense des théories de Reland concernant les médailles samaritaines] « Dom Montfaucon, Monsieur, a appris avec beaucoup de joie, l’estime que vous avez fait de sa Paleographie grecque, dès sa première inspection. Il en est d’autant plus satisfait, qu’il n’y a que des personnes d’une grande capacité, et d’une profonde érudition, comme vous, qui sachent mettre le prix aux bonnes choses. Il vous fait bien son compliment » ; « Depuis trois ou quatre mois, le cabinet du roi a été enrichi de trente à quarante médaillons grecs, dont la plupart sont de la ville de Tarse, parmi lesquels il y en a deux de Balbin, et d’un nombre très considérable d’autres médailles grecques de toutes les grandeurs. On est redevable de si belles acquisitions à M. Paul Lucas, qui avait été en Levant exprès » ; « J’ai fait l’acquisition d’une médaille de grand bronze qui n’a pas encore été vue. Il y a d’un côté pour légende : CAESAR. IMP. AGRIPPA., avec les deux têtes d’Auguste et d’Agrippa […] »[évocation de sa possible nomination comme professeur royal en langue arabe] (Abdel Halim, p. 594-598, n° CCLXXVII).  
-Lettre du 12 juil. 1709 (de Paris) : [sur les instruments de musique représentés sur les médailles romaines ; sur la correction des découvertes numismatiques d’un passage de Pline concernant la ville de Nicée ; sur les médailles samaritaines et les caractères qui y sont représentés] « On n’entend plus parler du P. Hardouin, qui vous est si bien connu qu’on ne peut pas le représenter plus ressemblant, et avec des couleurs plus vives, que dans le portrait que vous en faites. Je ne sache pas qu’on ait encore vu ici le Paranesis du cardinal Noris contre lui. M. Henrion a communiqué à notre Académie ce que vous lui avez mandé touchant les matrices des médailles antiques que vous avez vues à Amsterdam, et l’Académie en a témoigné une grande satisfaction. En mon particulier, elles m’ont fait un plaisir singulier, en me faisant connaître une manière de moules différente de ceux qu’on a trouvé à Lyon, et à Bourges, qui sont de terre cuite » [Galland envoie des nouvelles de Montfaucon et de Banduri] « vous serez bien aise d’apprendre qu’après quatre mois d’attente, le roi m’a enfin nommé Professeur royal en langue arabe, sur le rapport du ministre et secrétaire d’Etat, qui a ce qui regarde les lettres dans son département, et qui est M. le comte de Pontchartrain, parent de M. l’Abbé Bignon. Après M. le comte de Pontchartrain, j’ai toute l’obligation de cette nomination aux soins de cet illustre abbé, qui a assaisonné ses bontés d’autres bienfaits, dont il serait ennuyeux de vous entretenir » (Abdel Halim, p. 601-603, n° CCLXXXI).  +
-Lettre du 26 juil. 1709 (de Paris) : « Deux jours avant celui de ma harangue, je reçus par la voie de M. l’Abbé Bignon, une lettre latine de 19 pages, de M. Vignoli, datée du 16 des calendes du mois de février dernier, par laquelle, en me faisant réponse à mon remerciement du 28 octobre de l’année dernière au sujet de son présent de la dissertation sur la colonne d’Antonin Pie, il s’inscrit en faux sur la médaille du même empereur, du cabinet de M. Foucault, sur la plainte que je lui avais faite, avec toute l’honnêteté possible, d’avoir corrompu le dessin que je lui en avais envoyé par M. Fontanini, et d’avoir prétendu qu’elle représentait, peut-être, a-t-il dit, la colonne qui faisait le sujet de sa dissertation. Je ne comprends pas comment il peut la condamner sans l’avoir vue. Le fondement de son jugement sur la fausseté, est la légende FELICITAS. AVG. qui demande pour type la figure de la Félicité, et non pas une colonne. Il est facile de détruire ce fondement. Ce qu’il y a, c’est qu’il a déjà fait imprimer, comme il y a plus de deux mois que M. de La Chausse l’a mandé à M. l’Abbé Bignon » [suit la copie mentionnée de la harangue, en seize pages in-8° d’une écriture extrêmement fine, sous le titre : ANTONII GALLANDI, Academiarum regiarum, Literarum humaniorum Cadomaene, et Inscriptionum ac numismatum socii, regis munificentia lectoris et professoris regii. ORATIO INAVGVRALIS. De linguae arabicae dignitate et utilitate] (Abdel Halim, p. 604-605, n° CCLXXXIV).  +
-Lettre du 29 août 1709 (de Paris) : « Je m’étais attendu à l’honnêteté et au compliment que vous me faîtes, sur la charge de professeur royal, dont le roi m’a honoré, par la bonté, l’amitié et la bienveillance, dont vous me donnez des témoignages depuis si longtemps. Je ressens très vivement l’honneur de me voir membre d’un corps si célèbre de professeurs, et c’est du cœur que j’ai parlé, quand je m’en suis expliqué dans mon remerciement au roi. C’est à moi de marcher sur leurs pas et de faire tous les efforts, pour atteindre à quelque partie de la gloire qu’ils se sont acquise » ; « M. Simn, dont le mérite et la capacité ne doit pas vous être inconnu, vient de publier une Bibliothèque critique, en 2 vol. in-12°, dans laquelle, entre autre choses, il traite aussi des caractères samaritains, et hébreux. Mais, quelque habile qu’il soit en cette matière, il fait voir qu’il n’a ni manié, ni examiné, aucune des médailles que nous avons avec des caractères samaritains. Il ne fait que suivre ce qu’il en a lu dans plusieurs auteurs » ; « Ne craignez pas que la langue arabe, ni tout ce qui vient à sa suite, soit capable de me faire négliger les médailles. Je puis dire qu’il y a bientôt cinquante ans que je me suis partagé entre l’une et l’autre étude, et même des autres langues orientales, et que je continuerai le reste de mes jours à leur conserver la même égalité » (Abdel Halim, p. 609-611, n° CCLXXXVIII).  +
-Lettre du 7 oct. 1709 (de Paris) : « Comme il eut arriver qu’on vous envoie de Rome la lettre imprimée de M. Vignoli, De nummo Antonini Pii, etc., qu’il m’a adressée, et que la réponse que j’y ai faite, sur la même lettre, écrite de sa main, ne le sera pas, au moins de mon consentement, comme je lui ai mandé, je vous en envoie une copie ci-jointe, que je vous prie d’agréer telle qu’elle est. Elle est un peu gâtée, à force de l’avoir portée sur moi. Vous aurez la bonté d’avoir plutôt égard à ce qu’elle contient, qu’à sa malpropreté. J’espère que vous aurez pour agréable que je me sois épargné le temps de vous en faire une plus nette. Je ne puis rien vous dire touchant la médaille de Nerva, dont parle M. Masson dans la Vie qu’il a publiée de Pline le Jeune, que je n’ai pas vue, et qui peut-être n’a pas encore été apportée à Paris » [médailles d’Othon en bronze mal interprétées par Vaillant ; médailles de Hadrien marquant sa puissance tribunitienne ; autres médailles du même empereur portant les letres M.P.T. NOB. ; évocation de Bernard de Montfaucon ; anciennes monnaies des peuples de la Judée ; Galland a écrit une dissertation sur une médaille portant la légende HELENA N. F. : une copie est promise à son correspondant ; sur les médailles des villes grecques libres] « Les médaillons du cabinet de M. de Camps, Abbé de Signy, publiés en 1694 avec les explications de Vaillant, font sans doute partie de vos livres numismatiques. Il y a environ deux mois que je donne à cet Abbé deux matinées par semaine. Je lui ai fait le catalogue d’une suite de médailles impériales qui n’est que d’environ quatre cents médailles, dont le prix cependant ne laisse pas de monter à plus de deux mille livres, par la suite assez complète des têtes des empereurs et des impératrices et des médailles plus rares en ce métal. J’ai remis en ordre sa suite de grand bronze,très riche par les bonnes médailles dont elle est composée ; et j’ai ajouté au catalogue, que feu M. Morel en fit autrefois, celles qui n’étaient pas comprises. J’ai fait la même chose de la suite de ses médaillons ; et comme il a dessein de donner au public ceux qu’il a acquis depuis 1694, avec des explications auxquelles il m’a prié de travailler, pour faire une addition à celles de M. Vaillant, je revois celles de M. Vaillant qui me donnent beaucoup d’occupation, tant pour les corrections des fautes d’imprimerie et des incongruités du style, dont il ne me sera pas possible de les purger entièrement, à moins de les reprendre, ce que je n’entreprendrai pas. Je ne parle pas des fausses explications des légendes qu’il a mal lues ; ce sont des endroits que je pourrai redresser par des notes […] J’achève par la description d’un médaillon grec de Commode, qui entre dans l’addition de M. l’Abbé de Signy […] Nous fûmes ici dans l’inquiétude au commencement du mois de septembre, pour la santé de M. l’Abbé Bignon. Mais sa maladie ne fut ni dangereuse, ni d’une longue durée » ; « Dans cette intervalle, j’ai consulté le comte Mezzabarba chez M. l’Abbé de Signy, car ce livre est si rare, et si cher, que je suis contraint d’avoir recours à mes amis quand j’en ai besoin. J’ai donc consulté le comte Mezzabarba touchant la médaille d’Hadrien […]» (Abdel Halim, p. 612-615, n° CCXC).  
-Lettre du 6 déc. 1709 (de Paris) : « J’en choisis un seul article, qui est celui de la médaille arabe, dont M. de La Crosse vous a envoyé l’empreinte de Berlin pour lui en procurer l’explication, afin que vous ayez lieu de lui marquer votre diligence à lui faire ce plaisir » [explication du dessin représenté sur la médaille et de la légende arabe qu’elle porte, marquant qu’elle a été frappée sous « Al Malik al Alem, al Adil, Houssamoudin al Gazi ben Artak »] « Je joins à cette lettre la copie que je vous avais promise de mes observations sur la médaille HELENA N. F., avec deux dessins de la même médaille. M. Gros de Boze veut faire (graver) la médaille arabe, pour l’insérer dans les Registres de l’Académie avec mon explication »[suit seulement la copie des légendes de la médaille citée avec leur traduction en latin. La copie de la dissertation sur la médaille portant HELENA N. F., ne figure pas à la suite de cette lettre, mais est rattachée à celle du 30 nov. 1709] (Abdel Halim, p. 616-617, n° CCXCII).  +
-Lettre du 30 déc. 1709 (de Paris) : [critique de la dissertation de Vignoli ; médailles de bronze d’Othon frappées à Antioche et à Rome ; médailles d’Hadrien ; explication des lettres M.P.T. NOB sur les médailles de cet empereur ; lettres marquant les lieux où étaient frappées les médailles, à l’exergue de celles du Bas-Empire ; … ; médailles samaritaines ; médailles diverses de la collection de l’Abbé de Camps de Signy ; retards apportés à la publication projetée des pièces de cette collection, par suite des difficultés de gravures de médailles ; … autres considérations sur la dissertation de Vignoli concernant la médaille d’Antonin Pie ; observations sur quelques médailles orientales] « Permettez-moi de vous demander si vous avez quelque nouvelle de M. de Spanheim, et ce que vous pouvez savoir de l’impression du second tome de ses Dissertations numismatiques » [suit la copie de la dissertation de Galland intitulée Observations sur la médaille à une tête de femme avec la légende HELENA N.F., en quatre pages in-8°] (Abdel Halim, p. 617-619, n° CCXCIII).  +
-Lettre du 12 juillet 1710 (de Paris) : [sur la dissertation relative à la médaille d’Hélène et la lettre à Vignoli sur la médaille d’Antonin Pie ; les empreintes des médailles arabes semblent avoir été perdues avec l’original de la lettre ; mais Gros de Boze fait présent à Galland d’une monnaie frappée sous un souverain arsacide ; sur les différentes significations du mot nobilitas chez les Romains ; nouvelles considérations sur les caratcères samaritains] « Depuis que j’ai eu l’honneur de vous écrire, M. l’Abbé de Camps, à qui j’ai fait part de votre civilité, a fait acquisition des médaillons de M. Foucault, au nombre de deux cents quatre, qui font un grand accroissement à sa suite qui est présentement de près de cinq cents. M. L’Abbé de Camps est comme résolu d’en faire imprimer simplement le catalogue au premier jour, sans donner les gravures, pour inviter les curieux qui n’auront pas en vue de faire une suite de médaillons, et qui en auront qu’il n’aura pas, à s’en accommoder avec lui à un prix raisonnable (nb : ce catalogue ne fut pas publié) » [compte-rendu de diverses petites lectures acdémiques de Galland… sur un médaillon d’Antonin Pie, … sur un médaillon de Pompée] (Abdel Halim, p. 621-622, n° CCXCV).  +
-Lettre du 31 oct. 1710 (de Paris) : [sur les médailles sur lesquelles sont représentés des chiens ; sur diverses médailles représentant des divinités antiques ; Galland songe à entreprendre un ouvrage où seraient reproduites toutes les divinités des Anciens, dans les différents habits et poses que leurs prêtent les médailles ; médailles sur lesquelles se lit le mot GERMANVS ; médailles de villes grecques ; médailles sur lesquelles sont représentées des diadèmes ; observations sur l’usage du diadème chez les anciens] (Abdel Halim, p. 625-628, n° CCXCIX).  +
-Lettre du 10 avril 1711 (de Paris) : « Extrait d’une lettre écrite à Mr. Cuper par Mr. Galland, le 10 d’avril 1711. J’en suis à l’article des empreintes des médailles arabes, qui vous ont été envoyées de Berlin. Je vais les examiner dans l’ordre, que vous me les avez marquées. A. Cette empreinte est le revers d’une autre que j’ai déjà reçue, laquelle représentait la tête d’un ancien roi de Syrie, ou d’Egypte. Mais je m’étais trompé dans la lecture, et dans l’explication de la légende de ce revers. En voici une nouvelle lecture, et une nouvelle explication. Almalikoul – Alamiloul - Adilou Hougamind – dini Tamar – tasch, ou plutôt Timoutasch bin Ilgazi Artak ;c’est-à-dire : le roi du monde, le juste Hofanoud-din Timoutasch, fils d’Ilgazi, fils d’Artak. Au lieu de Timourtasch bin, j’avais lu, nafrum-nah-lillani, c’est-à-dire, la victoire des hommes est à Dieu. Mr. Reland m’a averti qu’il lisait Tamartasch, et il avait raison. Comme les lettres arabes n’ont pas leurs points diacritiques sur les médailles, il ne doit point paraître surprenant qu’on s’y trompe quelquefois. B. L’une des deux empreintes marquée par cette lettre, représente une têtede front sans barbe, mais avec des cheveux accompagnés d’ornements, que je n’ai pu bien distinguer, et les caractères arabes, si confus, et si peu apparents, que je n’ai pu les lire. Ils sont apparemment plus nets sur la médaille. … C. Je n’ai trouvé dans votre paquet que l’empreinte de cette médaille qui représente deux bulles de front, l’un plus grand que l’autre. Il y a trois mots non lisibles, mais les noms decesprinces doivent être au revers. D. L’empreinte qui représente le prince de front, et en buste, a une légende de quatre ou cinq mots, dont je ne dis rien pour la même raison, que ci-dessus… L’empreinte que vous comptez pour la cinquième, est ce me semble celle, qui représente trois têtes, deux l’une sur l’autre, d’un roi et d’une reine, et la troisième, une plus petite vis-à-vis. Ce qui me fait douter que cette médaille soit persienne, outre les têtes, qui ont un autre air, que les rois de Perse, ce sont les caractères qui ne sont point persiens. S’ils étaient persiens ils seraient semblables à ceux qui sont autour de la tête qui a été tirée del’agate gravée. Car il n’y a pas à douter que les caractères qui y sont gravés ne soient persiens, et que la tête ne soit d’un roi de Perse, de ceux qui ont régné entre Jésus-Christ et la naissance de Mahomet. Vous savez que dans l’Utilité desvoyages de Mr. Baudelot, il y a une gravure qui représente la tête d’un roi, à peu près semblable, non pas de front mais de côté, avec les caractères qui ne sont pas différents. J’ai aussi une agate trois fois plus grande que celle de votre empreinte, qui est toute pareille, à la réserve que la tête est aussi de côté et non pas de front ; c’est un présent qu’on m’a fait. J’oubliais de parler du revers de cette médaille à trois têtes, avec une espèce d’autre entre deux figures. Le revers est très curieux ; mais il n’y a pas lieu d’espérer qu’on déchiffre jamais les légendes qui sont de l’un et de l’autre côté. Je ne lis qu’une date sur l’empreinte, qui représente un prince assis à la manière du Levant avec le croissant, et cette date est l’an de l’Hégire 685, si je ne me trompe, qui est de J. Christ 1285 ; le nom de ce prince doit être dans l’empreinte du revers. » ; « Je vous envoie la gravure d’une médaille très rare du cabinet de M. Foucault » (Cuper 1743, XXIX, p. 98-100 ; Abdel Halim, p. 631-632, n° CCCIV).  
-Lettre du 29 juin 1711 (de Paris) : [Galland explique les médailles arabes dont les empreintes lui ont été envoyées ; Galland a fait un discours sur la médaille mentionnée d’Antoine et d’Octavie, il en donne un résumé à Cuper ; cosnidérations sur diverses médailles citées par Cuper] « Après la fin du mois prochain, je tâcherai de profiter du loisir que me donneront les vacances du Collège royal, pour vous faire une copie de l’explication de la médaille de Marc Antoine et d’Octavie. Vous y trouverez quelques observations numismatiques qui ne vous déplairont pas, comme je l’espère. D. Anselme Banduri vous fait bien ses compliments » (Abdel Halim, p. 633-635, n° CCCVI).  +
-Lettre du 14 août 1711 (de Paris) : « Je m’acquitte de la promesse que je vous fis par ma dernière lettre du 29 de juin, et je vous envoie une copie de mon explication de la médaille de Marc Antoine et d’Octavie que vous m’avez demandée » [suit la dissertation intitulée : Explication d’une médaille grecque de Marc Antoine et d’Octavie, la seconde sœur d’Auguste, qui se trouve au cabinet de M. Foucault, en seize pages in-8° d’une écriture serrée, lue à l’Académie le 20 mars 1711] (Abdel Halim, p. 635, n° CCCVII).  +
-Lettre du 8 sept. 1712 (de Paris) : « Je veux croire que mon explication de la médaille de Marc Antoine et d’Octavie n’est pas méprisable, puisque vous l’avez trouvée digne de votre approbation » [médailles de Corfou ; solution des diverses difficultés sur les médailles proposées par Cuper] « M. Oudinet, garde du Cabinet des médailles du roi, mourut dans le mois de janvier, et il appartenait à M. l’Abbé de Louvois, comme bibliothécaire, de proposer au roi un sujet pour remplir la place vacante. Je ne savais rien de cette mort, quand cet illustre Abbé me fit l’honneur de me faire appeler. Il me demanda qui je croyais dans l’Académie capable de succéder à M. Oudinet. Comme il est un des académiciens honoraires, je m’excusai de m’expliquer, en lui représentant qu’il était de l’Académie, et qu’il pouvait en juger mieux que moi. Comme il me pressa, je ne laissai pas de lui en nommer quelques-uns. Comme je me fus aperçu qu’il avait quelques vues sur moi, je lui marquai que j’avais rendu quelques services au cabinet du roi, dans le Levant, sous les ordres de feu M. de Louvois, son père, et que j’étais prêt à en rendre d’autres ; mais en second, et non pas en chef ; et je lui dis plusieurs raisons qu’il ne désapprouva pas ; entre autres, que je n’avais pas les forces nécessaires pour me charger d’un fardeau si pesant ; et d’ailleurs que j’étais peu propre pour me présenter chaque jour devant sa Majesté, à son lever, dans la foule de ses courtisans, outre que je regardais l’obligation de demeurer à Versailles comme une espèce d’esclavage. Je fus un de ceux que M. de Louvois proposa au roi, et ayant représenté à sa Majesté les raisons que j’avais apportées pour ne pas m’engager à me charger d’un si grand soin, Sa Majesté eut la bonté de dire obligeamment, que tout le monde ne pensait pas comme moi, et de m’accorder une pension de six cents livres, tant pour mes services passés que pour ceux que je pourrai rendre dans la suite. La personne que S. M. a agréée pour garde de son cabinet de médailles antiques et modernes, est M. Simon, de l’Académie des Inscriptions et des médailles, et M. Simon est un sujet très digne de ce poste » ; « Je ne perds pas de vue le Dictionnaire historique de numismatique. De temps en temps, j’y fais des additions. Puisque vous m’en parlez, il faut que M. Schott, antiquaire et bibliothécaire du roi de Prusse, ne vous ait pas envoyé une lettre adressée à M. de Leibniz, qu’il publia l’année passée, en 44 pages d’impression, in-4°, sous ce titre : Explication d’une médaille énigmatique d’Auguste, sur laquelle d’habiles antiquaires ont diversement prononcé. Cette médaille énigmatique d’Auguste est celle qui au revers une petite colonne sur une base, et cette légende sur la colonne : C. C. AVGVSTI, et à l’entour : L. CANINIVS GALLVS III VIR. Je suis l’un des antiquaires qui ont prononcé sur l’explication […] La lettre de M. Schott m’a obligé de défendre mon explication par une réponse, dont je fis une lecture académique. Dans la séance du 8 juillet, je fis une autre lecture à l’Académie sous ce titre : «Explication d’une médaille grecque de Néron, du Cabinet de M. Foucault, frappée à Nicée dans la Bithynie. Vous devez avoir appris qu’enfin l’ouvrage de Dom Anselme Banduri paraît en deux volumes in-folio depuis deux ou trois mois sous le titre d’Imperium Romanum. Par rapport à cet ouvrage, ce Père qui est infatigable, travaille présentement à un recueil de toutes les médailles impériales, grecques, latines ou romaines, colonies […] » ; « Une colique néphrytique très douloureuse, qui m’a mené presque jusqu’au tombeau, m’a obligé de garder le lit et la chambre depuis la fin du mois de mars, jusque bien avant dans le mois de juin » (Abdel Halim, p. 638-641, n° CCCX).  
-Lettre du 27 jan. 1713 (de Paris) : [médailles citées par Cuper dans sa lettre du 1er janvier ; médailles des colonies, publiées dans le Journal des Savants ; médailles en bronze d’Agrippine ; médailles des impératrices, frappées par décret du sénat] (Abdel Halim, p. 642-643, n° CCCXII).  +
-Lettre du 31 mars 1713 (de Paris) : [article du Dictionnaire historique et numismatique de Galland ; médaille consulaire incertaine ; médaille d’Auguste qui fait le sujet de la dispute entre Galland et Schott. Galland promet à son correspondant une copie de sa réfutation de l’antiquaire du roi de Prusse] « Je vous suis bien obligé du portrait que vous m’avez fait de votre personne. En échange, voici le mien : j’aurai 67 accomplis au 6e du mois prochain, et à cet âge je n’ai pas besoin de lunettes, non plus que vous. Je ne dirai pas comme vous que je marche en jeune homme. Un asthme de ventosité, que j’ai depuis presque ma jeunesse, m’oblige de ménager mes pas, malgré mes forces et mon courage. Je n’ai pas présentement occasion de monter à cheval, mais j’en supporterais la fatigue aussi facilement que je l’ai fait dans mes voyages. Pour ce qui est de l’habitude du corps, je suis d’une taille moyenne, ni gros, ni gras, ni aussi d’une maigreur à se faire remarquer. Je joins mes vœux aux vôtres sur la durée de notre bonne santé, jusqu’à ce qu’il plaise à Dieu d’en disposer selon sa volonté, et de mettre fin à l’amitié, et à la correspondance qui est entre vous et moi depuis tant d’années » [critique d’ouvrages de numismatique du Père Hardouin ; essai d’explication de la pierre gravée dont l’impression a été envoyée par Cuper] « M. L’Abbé de Camps travaille fortement à mettre en état la seconde édition de ses médaillons »… « Ces dernières années, M. Paul Lucas fut envoyé au Levant par M. le comte de Pontchartrain, avec ordre d’acheter des médailles pour le cabinet du roi, et en chemin faisant, de copier les inscriptions antiques qu’il rencontrerait, et surtout de prendre à Angora, ou Ancyre, une nouvelle copie de celle qui contient les actions d’Auguste, dont il y a longtemps que nous avons la première par les soins du célèbre Busbeck » (Abdel Halim, p. 645-648, n° CCCXIV).  +
-Lettre du 18 juin 1713 (de Paris) : « Je n’ai pas manqué de m’acquitter de votre compliment auprès de M. l’Abbé de Camps, qui m’a chargé de vous bien remercier de sa part de l’honneur que vous lui faites. Il acquiert très souvent de nouveaux médaillons […] » [Galland envoie à son correspondant sa réfutation de la dissertation de Schott relative à la médaille d’Auguste ; considérations sur cette médaille ; erreurs du Père Hardouin dans des descriptions de médailles ; médailles grecques frappées par les Nicéens ; observations sur les médailles envoyées par Cuper de Smyrne] [suit une copie, de la main de Cuper, de la disseration de Galland intitulée : Explication d’une médaille d’Auguste en argent, frappée par les soins de L. Caninius Gallus, l’un des triumvirs monétaires sous le règne de cet empereur, défendue contre l’explication de M. Schott, antiquaire de l’électeur de Brandebourg, en 47 pages in-8°, lue à l’Académie le 23 février et le 1er mars 1712] (Abdel Halim, p. 650-651, n° CCCXVII).  +
-Lettre du 4 déc. 1713 (de Paris) : « Je n’ai reçu votre lettre du 15 juillet dernier, avec la copie de mon explication de la médaille d’Auguste contre celle de M. Schott, que le 22 de novembre » [projet de publication des médaillons de l’Abbé de Camps ; dispute avec Schott sur la médaille d’Auguste portant la légende C.C. AVGVSTI ; médaille de Géta publiée par Morel ; comparaison de médailles de Trajan et d’Hadrien ; médailles étudiées par Galland dans son Selecta du cabinet de Foucault ; médailles publiées par Spon dans ses Dieux inconnus]« Cela se fit le jour de la première séance de l’Académie d’après la Saint Martin, laquelle fut publique. Il (M. Kuster) paya son entrée par une lecture en français, très française, au sujet de sa dipsute sur Aes grave, contre M. Perizonius, laquelle fut écoutée par toute l’assemblée qui était très nombreuse, et de gens habiles, et de distinction, avec tout l’applaudissement qu’il pouvait désirer » (Abdel Halim, p. 654-655, n° CCCXXI).  +
-Lettre du 20 févr. 1714 (de Paris) : « Touchant le Voyage de M. Paul Lucas, qui n’était pas encore arrivé à vos libraires de Hollande, je suis bien aise de vous avertir que M. Paul Lucas n’en a fourni que le Journal, bien sèchement. C’est un homme qui n’a aucune étude, et pas même de style en écrivant. C’est M. Baudelot qui a mis le Voyage d’Egypte dans l’état que vous pouvez l’avoir vu, et qu’il a orné du sien de la manière qui lui a plu. Et celui qui vient d’être mis au jour, est dû aux soins et au travail de M. Fromont, que je ne connais que de nom » ; « M. Vaillant, dans ses Médailles grecques, rapporte une médaille de Gordien […] » [médailles de Pacatianus ; sur le titre d’Auguste attribué aux empereurs romains ; médaille citée par Cuper, représentant un roi maure] « D. Anselme, que je n’ai vu depuis cinq ou six semaines, était enfin sur le point de commencer à faire imprimer le catalogue général des médaillons et médailles du bas empire depuis Trajan Dèce. Nous avons ici depuis six mois, et davantage, M. le chevalier Fontaine (Fountaine), d’Angleterre, qui a fait un grand achat de médailles, comme de celles de madame la comtesse de Véruë (Jeanne-Baptiste d’Albert de Luynes [1670-1736], qui les avait eues, en présent, du roi de Sicile d’aujourd’hui, de celles de feu M. le comte de Vaux, fils du fameux M. Fouquet, et d’autres. Il a accommodé M. l’Abbé de Camps des médaillons de Madame la comtesse de Véruë, qu’il n’avait pas. Tant ces médaillons, que plusieurs autres qui lui sont venus d’Italie et d’ailleurs, depuis un an, ont enrichi sa suite considérablement » (Abdel Halim, p. 657-660, n° CCCXXIV ; Callataÿ 2015, p. 315, II.23).  +
-Lettre du 7 juin 1714 (de Paris) : « J’avais déjà eu l’honneur de lui rendre mes devoirs chez lui plus d’une fois, après avoir eu d’abord l’avantage de manger avec lui chez M. l’Abbé de Camps » ; « Je souhaite que vous tiriez de l’utilité, et de la satisfaction, du commerce de lettres qui est entre vous et M. de Ballonfeaux. Je ne doute pas que cela n’arrive ; mais aussi je suis bien persuadé, que vous saurez bien vous tenir sur vos gardes contre les visions harduiniennes dont il ne paraît que trop qu’il est prévenu » [critique des explications de médailles écrites par Ballonfeaux ; légendes des médailles de Gallien publiées par Mezzabarba ; erreurs de ce numimate] (Abdel Halim, p. 661-662, n° CCCXXVI).  +
-Lettre du 26 juin 1714 (de Paris) : [considérations sur les médailles envoyées à Cuper par le prince de Ligne et Ballonfeaux] « M. le chevalier Fontaine est retourné en Angleterre, il y a environ un mois, avec intention de revenir dans peu de temps. Sa curiosité pour les médailles antiques ne s’étend presque pas plus loin que la connaissance de leur antiquité, de leur rareté, et de ce qu’elles peuvent valoir. L’érudition qui y est attachée ne le touche que très légèrement. Madame la comtesse de Verruë a été la favorite du roi de Sicile d’aujourd’hui. Comme le roi de Sicile, dans le temps qu’il était attaché à elle, eut remarqué qu’elle se faisait un amusement des médailles qu’il avait dans son cabinet, lequel en était bien fourni, il lui en fit présent. Elle les emporta avec elle en abandonnant la cour de Turin, pour venir faire sa retraite à Paris, où elle a continué de s’en divertir, jusqu’à ce qu’elle a trouvé occasion de les vendre avec compensement » ; « Au lieu du contenu des chapitres de vos Trois Gordines et de vos Elephants, je souhaiterais que vous donnassiez, sans remise, vos Eléphants mêmes, avec les savantes dissertations dont vous me parlez. Cela ferait beaucoup de plaisir à tous les gens de lettres, qui sont persuadés de votre capacité » [médailles de Gordien Pie, frappée par la colonie d’Antioche ; médaille de grand bronze de Tibère, du cabinet de Foucault ; médaille de Julia Domna, du même cabinet ; à propos de cette médaille dont Cuper demandait un dessin, Galland ajoute] « Mais, outre que M. Foucault est à la campagne pour du temps comme je le crois, et que d’ailleurs il est ordinairement fort occupé quand il est à Paris, je vous avoue ma faiblesse, qui est que j’ai une grande répugnance à l’importuner pour quoi que ce soit, et je ne le vais voir, au plus, que deux ou trois fois par an, pour lui rendre mes respects, et il arrive quelquefois que je ne le rencontre pas » (Abdel Halim, p. 665-668, n° CCCXXVIII ; Callataÿ 2015, p. 315, II.25).  
-Lettre du 14 août 1714 (de Paris) : « Je n’ai eu que le temps de lui (nb : M. Drakenbourg de passage rapide à Paris) procurer la vue des médaillons et des médailles de M. l’Abbé de Camps. Mais il n’en vit que quelques tablettes en passant, tant il était pressé de reprendre le chemin de la patrie » ; « Vous devez présentement avoir eu nouvelle, non seulement du départ de Paris de Mr. Clermont ; mais même de son retour et de son arrivée à Amsterdam. Dans les entrevues et dans les entretiens que j’ai eu avec lui, je ne me suis pas aperçu qu’il eût fait une étude particulière des médailles antiques ; mais, j’ai remarqué qu’il en faisait une grande estime, et qu’il en regardait la connaissance et l’usage comme très utile. Ce que j’ai observé en lui, c’est un accès aisé, une honnêteté, une candeur, et une douceur capables de lui attirer l’amitié de tout le monde » ; « Vous aurez appris sans doute, par les nouvelles publiques, que M. le chancelier de Pontchartrain, oncle de M. l’Abbé Bignon, a remis sa dignité entre les mains du roi, et que le roi en a honoré M. Voisin, secrétaire d’état pour les affaires de la guerre. Ainsi, M. l’Abbé Bignon se trouve déchargé de la direction de la librairie. M. Voisin a choisi M. de Rochepot, son gendre, pour lui rendre le même service » (Abdel Halim, p. 671-672, n° CCCXXXI).  +
-Lettre du 18 sept. 1714 (de Paris) : [médailles de l’empereur Hadrien publiées par le Journal de Trévoux] « Nous allons perdre à Paris Dom Anselme Banduri. Il est rappelé par le grand duc de Toscane, pour aller remplir la place de bibliothécaire, vacante par le décès du célèbre Magliabecchi, au mois de juillet dernier. Maisen partant le mois prochain, il donnera ordre pour continuer l’impression de son ouvrage, ou Catalogue des médailles tant grecques que latines, depuis Trajan Dèce, jusqu’à la fin du Bas Empire. Il était si bien accoutumé au séjour de Paris, depuis environ douze ans qu’il y est arrivé, qu’il n’en part qu’avec regret. Mais il ne peut pas se dispenser d’accepter l’emploi honorable auquel il est appelé par son bienfaiteur » (Abdel Halim, p. 673, n° CCCXXXII).  +
-Lettre du 12 déc. 1714 (de Paris) : « Il y a plusieurs médailles des Arsacides, de différentes grandeurs, dans plusieurs cabinets » [inscriptions grecques et médailles citées par Cuper, paradoxes du Père Hardouin ; médailles du cabinet de Ballonfeaux et opinions erronées de ce collectionneur en fait de numismatique] « P.S. : Pour ne pas laisser un si grand vide, je vais employer au moins une partie du papier qui reste, à vous entretenir de deux médaillons, dont M. l’Abbé de Camps a fait acquisition nouvellement » [description des médaillons] (Abdel Halim, p.675-677, n° CCCXXXIV).  +
-Lettre du 13 jan. 1677 (de Paris) : « J’ai reçu votre livre et votre lettre imprimée qu vous avez accompagnée d’une réponse, Mr. Vaillant m’ayant rendu ce que vous aviez adressé pour moi à Mr Wheeler, et Mr Justel le dernier cahier avec les lettres que vous avez jointes à l’un et l’autre paquet… et pour vous témoigner de l’excès de joie avec lequel je reçois l’honneur de votre connaissance et de votre amitié que j’entretiendrai toujours avec beaucoup de soin puisqu’il ne me peut être que très glorieux et très avantageux d’être ami d’une personne de votre mérite, savante et pleine d’érudition comme vous êtes » » (Paris, BnF, Archives du Cabinet des Médailles, dossier de l’année 1677 ; Abdel Halim, p. 112-113, n° XXXIX).  +
-Lettre du 9 mars 1677 (de Paris) : « Je crois voir trouvé le moyen de faire des empreintes semblables à celles que vous m’aviez envoyées ; je vous en ferai part si j’y réussis. Il n’y a personne de tous ceux à qui je l’ai fait voir qui n’en trouve l’invention fort belle et curieuse. Il y a bien un an que je vis la même chose au cabinet du roi d’une empreinte d’un Pescennius Niger qui venait d’Allemagne, et Mr Vaillant qui en avait entendu parler croit que le secret vient de Mr de Spanheim. Il vous baise fort les mains et vous prie si vous avez ou si vous savez des médailles des rois de Syrie de les lui procurer, il est engagé à en faire l’histoire, je vous assure que suivant le projet qu’il m’en a montré, l’ouvrage sera très bien reçu ; et il fait une chose où tous les médaillistes ont manqué jusqu’à présent ; c’est qu’il ôte la confusion des noms semblables de tous ces rois, et distingue très bien les médailles des uns et des autres, par des marques qui n’ont pas encore été remarquées quoiqu’elles soient incontestables et qu’elles crèvent les yeux » (Collection Gourio de Refuge, f° 204-205, copie ; Abdel Halim, p. 116, n° XL).  +
-Lettre du 10 mai 1677 (de Paris) : considérations notamment numismatiques sur le livre de voyage de Spon. « Si Mr. Vaillant n’est pas de retour aujourd’hui il le sera indubitablement pour demain. Sitôt qu’il sera arrivé je lui remettrai votre livre entre les mains, afin d’en poursuivre le privilège que je ne doute pas que l’on accorde sans difficulté. Mr. Bizot (nb : Pierre Bizot, 1630-1696) ne m’a rien dit de vos Médailles que je lui ai fait voir. Mais quelque personne pourrait bien s’accomoder de ΠΗΓΗΣΟΥΝΙΑΣ si l’on savait ce que vous l’estimez. » (Paris, BnF, Cabinet des Médailles, dossier de l’année 1677, original ; Abdel Halim, p. 121, n° XLII = 2011/091/AMC01-11 – info Guy Meyer).  +
Lettre du 16 juin 1677 (de Paris) : « Puisque vous ne pouvez pas vous accomoder de la médaille d’or d’Elagabale, la même personne a une Plotine d’or double dont elle pourrait bien vous accomoder, et quoique l’estimant cinq pistoles elle voudrait avoir une pistole de retour, je me persuade pourtant que vous pourriez l’avoir troc pour troc. Je l’ai vue, elle est fort bien conditionnée. Je ne comprends pas comment Mr Gaillhard peut l’avoir eue ici pour 21 (livres) parce que tout le monde sait que c’est une médaille de quatre pistoles. Et s’il l’a eue de Mr Bizot, comme il y en a grande apparence, il faut que Mr Bizot se soit récompensé sur quelqu’autre chose, parce qu’il en avait donné une médaille de Commode de 4 pistoles à Mr Vaillant » (Paris, BnF, Archives du Cabinet des Médailles, dossier de l’année 1677, original ; Abdel Halim, p. 124-125, n° XLIII).  +
-Lettre non datée (juin ou juillet 1677) (de Paris) : « Je ne puis vous donner de réponse touchant la médaille de Commode que vendredi prochain auquel jour je vous la renverrai par la diligence avec l’Alcoran, ou l’argent que vous demandé » ; acquisition de livres numismatiques (Paris, BnF, Archives du Cabinet des Médailles, dossier de l’année 1677, original ; Abdel Halim, p. 127, n° XLIV).  +
-Lettre du 14 avril 1680 (de Smyrne) : « J’ai vu ici de beaux médaillons et de belles médailles grecques et le plus beau médaillon qu’il y ait est de Commode ayant au revers une figure nue qui tient un arc dans un chariot tiré par deux griffons avec ces mots . Je vous prie d’en faire part à Mr Vaillant si l’occasion se présente de lui écrire. Je lui ai écrit il n’y a pas dix jours, et je ne veux lui écrire que lorsque je pourrai lui envoyer la liste de ce qu’il y a quand j’en aurai fait l’acquisition que je ménage » (Paris, BnF, Archives du Cabinet des Médailles, 2011/091/ACM01-11-2, dossier de l’année 1680, original ; Abdel Halim, p. 145, n° LVII).  +
-Lettre du 25 juin 1705 (de Caen) : [réflexions sur les caractères puniques ; Galland est d’avis que ‘la langue punique n’était pas beaucoup différente de l’hébraïque’, mais qu’elle fut ‘altérée par le commerce des Carthaginois avec les nations étrangères’ ; sur les explications de médailles curieuses avancées par de Bary dans sa letre précédente ; Galland ayant requis lors de son dernier voyage à Paris plusieurs médailles semblables à celles proposées par de Bary dans sa lettre du 27 avril, il ne désire négocier que cinq pièces, dont il offre dx louis d’or] « Si cette somme vous agrée, il suffira d’un paquet pour envoyer ici les cinq médailles ; et dès que M. Foucault l’aura reçu, il ne manquera pas de faire compter l’argent à Rouen ou à Paris à la personne que vous marquerez » (Abdel Halim, p. 499, n° CCXV).  +
-Lettre du 20 juil. 1705 (de Caen) : « Le paquet que vous m’avez adressé du 13 de ce mois, fut rendu hier à Mr. Foucault, et le même jour il chargea le directeur des gabelles de cette ville, qui part ujourd’hui pour Rouen, de compter les 145 à Mrs Claude et Louis Gudde avec ordre de les tenir à la disposition de Mr François Sellier d’Amsterdam. Je ne doute pas que Mr. Sellier n’en reçoive nouvelle au premier jour, et ne vous marque qu’elles auront été escomptées. M. Foucault est assez content de l’achat. Il le serait davantage si la médaille OSSET état mieux conservée et que celle de CART. ne fut pas si petite. La grandeur des médailles les augmente beaucoup de prix. Il vous demande, en récompense, que si vous veniez à vous défaire de toutes vos autres médailles, que vous n’avez pas doubles, et qu’il n’a pas, vous veuillez bien lui donner la préséance » [discussion de la signification des abréviations que portent les médailles acquises par Foucault ; critiques de certaines explications de ces abréviations avancées par Rhenferd et le Père Hardouin]« Le Père Hardouin, qui n’hésite pas à donner l’explication de quelques abbréviations que ce soit, ou vraie ou fausse, est cause que je suis si difficile à prononcer sur celles qui paraissent un peu douteuses. Je ne trouverai nullement mauvais que vous soyez d’un autre sentiment que moi là-dessus. J’espère que vous aurez aussi la même complaisance à mon égard » (Bibliothèque royale de La Haye, Correspondance de Gisbert Cuper, ms. 72/G.2 [lettres de et à Jacob de Barry], f° 174-177 ; Abdel Halim, p. 505, n° CCXX).  +
-Lettre du 10 sept. 1705 (de Caen) : « Je devrais avoir fait réponse à votre lettre du 17 du mois passé, mais dans le temps qu’elle est arrivée, j’étais occupé à mettre au net le 7e tome des Contes arabes, qu’on m’a demandé de Paris avec empressement pour l’imprimer. Je suis enfin délivré de ce travail fatigant et ennuyeux, et j’ai le loisir de m’acquitter de mon devoir auprès de vous » [sur quelques médailles des colonies grecques du cabinet de de Bary ; explication d’abréviations numismatiques ; sur les médailles de la ville d’Utique] « Voilà, Monsieur, tout ce que j’avais à vous marquer sur votre dernière lettre. Je vous supplie de le prendre d’aussi bonne part que je suis prêt de prendre tout ce que vous voudrez bien me communiquer. Je cherche à m’instruire, et je ne suis pas si fortement attaché à mon sentiment, que je ne sois prêt de l’abandonner pour embrasser celui que je trouve plus raisonnable » (Abdel Halim, p. 513, n° CCXXVIII).  +
-Lettre du 7 juin 1699 (de Caen) : «Le R. P. Roudil, qui a joint comme vous le savez, l’amour et la connaissance des médailles antiques, aux sciences et à la belle érudition qu’il possède parfaitement, a depuis peu envoyé trois médailles à M. Foucault qui ont leur mérite, et qui embelissent son cabinet, quoi qu’elles ne soient pas fort considérables par leur valeur. / La première est un Tibère de moyen bronze, incus ; et la seconde un Aurélien, avec cette inscription remarquable autour de la tête : IMP. C. AVRELIANVS INVICTVS AVG. Revers RESTITVT ORBIS KAL. Je n’avais pas encore vu sur aucune médaille le mot invictus entier ; mais seulement en abrégé en cette manière, INV. La troisième médaille est du grand Constantin, petit bronze, de même que celle d’Aurélien. Revers : GLORIA EXERCITVS, avec le type ordinaire de deux soldats qui se regardent, chacun près d’un signe militaire, et une croix très nette, et très bien formée, entre les deux signes militaires. C’est la seule médaille de Constatin, que j’ai vue avec cette marque indubitable du christianisme. Je n’en trouve aucune citée, ni dans Occo, ni dans le Comte Mezzabarba, et je n’ai connaissance que de deux autres médailles du même empereur, qui se voient au cabinet du Roi, l’une avec la même légende au revers, dont je vous ai entendu parler, ou le monogramme du nom de N. S. paraît sur le labarum élevé entre les deux soldats. L’autre qui m’a été annoncée par M. Oudinet, et qui est d’or, avec la légende VICTORIA CONSTANTINI, représente le même monogramme en croix, à la droite du champ. J’y joins aussi celle du même cabinet du Roi qui représente Constantin voilé dans un char tendant la main vers une autre main qui sort d’un nuage, ce que l’on ne peut rapporter qu’à une apothéose chrétienne, suivant l’observation que le P. du Molinet en faisait autrefois. Avant ces découvertes, l’on n’a pu inférer par les médailles de Constantin le Jeune, n’étant encore que César, où la marque du christianisme paraît par le même monogramme du nom de N. S. qu’il pouvait y en avoir de semblables de Constantin le Grand son père, ayant été frappées dans le temps qu’il vivait encore : mais l’on ne peut plus douter présentement qu’il n’y en ait. En effet il n’était point croyable, qu’il n’y eût pas de monnaies du grand Constantin qui portaient des marques de la véritable religion qu’il avait embrassée, et protégée si hautement, en employant sa puissance pour détruire le paganisme. Cela me donne occasion de remarquer que je pourrais bien m’être trompé dans le catalogue des médailles de M. Foucault, en décrivant une autre médaille du même Constantin, qui a pour inscription au revers : MARTI CONSERVATORI, où il y a dans le champ du revers, à gauche de la figure, une petite croix carrée en cette forme +, que j’ai prise pour un x, prévenu / qu’il n’y avait pas de marques du christianisme sur les médailles de cet empereur. Au contraire, je crois aujourd’hui être bien fondé pour changer d’avis, et pour croire que cette croix, est véritablement marquée sur cette médaille, pour une croix, et non pour un x : et voici le motif qui m’y oblige. Quoique la légende soit païenne en apparence, néanmoins le type représenté sous une figure armée, étant celui de Constatin, et non celui de Mars, les monétaires qui sans doute étaient chrétiens, comme il est aisé de le juger par la petite croix, peuvent bien avoir eu l’intention de faire comprendre, qu’ils donnaient le nom de Mars à Constantin, de la même manière que les poètes et les panégyristes modernes le donnent à nos héros. Il est très vraisemblable qu’ils en ont ainsi usé, pendant que les autres monétaires qui étaient païens, et qui ne mettaient point une croix sur les médailles qu’ils faisaient frapper, entendaient la même légende à la lettre, de même que celles de IOVI. et, HERCULI CONSERVATORI, qui se trouvent aussi sur des médailles de Constantin. Ainsi voilà cinq médailles de Constantin que les antiquaires peuvent regarder comme les premières qui ont été frappées dans le christianisme, et dans le temps de la grande décadence du culte des faux dieux. Il y a lieu de croire qu’elles ne sont pas seules, et d’espérer que l’on en découvrira encore d’autres semblables. Je me fais un plaisir tout particulier de faire part de ces découvertes à une personne comme vous, qui en a fait, et qui en fait encore tous les jours de si considérables sur la même matière ; et j’espère que vous m’en saurez bon gré. Je suis … » (voir JS, 1699, pp. 322-324 : «Extrait d’une lettre de M. Galland à M. Vaillant, garde du cabinet des médailles antiques de M. le duc du Maine«).  
-Lettre du 10 août 1699 : sur trois monnaies romaines achetées par N.-J. Foucault (publiée dans le Journal des Savants, p. 367-369 ; Abdel Halim, p. 267, n° CIV).  +
-Lettre du (de Caen) : « Pour réponse aux demandes que vous avez faites par l’entremise du R. P. Labbe, j’ai l’honneur de vous marquer, à l’égard de la première, que M. Foucault n’a point de médailles de Trajan, frappées en Egypte […] Pour ce qui regarde la seconde demande, dans la médaille de Macrin qui vous fait de la difficulté, il n’y a pas au revers A.M.O. […] Lorsqu’il y aura quelque chose dans le cabinet de M. Foucault qui pourra vous faire plaisir, je supplie Votre Révérence de s’adresser à moi directement, et de croire que je lui rendrai très volontiers tout le service dont Elle aura besoin » (Correspondance de Caen ; Abdel Halim p. 344-345, n° CXLV).  +
-Lettre du 9 août 1703 (de Caen) : « Pour réponse à la lettre dont vous m’avez honoré, vous voudrez bien que je vous fasse souvenir qu’il y a 16 mois que l’Académie, par une délibération qui me fut mandée par M. l’Abbé Tallemant, me chargea de faire une espèce de Dictionnaire qui contienne tous les mots de dignités employés sur les médailles, et qui en fasse connaître les différentes significations dans les différents temps. Je n’aurai plus qu’à revoir et corriger cet ouvrage, si je n’avais jugé que l’Académie ne désapprouvera pas que j’y joigne les titres d’honneurs attribués aussi sur les médailles non seulement aux divinités, mais encore aux empereurs, aux impératrices et autres ; et je ne crois pas que ce second travail doive m’occuper encore plus de trois semaines. Ainsi, Monsieur, vous voyez que je dois avoir traité l’article des Néocores. Cela est vrai, et je l’ai fait d’une manière qui me fait espérer que l’Académie en sera contente, et qu’elle y trouvera la solution des difficultés qui ont donné lieu aux contestations dont vous me parliez. Mais cet article assez ample des néocores, non plus que les autres, n’a pas encore la forme que je me réserve à y donner, après que j’aurai mis fin à tous les articles de ce Dictionnaire qui ne seront que comme un ouvrage tracé pour le recevoir « ; « Pour venir à ce que vous me mandez de la part de Monsieur le Président de l’Academie, de vous envoyer le catalogue des médailles du Cabinet de M. Foucault, où il est fait mention des villes Néocores, et combien de fois ces villes ont eu ce titre, il ne me paraît pas que ce catalogue puisse beaucoup servir à terminer les contestations, puisque ces mêmes médailles se trouvent dans les villes grecques imperiales de M. Vaillant, et que je suppose que l’Académiel es a consultées. Peut-être que l’Académie trouverait mieux son compte à la lecture de l’article que j’ai fait sur ce sujet, Mais je vous avoue que j’aurais été bien aise de ne le revoir, et de ne le retoucher que dans son rang en revoyant tout l’ouvrage. Il me semble que je ne ferai rien de bien, si je m’écarte en la moindre chose de l’ordre que je me suis proposé. Néanmoins, au risque de ne me pas satisfaire, et de satisfaire encore moins l’Académie, je suis prêt de me soumettre à ce qu’il plaira à Monsieur le President de m’ordonner là-dessus. Je vous supplie donc, Monsieur, de me mander si Monsieur le Président juge à propos que j’abandonne toute chose pour revoir cet article des Néocores, et que je vous envoie une copie au net. Je me ferai un très grand plaisir de lui donner cette marque de mon obéissance, et je tâcherai de ne me pas faire trop attendre. Je suis avec un grand respect, Monsieur, votre très humble et très obéissant serviteur, signé Galland. Je n’eus pas le temps de vous envoyer cette lettre hier jour de la réception de la votre. Cela me donne lieu de vous faire cette remarque en abrégé, qui peut donner quelque éclaircissement sur les contestations de l’Académie touchant les villes Néocores. La ville d’Ephèse fut la premiere qui prit le titre de Neocore, mais de Neocore de Diane. Elle le prit sur une médaille de Néron, à l’occasion, comme il n’y a pas lieu d’en douter, de la sédition arrivée au sujet de St. Paul, comme il est marqué aux Actes des Apostres C.9. v. 35. Il est évident que le temps y convient. Cette prérogative de la ville d’Ephèse donna de la jalousie à quelques autres villes. Ces villes obtinrent d’être Neocores des / Empereurs, et la ville d’Ephèse obtint le même honneur après elles. A l’envi des unes des autres, elles l’obtinrent jusqu’à trois fois, et ne passèrent pas au-delà de ce nombre. Ephèse qui l’obtint autant de fois, eut l’avantage par dessus les autres de se dire quatre fois Neocores, en comptant sa première Neocorie par rapport à Diane. Cela est si constant qu’il n’y a que les Ephésiens qui se disent quatre fois Neocores sur leurs médailles. Les Smyrniens, les Pergaméniens, et les autres ne se disent Neocores que trois fois. J’explique cela au long par l’histoire des médailles de ces villes que je suis pas à pas sous chaque empereur. Prenez la peine de lire le passage des Actes des Apostres dans le grec, il m’a servi de base à l’article des Neocores; je parle du passage grec, car le latin ne m’aurait pas donné les mêmes lumières. Je ne doute pas que vous ne communiquiez ce petit memoire à Monsieur le President » (Registre-Journal de l’AIBL, année 1703, séance du 17 août ; transcription par Guy Meyer ; Abdel Halim, p. 460-461, n° CXCVI).  
-Lettre du 8 mai 1695 (de Paris) : sur une inscription latine « Premièrement, il n’y a pas lieu de s’étonner que l’on donne ici à Mercure, le titre d’Auguste, puisque les médailles nous représentent un Apollo Augustus, dans Antonin Pie et dans Sévère, et un Hercules Commodianus dans Commode » ; « Enfin, touchant la ressemblance à quelque empereur romain, que ce Mercure peut avoir, c’est à vous qui êtes sur les lieux, à en juger, puisque vous êtes si expérimenté dans la physionomie des empereurs, par la connaissance que vous avez de leurs médailles, et des bustes ou statues antiques que vous en avez vues » (lettre autrefois dans la collection de Troussures vendue en 1912 ; Abdel Halim, p. 189-190 et 196-197, n° LXXIII).  +
-Lettre du 2 juin 1700 (de Caen) : « Il y a déjà du temps que je connais M. de La Chausse par son Museaum Romanum qu’il a dédié à M. le Duc de Maine, dont nous avons ici un exemplaire. M. Foucault y joindrait volontiers ses Gemme antiche, s’il en venait à Paris » (Paris, BnF, Ms, Fonds Français 6138, Galland. Correspondance de Caen, p. 39-44; Abdel Halim, p. 295, n° CXXIII).  +
-Lettre du 11 juin 1700 (de Caen) : « J’ai bonne espérance des soins que vous voulez bien prendre pour l’enrichissement du cabinet de M. Foucault » ; « Ce M. Begger (Beger), antiquaire de l’Electeur de Brandebourg est, comme vous l’avez remarqué, un méchant auteur. Je m’en suis aperçu par d’autres de ses ouvrages. Néanmoins, on ne laisse pas de lui être obligé de plusieurs antiquités du cabinet du Palatinat qu’il a publiées et de celles du cabinet, dont il a aujourd’hui la garde, qu’il publie depuis longtemps » (Abdel Halim, p. 295, n° CXXVI).  +
-Lettre du 8 sept. 1698 (de Caen) : « J’avais déjà appris par deux endroits la riche acquisition que vous avez faite pour le Cabinet du Roi, et particulièrement par M. Vaillant, qui reconnaît qu’il faut corriger son livre à l’endroit où il parle de Tranquilline » ; discussion de certaines lectures des légendes des médailles de Tranquilline, sur lesquelles Oudinet semble avoir consulté Galland (BnF, Ms. Français 6137, Galland, Correspondance de Caen, p. 9-11 ; Abdel Halim p. 208-209, n° LXXXV).  +
-Lettre du 26 nov. 1698 (de Caen) : « Monsieur, Je n’ai pas connaissance qu’il y ait rien dans le cabinet de M. Foucault qui regarde les sujets que vous me mandez. S’il y avait quelque chose, le tout serait à votre service. Il me semble avoir vu à Paris ce dernier voyage, une gravure de l’agate du Cabinet du roi dont vous me parlez, accompagnée d’une dissertation nouvellement publiée. … Il y a de ces sortes de pièces antiques dont il est difficile de donner une explication juste, à cause de l’obscurité du sujet, traité de la manière qu’il a plu à l’ouvrier, qu’il serait nécessaire de faire revivre pour apprendre de lui-même ce qu’il a voulu représenter » remarques sur une monnaie de Tranquilline (Correspondance de Caen ; Abdel Halim p. 242, n° XCII).  +
-Lettre du 20 févr. 1699 (de Caen) : « M. Cuper a mandé à M. l’Abbé Nicaise qu’il possède une médaille de Tibère frappée sous le règne d’Auguste avec IMP. VNICVS » remarque sur cette médaille (Correspondance de Caen ; Abdel Halim, p. 251, n° XCIX).  +
-Lettre du 1 juillet 1700 (de Caen) : « J’avais vu M. le chevalier Maunier à Paris cet hiver. Il n’avait pas alors ses médailles, et il les avait pas encore dans le temps de notre départ. Je ne sais où elles étaient ; car il les avait fait voir dès l’année passée à M. Vaillant, qui m’en avait parlé. J’étais à Alep dans le temps qu’il était encore fort jeune, et je connais assez particulièrement son aîné qui fait les affaires de la Terre Sainte il y a longtemps. J’ai beaucoup de joie de ce que vous avez trouvé parmi ses médailles de quoi enrichir le cabinet du roi. M. Foucault vous est obligé de ce que vous avez réussi à le persuader de l’accommoder du reste, qu’il est résolu de tout prendre, pour peu qu’il y en ait qui puisse entrer dans son cabinet. C’est ce que nous avons appris par une lettre que M. Maunier m’a écrite lui-même, pour me mander qu’il vous en avait laissé une partie entre les mains, et qu’il devait consigner le reste à Paris à votre ordre. Je me persuade que vous les ferez tenir à M. l’Intendant par l’entremise de M. Dron. J’ai su par M. Vaillant qu’ily avait un beau médaillon d’or ΘΕΩΝ ΑΔΕΛΦΩΝ, d’une grande beauté ; je ne doute pas qu’il ne soit du choix que vous avez fait. Je vous supplie de vouloir bien me faire part d’une liste des autres médailles que vous avez choisies. L’Othon d’Egypte ΕΙΡΗΝΗ, que vous avez laissé enrichira notre moyen bronze. Je souhaite qu’il y ait beaucoup d’autres médailles de cette rareté afin de faire plaisir à M. Foucault qqui s’ennuie de ne point faire de nouvelles acquisitions. Néanmoins, depuis son retour, il a fait celle d’Auguste d’Egypte, moyen bronze, dont il vous a entretenu. / J’en fais d’autant plus d’estime, qu’elle sert merveilleusement bien à terminer la suite des médailles des médailles des rois d’Egypte. Le P. Roudil qui est ici, en a aussi apporté quelques-unes, entre autres une de Carus petit bronze, DIVO CARO PARTHICO, différente d’une qu’il avait déjà, par les lettres de l’exergue, qui sont SMS XXI, avec un A agrandi dans le champ. Ce qu’il a apporté de plus remarquable, c’est un Constantin aussi petit bronze, avec cette inscription : CONSTANTINVS MAX. P.F. AVG. COS. IIII, dont je vous envoie une empreinte en papier afin que vous en voyez mieux la représentation particulière et non commune, avec la veste consulaire, et l’aigle romaine à la main. Le revers est SOLI INVICTO COMITI, avec le type ordinaire du soleil ; T.F. dans le champ ; à droite, une étoile à gauche, et PLC à l’exergue. Le P. Hardouin, à qui cette médaille a été montrée en passant, en est dans une grande alarme, croyant que par là son Constantinus Maximus, différent du seul Constantin qu’il devrait reconnaître avec tout le monde, ne peut plus subsister. Vous savez si les autres Constantins de son invention peuvent subsister plus raisonnablement. Vous ne pourriez croire combien je suis satisfait du silence de nos antiquaires sur les visions de ce père. Il a cru les braver partant de nouveautés inouïes, et, sans qu’ils s’en soient mêlez, le voilà dignement mortifié et humilié. La découverte de cette médaille me fait plus de plaisir que / d’une autre de quelque prince dont l’on n’aurait jamais entendu prler. Je suis… de Caen, le 1 de juillet 1700 » (Ms. Français 6138, Galland. Correspondance de Caen, p. 82-85; Abdel Halim, p. 318, n°CXXXII).  
-Lettre du 25 juillet 1700 (de Caen) : « Vous n’avez pas voulu vous charger de nous envoyer les médailles de M. le Chevalier XXX ; vous avez mieux aimé qu’il les envoyât lui-même. Il m’a mandé que vous les lui avez remises, et qu’il les avait consignées à M. Dron, qui apparemment nous les fera tenir par le carosse de demain. Quelques médailles qu’il y ait qui puissent nous être propres, je ne me flatterai pas d’y en trouver une seule, aussi rare que j’ai trouvé parmi une trentaine qui nous ont été envoyées de Metz. Elle est moyen bronze de Iunia Donata femme de Postume, comme il paraît par la médaille publiée par M. Chiflet, et rapportée dans les additions de l’Occo, augmenté du comte Mezzabarba, IVNIA DONATA AVG. Sa tête ressemblante à celle qui se voit dans le Mezzabarba. Revers PIETAS AVG. Une femme dfebout devant un autel, étendant la main droite, et tenant l’acerra de la gauche. Cette médaille fera un grand plaisir à M. Foucault à son retour d’un voyage d’environ trois semaines qu’il est allé faire en Poitou depuis cinq jours. J’ai trouvé aussi parmi ces médailles une MATIDIA, revers CONCORDIA, que nous n’avions pas ; mais elle est extrêmement fruste. La Junia Donata n’est pas des mieux conservées ; néanmoins, ellle l’est assez pour bien tenir son rang dans notre moyen bronze. Elle est de la fabrique des Postumes cuivre jaune. Je suis etc. De Caen le 29 de Jullet 1700 » (BnF, Ms. Français 6138, Galland. Correspondance de Caen, p. 101; Abdel Halim, p. 337, n° CXLI).  +
-Lettre du 30 avr. 1701 (de Caen) : « En continuant de travailler au Selecta du cabinet de M. l’Intendant, je me trouve sur cette médaille (médaille de Caligula expliquée par Vaillant, remarque sur une pièce d’Agrippine et une autre de Marc Antoine et d’Octavie) M. le Chevalier Maunier nous a envoyés ses dernières médailles ; il y a quelques petites choses pour notre cabinet ; mais vous savez qu’il n’y a rien de considérable » (Paris, BnF, Archives du cabinet des médailles, dossier de l’année 1701 ; Abdel Halim, p. 397, n° CLXIII).  +
-Lettre du 30 sept. 1698 (de Caen) : p. 235 : « Je ne parle pas des Senniens qui n’étaient pas si connus, au moins les médailles des Familles romaines, recueillies par Fulvius Ursinus, n’en font pas mention » ; p. 236 : « Ce que je sais, c’est qu’elle subsistait encore sous l’empereur Constans, l’un des trois fils de Constantin, qui furent empereurs après lui ; et cela par une de ses médailles qui y fut amassée l’année passée en ma présence, dans un jardin labouré, voisin du moulin qui est là sur la petite rivière, par un paysan qui m’accompagnait, et je mis cette médaille dans le cabinet de M. Foucault où elle ne se trouvait pas » ; p. 237-8 : « C’est que je considère que les médailles romaines en or, en argent, et en cuivre que l’on trouve communément à Vieux, montrent que la ville des Viducassiens doit avoir été détruite dans le temps que les Romains en étaient encore les maîtres. Car, en supposant que cela fut arrivé quarante ou cinquante ans seulement après que les Romains en auraient été chassés, il me semble non seulement que l’on y devrait trouver de la monnaie du prince qui leur aurait succédé, mais encore, que les monnaies romaines y devraient être bien plus rares, ou même que l’on ne devrait en trouver aucune. En effet, l’on peut croire que ces monnaies n’ayant plus cours sous un nouveau prince, devraient avoir été fondues et changées en la monnaie courante, puisqu’elles ne pouvaient plus être d’usage à ceux qui en avaient » (Paris, BnF, Ms, Fonds Français 6138, Galland. Correspondance de Caen, p. 59-80; Abdel Halim, p. 237-238, n° LXXXVIII).  +
-Lettre non dattée (mais d’avant le 13 oct. 1701) (de Caen) : « J’espère que j’aurai l’honneur de vous offrir à Paris un petit ouvrage dont l’impression s’achève Sur les exlications de quelques médailles de Tétricus le Père et d’autres, que le R. P. Hardouin publia l’année dernière. J’y réfute en passant son opinion sur les six Constantins, qu’il a prétendu établir par des médailles dont il n’a pas compris la matière » (Paris, BnF, Man. Fonds français 15189, f° 82-85; Abdel Halim, p. 413, n° CLXX).  +
-Lettre du 25 février 1701 (de Caen) : récit de son emploi du temps en Orient de 1670 à 1688 :« Mais j’en eus fait à peine quelques cahiers, que je fus contraint de les abandonner, pour exécuter la commission que je reçus de Mr. de Louvois de chercher des médailles antiques et des manuscrits pour le cabinet et la bibliothèque du roi, à quoi je donnai mes soins trois ans entiers » ; « Mais, comme je suis entièrement sur les médailles, je ne sais quand j’aurai le temps de travailler à remplir ce hiatus, et de revoir tout l’ouvrage » ; « Depuis que je suis chargé du soin du cabinet des médailles de Mr. Foucault, j’ai fait des Catalogues très exacts de toutes les suites qu’il possède, et si on les imprimait tous ensemble il s’en formerait un ouvrage qui ne serait pas inférieur à celui du comte de Mezzabarba pour les médailles latines : premièrement à cause d’un très grand nombre qui s’y trouvent dont il n’a pas fait mention, et en second lieu parce que j’ai décrit toutes les autres sur les médailles mêmes, au lieu que le comte Mezzabarba en a publié une très grande quantité sur des listes que les curieux lui envoyaient de côté et d’autre, ce qui a contribué à beaucoup d’erreurs. Il n’en est pas garant à la vérité ; mais ceux qui se servent de son ouvrage n’ont pas moins sujet de s’en plaindre. A l’égard des médailles grecques, particulièrement de celles qui ont été frappées par les villes sous les empereurs romains, quoique Mr. Vaillant les ait publiées en partie, dans ses Villes grecques, néanmoins elles ont cela que mes descriptions étant un peu plus étendues, elles ont aussi plus d’exactitude, et je n’ai pas omis, comme Mr. Vaillant, les inscriptions des têtes qui m’ont paru être de quelqu’utilité, comme elles le sont en effet. Ces catalogues sont terminés de manière qu’il ne reste plus qu’à y insérer les médailles nouvelles que Mr. Foucault achète de temps en temps. Il y a environ cinq mois que j’ai commencé d’en faire un Selecta en latin, des plus rares avec leur exlication. J’ai commencé par Pompée, Jules César, Lépide, M. Antoine, Auguste et sa famille, et j’en suis présentement à Tibère. Ce que j’ai déjà de fait, n’étant ni trop court ni trop étendu, m’étudiant à dire simplement ce qui est nécessaire pour l’intelligence de chaque médaille, formera un volume. Je donne les matinées à cette occupation et le soir, pour me délasser, je travaille à une Bibliothèque volante française, qui comprendra une quantité prodigieuse de petits écrits et traités d’une, de deux, ou d’un plus grand nombre de feuilles imprimées, à commencer vers l’an 1550 jusqu’à 1642 environ » (Paris, BnF, Man. Fonds français 15189, f° 78-82 ; Abdel Halim, p. 354, n° CXLIX).  
-Lettre du 2 sept. 1698 (de Caen) : considérations sur les médailles de Tibère et d’Agrippa (Correspondance de Caen ; Abdel Halim p. 207, n° LXXXIII).  +
-Lettre du 11 sept. 1698 (de Caen) : « Mon Révérend Père, … / L’on ne peut pas dire, suivant mon sentiment, que la raison pourquoi nous voyons la déesse Vesta représentées au revers des médailles de Caligula, particulièrement dans les médailles de / moyen bronze, vienne de ce qu’il avait quelque dévotion particulière pour elle. Il ne paraît point par la vie de Caligula qu’il ait été fort religieux. Les menaces qu’il fit à Jupiter Capitolin, la liberté qu’il se donnait d’inviter la lune venir coucher avec lui, et de se placer entre Castor et Pollux dans leur temple, pour se faire adorer comm eux, sont de bons témoignages de libertinage et d’impiété. Peut-être que nous découvrirons plutôt ce que nous cherchons, en considérant que c’était le Sénat qui faisait frapper les médailles de bronze des empereurs et des impératrices, et que les sénateurs, ou les monétaires choisis pour en prendre le soin, y faisaient graver les revers ou les types qu’ils jugeaient à propos pour la gloire et pour la réputation du prince et de sa famille. Sur ce fondement, ne pouvons nous pas dire que Caligula au commencement de son règne avait donné uen marque si éclatante / envers Agrippine sa mère, en allant lui-même recueillir ses cendres dans l’île où elle était morte par la cruauté de Tibère, le sénat ne pouvait rien faire de plus glorieux pour sa réputation, et qui lui plût davantage, que de faire représenter sa mère, sous la figure de Vesta, au revers des médailles qu’il faisait frapper en son nom. Livie avait déjà été représentée sous le même type, quoique sans le nom de Vesta sur des médailles de Tibère frappées à Rome, et sur celles des colonies de Carthage et d’Utique, comme on le voit par le cbinet des médailles de M. Foucault. Le sénat a fait aussi représenter sous ce type les impératrices suivantes pour leur faire honneur, de même que sous les types de Junon, de Vénus, de Cérès et de la Pudeur sans trop examiner si quelques-unes d’entre elles le méritaient ou ne le méritaient pas. Ce qui peut encore servir à appuyer cette raison, et à faire connaître / que Vespa n’est point représentée sur les médailles de Caligula, pour remarquer qu’il était dévôt à cette dignité, c’est que ce type ne se trouve point sur les médailles en or et en argent frappées par son autorité. Quand il s’en trouverait, je ne crois pas pour cela que l’on dût en tirer un argument de sa piété envers Vespa ; mais plutôt de sa piété envers sa mère, qui me paraissait toujours représentée sous ce type. Si l’on objectait que Caligula n’a donc pas soutenu sa piété envers sa mère, en ne la fasant pas représentée sous la figure de Vesta sur les médailles frappées par son autorité, je ne croirais le défendre suffisamment à cet égard en vous faisant souvenir des médailles que nous avons de lui en or et en argent où l’on voit la tête de sa mère avec l’inscription honorable : AGRIPPINA C. CAES. &c. Puisque vous me rappelez à la médaille d’or du même Caligula, avec une victoire sur le globe terrestre au revers, pour me demander si ce n’est pas une / mrque de la victoire qu’il prétendait avoir remportée sur Neptune, lorsqu’il alla faire ramasser des coquilles à son armée sur le bord de la mer, comme des dépouilles de l’océan, et digne du Capitole et du palais impérial, suivant le texte de Suétone ; je remarque premièrement que le type de la victoire présentée en cette forme n’est pas nouveau, et que nous avons une médailles d’Auguste où elle est représentée en la même manière. Nous en avons de semblables d’autres empereurs, et même de ceux du Bas-Empire, et dans toutes ces médailles, il semble que la victoire sous cette figure marque la grandeur de la victoire remportée par l’empereur, dont le bruit était répandu par toute l’étendue de l’empire romain, exprimé par le globe terrestre en mille endroits des médailles antiques. Et vous savez que les Romains même avant les empereurs, prétendaient que leur empire était compris toto orbe terrarum, contre la vérité. En second lieu, savoir si la médaille / doit se rapporter à l’expédition de Caligula sur le rivage de la mer, pour vous en dire ma pensée, de la manière que Suétone parle de cette expédition, il me semble qu’il faut plutôt la regarder comme une plaisanteire dont Caligula voulut se divertir, que comme une action sérieuse dont il prétendit tirer de la gloire… Cependant Caligula avait fait une action, qui aurait pu servir de fondement à une médaille, dont le revers eu représenté par exemple une victoire avec une / proue de galère, ou une galère entière, quoi qu’indirectement Suétone nous apprend qu’il avait pénétré jusque sur l’océan par ce passage… Cela était suffisant à la vanité de Caligula, pour en éterniser la mémoire par une médaille à peu près semblable à celle que j’ai marquée. Je vous ai déjà exposé la raison pour quoi Sévère consacra Commode. Sévère n’avait pas la même raison de rendre cet honnuer à Tibère qui était trop éloigné de lui, non plus qu’aux autres empereurs ses prédécesseurs auxquels il n’avait pas été rendu. Mais, quoiqu’il ne paraisse pas que l’on ait consacré Tibère à Rome, néanmoins on lui fit cet honneur dans la Grèce comme on le voit par une médaille des Mytiléniens, qui se trouve dans le cabinet de Mr Foucault et que Mr Vaillant cite du cabinet de sr le duc de Maine dans son Recueil des médailles grecques, p. 7 où il est appelé ΤΙ. ΘΕΟΣ ΣΕΒΑΣΤΟΣ ; et Livie y est représentée / au revers avec ces mots ΙΟΥ ΘΕΑ ΣΕΒΑΣΤ. Ainsi vous voyez que Livie n’a point été consacrée sans son fils, au moins chez les Grecs. Je n’ai point vu de médaille de Caligula avec Jupiter ou Mercure au revers, et Occo ni le comte Mezzabarba n’en rapportent aucune, en quelque métal que ce soit. Au lieu d’avoir eu de la dévotion à quelques divinités préférablement à d’autres, il paraît plutôt avoir pris un grand soin de s’attirer la dévotion et le culte de ses sujets en se mettant entre Castor et Pollux pour être adoré, comme nous l’avons vu. Il ne paraît pas que Claude ait fait aucune action en Germanie… Ses médailles latines et grecques font foi de ce fait. Cependant, pour satisfaire à la demande que vous me faites là-dessus, il est constant que jusqu’à présent / (à compléter) (Paris, BnF, Ms Fonds Français 6137, Galland, Correspondance de Caen, p. 13-20 ; Abdel Halim p. 207, n° LXXXIV).  
-Lettre du 28 sept. 1698 (de Caen) : « S’il est vrai que l’inscription de la médaille grecque d’argent, soit telle que Mr Vaillant la rapporte » remarques sur les médailles d’Auguste frappées en Grèce, sur celles de Claude, de Galba, de Vitellius, de Vespasien, de Titus (Correspondance de Caen ; Abdel Halim p. 240, n° LXXXIX).  +
-Lettre du 4 nov. 1698 (de Caen) : « J’ai communiqué à M. Foucault le sentiment que vous proposez touchant le quatrième consulat de l’empereur Philippe, marqué sur les médailles d’Antioche frappées à son nom, contre l’autorité des Fastes consulaires, auxquels les médailles latines sont conformes, qui ne font mention que de trois consulats du même empereur. Mais il ne croit pas non plus que moi que ce quatrième consulat puisse passer à la faveur de votre explication » [dissertation sur ce sujet. Galland à l’aide de médailles inédites du cabinet de Foucault, réfute la thèse de son correspondant] (Correspondance de Caen ; Abdel Halim p. 240-241, n° XC).  +
-Lettre du 24 nov. 1698 (de Caen) : à nouveau sur le quatrième consulat de Philippe et réfutation par Galland, notamment à la lumière de Cassiodore (Paris, BnF, Ms, Fonds Français 6137, Galland. Correspondance de Caen, p. 93-104 ; Abdel Halim p. 241, n° XCI).  +
-Lettre du 25 déc. 1698 (de Caen) : « Voilà bien du temps et bien du travail perdu sur le quatrième consulat de l’empereur Philippe » quelques considérations sur les médailles apocryphes (Paris, BnF, Ms, Fonds Français 6137, Galland. Correspondance de Caen, p. 125-128; Abdel Halim p. 245, n° XCV).  +
-Lettre du 2 fév. 1699 (de Caen) : autres médailles nouvellement acquises par le Père de Grainville – réponses à quelques questions de ce correspondant au sujet des mdailles se trouvant dans le cabinet de Foucault ; « M. Vaillant m’a fait le plaisir de m’annoncer lui-même l’acquisition qu’il a faite du Carausius en argent, EXPECTATE VENI, avec la Félicité qui présente la main à Carausius, et de me mander qu’il en a fait présent à Monseigneur le Duc du Maine, pour étrennes. C’est une médaille d’une grande singularité. M. Cuper a mandé à M. l’Abbé Nicaise qui m’en donne avis de Dijon, qu’il possède une médaille en bronze de Tibère, frappée dans le temps qu’Auguste vivait encore, avec IMP. VNICVS. Cette inscription m’est suspecte, et je voudrais avoir vu la médaille pour en être bien convaincu. Ces messieurs les Allemands nous en donnent quelquefois à garder sur ces sortes de matières » » (Paris, BnF, Ms, Fonds Français 6137, Galland. Correspondance de Caen, p. 132-136 ; Abdel Halim, p. 247, n° XCVII).  +
-Lettre du 14 sept. 1699 (de Caen) : « M. Foucault a rapporté du petit voyage qu’il a fait en Poitou, quelques médailles qu’il n’avait pas, et particulièrement une de Germanicus représenté assis au revers tenant une patère avec cette inscription : CONDENSV SENAT. ET EQ. ORDIN. P.Q.R. » remarques sur cette médaille (Paris, BnF, Ms, Fonds Français 6137, Galland. Correspondance de Caen, p. 151-153 ; Abdelm Halim, p. 268, n° CV).  +
-Lettre du 3 oct. 1699 (de Rouen) : évocation de la pièce de Germanicus du cabinet Foucault (Paris, BnF, Ms, Fonds Français 6137, Galland. Correspondance de Caen, p. 161-170; Abdelm Halim, p. 270, n° CVII).  +
-Lettre du 10 oct. 1699 (de Rouen) : « Ce révérend père (nb : Roudil) informant M. Foucault de quelques médailles qu’un Père Augustin, nouvellement arrivé à Rome, a rapportées de son voyage, lui parle d’une grecque grand bronze » remarques sur les médailles de Tibère, exemples de médailles dont les légendes sont illisibles, histoire de Tibère et les médailles qui peuvent apporter quelque témoignage sur sa consécration (Paris, BnF, Ms, Fonds Français 6137, Galland. Correspondance de Caen, p. 171-178; Abdelm Halim, p. 271, n° CVIII).  +
-Lettre du 22 oct. 1699 (de Caen) : « Tout ce que nous avons dit jusqu’à présent, et tout ce que nous pourrions dire encore au sujet de la nouvelle médaille de Germanicus, étant fondé sur son antiquité, qui doit être bien constante avant toute chose, dont vous me paraissez douter par votre lettre du 13 de ce mois, la peine que nous avons prise serait vaine, inutile, s’il était vrai qu’elle eût été faite à plaisir dans ces derniers temps » (à compléter) preuves de l’authenticité de la médaille (Paris, BnF, Ms, Fonds Français 6137, Galland. Correspondance de Caen, p. 184-212; Abdelm Halim, p. 273-274, n° CXI).  +
-Lettre du 5 nov. 1699 (de Caen) : « Je vous aurais fait une description plus exacte de la nouvelle médaille de Germanicus, lorsque j’eus l’honneur de vous annoncer l’acquisition que M. Foucault en avait faite, si j’avais cru qu’elle dût être la cause d’une si longue dispute entre nous » longue dissertation où Galland reprend tous les arguments des lettres précédentes au sujet de l’histoire de Germanicus (Paris, BnF, Ms, Fonds Français 6137, Galland. Correspondance de Caen, p. 221-241; Abdelm Halim, p. 274-275, n° CXIII).  +
-Lettre du 4 mai 1700 (de Caen) : « Mon Révérend Père, J’ai été si peu en état de disposer de mes volontés pendant le séjour de plus de quatre mois que j’ai fait à Paris, où vous avez cru que j’aurais du loisir, et que je pourrais jouir de moi-même, que je vous suis encore redevable de la réponse à la lettre que vous me fissiez l’honneur de m’y écrire. J’ai assez de confiance en votre bonté, pour être persuadé que vous ne doutez pas de ma diligence, et que je n’aurais pas manqué de m’acquitter si j’avais été libre de mes actions. Vous me mandiez par cette lettre de vous rendre compte de ce que les habiles antiquaires de Paris auraient pensé de la nouvelle médaille de Germanicus. Je l’avais portée exprès / pour la faire voir, et je puis vous assurer que M. Vaillant et tous ceux qui l’ont vue, n’ont pas hésité un seul moment à la reconnaître pour très antique, et à la regarder comme très considérable, en ce qu’elle fonde témoignage pour confirmer les grands honneurs rendus au César après sa mort. Mais personne n’a eu la pensée que la situation où il est représenté au revers fusse une marque de sa conservation. Si cela était, il faudrait dire que Nero Drusus représenté à peu près de même dans ses médailles en bronze, ( ?) consacré puisqu’il tient une branche de laurier ou d’olivier de la main droite, de même qu’Auguste en celle qui lui fut frappée après sa mort, avec la même inscription sur celle de Germanicus. Pour ce qui est de la patère que celui-ci tient à la main, l’on croit que l’on doit la regarder comme une marque de la piété envers laPatrie, qui avait été le principal motif de ses actions, et que les ( ?) fait / précéder par des sacrifices, elle marque les libations qu’il avait faites à ce sujet, et il se fondait sur ce que la Piété est représentée ordinairement avec une patère à la main. Quant au temps que la médaille a été frappée, touchant quoi vous me faites encore instance, je ne sais pas bien pourquoi votre révérend, sachant qu’Auguste avait laissé la disposition des monnaies de cuivre au Sénat, ne veux pas que le Sénat uni avec les chevaliers, et tout le peuple romain, n’ait pas usé de son droit pour honorer davantage la mémoire d’un prince qui lui était si cher, particulièrement dans une occasion où il paraît par le texte de Tacite, que Tibère laissa aux Romains dans l’excès de leur douleur, la liberté de donner à ce prince, toutes les marques et toutes les démonstrations de reconnaissance qu’il leur a plu. Vous appelez toujours la jalousie de Tibère, mais je vous supplie de vouloir faire encore réflexion sur ce que j’ai eu l’honneur de vous représenter sur ce sujet » (Paris, BnF, Ms, Fonds Français 6138, Galland. Correspondance de Caen, p. 1-9 ; Abdel Halim p. 283-284, n° CXVII).  
-Lettre du 11 mai 1700 (de Caen) : dissertation sur une monnaie d’Auguste frappée à Alexandrie « M. l’Intendant aura bientôt ici le R. P. Roupil qui vient le voir. Il est en chemin avec M. l’évêque de Montauban, qui doit arriver à Paris le 15 de ce mois. Je me fais un grand plaisir par avance des entretiens que nous auronssur les médailles. Il mande à M. l’Intendant qu’il lui en apporte quelques-unes et qu’il en a trouvé d’autres sur sa route » (Paris, BnF, Ms, Fonds Français 6138, Galland. Correspondance de Caen, p. 12-16; Abdel Halim p. 284-285, n° CXVIII).  +
-Lettre du 29 mai 1700 (de Caen) : autour de la médaille d’Auguste, Remarque sur une médaille de Tranquilline acquise par le P. Chamillard, retour au quatrième consulat de Philippe, nouvelles acquisitions pour le cabinet Foucault (Paris, BnF, Ms, Fonds Français 6138, Galland. Correspondance de Caen, p. 26-33; Abdel Halim p. 293, n° CXXII).  +
-Lettre du 11 juin 1700 (de Caen) : « S’il est vrai que la liste des médailles impériales en argent de notre nouvelle acquisition vous ait fait autant de plaisir que vous le marquez par votre lettre du 3 de ce mois, j’espère que celle des principales de moyen et de petit bronze que voici, ne vous en fera pas moins », remarque sur une médaille d’Etruscus, interprétation de l’abbréviation CONS. Sur les médailles romaines ; selon Galland, CONS signifie quelquefois Consul, aussi bien que Conservator, opinions de Patin et de Mezzabarba à ce sujet, remarques sur les médailles de Quintillien (Paris, BnF, Ms, Fonds Français 6138, Galland. Correspondance de Caen, p. 44-53; Abdel Halim p. 300-301, n° CXXV).  +
-Lettre du 30 juin 1700 (de Caen) : « Je vous laisse examiner quelle est la première année de l’époque marquée sur la petite médaille de Jules César » retour à l’abréviation de CONS. sur les les médailles, remarques sur une médaille de Faustine ; « Avant de finir ma lettre, je prends mon Révérend Père, la liberté de vous proposer l’exemple du P. Hardouin, et de vous représenter que je vous en vois approcher de si près, que je crains que vous ne l’imitiez bientôt, en prenant comme lui les ténèbres pour la lumière, et la fausseté pour la vérité. Vous voyez bien que ses préoccupations invincibles l’ont jeté dans un labyrinthe dont il ne peut plus sortir, et où l’on prend plaisir de le voir errer, sans que l’on fasse la moindre démarche pour lui montrer la route qu’il faut tenir pour en trouver l’issue. En effet, il écrit, il dit, il publie, et il exagère tout ce qu’il lui plaît, et personne ne le contredit, quoque l’on n’ajoute pas foi à aucune de ses imaginations. L’on se contente de s’en divertir, et au lieu de le plaindre de son égarement, l’on souhaite de voir de nouveaux ouvrages de sa composition, pour avoir de nouveaux sujets de divertissements. Il est vrai que je ne me divertirais pas de vos lettres si elles devenaient semblables à ses écrits. Ce n’est pas mon humeur de me divertir aux dépens des autres. Je voudrais que l’on s’aidât des lumières les uns les autres, chacun dans sa profession, sans entêtement, sans jalousie, et sans contestations inutiles, qui refroidissent tôt ou tard, si elles ne rompent pas l’amitié. Mais, je ne puis dissimuler qu’après avoir pris tant de plaisir aux lettres dont vous m’avez honoré ci-devant j’aurais une mortification très sensible d’être obligé de vous prier de vouloir bien que nous rompions notre commerce de disputes et de contestations, qui seraient si infructueuses. Car, vos subtilités ne seraient pas capables de me faire changer mes sentiments, qui selon ma coutume, se régleraient toujours sur la vérité toute nue, autant que j’en serais capable, et mes raisons seraient inutiles pour détruire les vôtres, nonobstant leur peu de solidité. Votre Révérence peut voir aussi qu’il ne serait pas juste que mes occupations et mes études fussent détournées pour recueillir si peu d’agrément, et si peu de fruit de la peine que je me donnerais. Cela ne m’empêcherait pas de vous faire part de nos nouvelles acquisitions, suivant lesquelles vous feriez vos méditations particulières, suivant vos vues et vos principes » (Paris, BnF, Ms, Fonds Français 6138, Galland. Correspondance de Caen, p. 75-82; Abdel Halim p. 315-317, n° CXXXI).  
-Lettre du 9 juillet 1704 (de Caen) : (Note de l’archiviste : «Le feuillet portant les pages 1 à 4 n’a pas été transmis et manque depuis les premiers classements des archives des MMA, peut-être depuis le XVIIIe siècle, ne permettant pas d’identifier l’ecclésiastique auquel écrit Galland. Les indications de destinataire, lieu et dates se trouvent feuillet 15.) page 5 : « Response a ces remarques (2) Mon Reverend Pere. Il est a craindre que vous ne vous soyez engagé trop promptement, à soutenir le parti que vous avez pris contre M. de La Chausse. Comme M. de La Chausse est sur les lieux, on peut présumer qu’il ne nous a donné son sentiment, sur la colonne de granite, que l’on a deterrée a Rome au Champ de Mars, qu’après une mûre réflexion. Il a fait paraître par plusieurs ouvrages qu’il a donnés au public, de quoi il est capable dans l’explication des monuments antiques (3). Vous êtes déja revenu d[e vos] <e> la pensée, que vous avez eue, que la colonne de Trajan, marquée sur les médailles de cet Empereur, ne montre aucune figure. Vous avez consulté les médailles, et vous en avez vues, ou vous convenez qu’on aperçoit quelques traces de lignes. Comme ces traces, sans difficulté, désignent les figures, c’est un grand préjugé en faveur de ce savant Antiquaire. Vous croyez qu’il n’y a que quelques unes de ces médailles, ou paraissent les traces que vous dites. J’ai l’honneur de vous assurer que je les ai remarquées sur toutes celles que j’ai maniées, et j’ai de la peine à croire qu’il y en ait, où elles ne se fassent pas voir. Elles sont manifestes au Cabinet de M. Foucault, sur des médailles en grand et moyen bronze, et même sur une d’argent avec cette inscription: P.M.TR.P. COS.VI.PP.S.P.Q.R. Sa petitesse n’a pas empêché le graveur, d’y exprimer (p. 7, verso, 2) autour du fût de la colonne. Les mêmes lignes spirales, comme autour de celles de grand, et de moyen bronze, avec des points entre les lignes, qui tiennent la place des figures, qu’on voit encore auiourd’hui sur la colonne originale qui est a Rome. Nous avons présentement à examiner les médailles d’Antonin Pie, ou il y a des colonnes, et juger si elles ont un rapport a la colonne de Traian. Premièrement, je trouve au Cabinet de M. Foucault, une seule de ces médailles, qui est de moyen bronze, frappée au commencement du règne d’Antonin Pie, avec cette inscription du côté de la tête: ANTONINVS AVG. PIVS PP.TR. P. COS. III. L’inscription du revers est: FELICITAS AVG. SC. Pour type, on y voit d’un relief fort beau, et fort net, une colonne, qui a un piédestal avec une petite porte, une base, et un chapiteau d’ordre dorique, et au dessus du chapiteau, une lanterne, avec une porte, ou ouverture, de même que le piédestal. Le fût de la colonne ne porte aucune marque de figures, ou d’autre sculpture. Vous ne serez pas fâché de voir ici, la représentation de cette médaille. (p. 8, recto) En second lieu, je remarque une autre colonne, dans les médailles de grand bronze, et d’argent de cet Empereur,connue de tous les Antiquaires, qui est la même dans l’un et dans l’autre metal. Elle y est representée également,avec une grille par le bas, conformément à la colonne originale, comme on doit en être persuadé, ou elle avait été mise, pour empêcher qu’on en approchât, et qu’on ne la gâtat. Elle a un piédestal, avec une base, et un chapiteau, aussi d’ordre dorique, sur la médaille de bronze, et comme d’ordre ionique, sur celle d’argent, en quoi l’ouvrier paraît avoir été peu exact, à cause de la petitesse de la médaille. Ce n’est pas une lanterne qui est sur le chapiteau;mais une statue, posée dessus immédiatement. De plus, il n’y a pas la moindre apparence de lignes spirales, ni d’autres marques sur le fût, qui donnent (4) aucune idée de figures en sculpture. Vous savez, Mon Révérend père, que l’inscription qui accompagne cette colonne est DIVO PIO. Des deux colonnes, on ne peut pas dire, que la dernière soit la colonne historiale d’Antonin Pie, que l’on voit encore à Rome, bien moins conservée que celle de Trajan, quoique celle de Trajan, soit beaucoup plus ancienne (5). La raison n’est pas seulement, qu’il n’y a pas de marque des figures en sculpture sur le fût: c’est-aussi que la statue est posée immédiatement sur le châpiteau. Il y a à la vérité une statue au haut de la colonne de Trajan, mais cette statue n’est pas immédiatement sur le chapiteau. Elle est sur une élévation au dessus du chapiteau, qui tient lieu de la lanterne que l’on voit au haut de la pre(p. 9, recto, 1)mière médaille d’Antonin Pie, dont nous venond de faire mention. On voit même par la forme ancienne de cette élévation, qui était au dessus de la colonne de Trajan, avant qu’on l’eût changée, pour y poser la statue de S. Pierre, qui y est auiourd’huy, qu’elle était à peu près semblable, à celle de la colonne d’Antonin Pie, dont il est manifeste qu’elle a été le modèle. Cette circonstance de la statue, posée immédiatementvsur le chapiteau de la colonne d’Antonin Pie, que l’on voit sur les médailles frappées après sa mort, avec l’inscription DIVO PIO, marque que la colonne qu’elle représentait, était solide. Si l’on convient de cette solidité comme l’on doiten convenir, on ne peut pas dire qu’elle représente la colonne historiale d’Antonin Pie, qui avait, et qui a encore auiourd’hui, un escalier pour monter au haut, de même que la colonne historiale de Trajan. Si cela est ainsi, on ne peut pas désaprouver le sentiment de M. de La Chausse, quand il dit, fondé sur l’inscription, et sur d’autres circonstances, qu’il rapporte,que la colonne de granite, nouvellement deterrée à Rome, est la même que celle représentée sur les médailles, frappées à l’honneur d’Antonin Pie, après sa mort, avec l’inscription DIVO PIO. Bien loin de le condamner, il mérite une reconnaissance publique, de la part de tous ceux, qui sont curieux de savoir au vrai, jusqu’aux moindres particularités de l’histoire romaine. Pour être convaincu plus amplemnt, que cette co-(p. 10, verso)lonne était solide, après la marque que nous en avons par la statue posée sur le chapiteau, il faut remarquer qu’il (6) n’y paraît pas de porte au piédestal, comme il en paraît une sur les médailles de Trajan, au piédestal de sa colonne, et que la grille qui est au bas, est une autre marque qu’il n’y en avait pas. Cela confirme aussi le sentiment de M. de La Chausse,et l’on doit bien remarquer que le granite, dont est cette colonne, nouvellement déterrée, est d’une dureté bien différente, de la dureté du marbre. Elle n’a pas permis que l’on creusât la colonne en dedans, pour y faire un escalier. Par la même raison, on ne pouvait pas y employer aussi le ciseau, pour y représenter des figures, qu’avec un travail incroyable. De plus, jamais ces figures n’auraient pu recevoir la perfection, dont le marbre est capable. Ce que vous écrivez touchant la moulure, et les gravures, ou sculptures, qui sont au piédestal de la colonne de granite, en remarquant qu’on en voit rien sur les médailles, qui ont DIVO PIO, pour inscription, ne détruit pas l’observation de M. de La Chausse. La grille que le graveur de la médaille a représentée au bas de la colonne, telle qu’elle était à l’entour de la place, ou on l’avait élevée, l’a empêché d’en rien faire paraître.Ainsi, ce défaut, qui vous aparu essentiel s’évanouit, et n’empêchent pas que les preuves de M. de La Chausse, et celles que j’ai apportées, n’aient lieu. La diversité des inscriptions, ne prouve pas plus solidement, que la colonne des médailles d’Antonin Pie, qui ont été frappées après sa mort, ne représente pas la (p. 11, verso) colonne de granite, et l’on ne peut rien conclure en votre faveur, de l’arrangement différent, des derniers mots:DIVO PIO. Il suffit que la colonne, et les médailles soient postérieures à la mort d’Antonin Pie. Toute la différence qu’il y a, c’est que dans l’inscription de la colonne de granite, le nom d’Antonin Pie, avec le titre d’Auguste,est entre ces deux mots (7). Mais sur les médailles, ce nom est mentionné du côté de la tête de l’empereur divinisé. Il n’a pas été nécessaire de le répéter au revers. C’est ce qui a fait qu’on les y a joints ensemble, et il était nécessaire de les séparer dans l’inscription dela colonne. En parlant des médailles de Trajan, marquées de sa colonne au revers, ou vous croyez que l’on ne voit aucune trace de figures sur quelques-unes, quoiqu’il n’y ait pas apparence qu’on puisse produire une seule, vous dites que l’on renvoyait à l’original, ceux, qui voulaient savoir ce que la petitesse de la copie, ne permettait pas d’y apprendre. Cela serait bon à avancer, si ces médailles n’eussent été frappées, que pour ceux, qui étaient à Rome. Alors, l’intention était, qu’elles servissent d’instruction dans toute l’étendue de l’Empire Romain. Il fallait que cette intention fût exécutée par quelques marques, qui représentassent des figures. Aussi ne les a t’on pas oubliées, comme nous l’avons remarqué. Il faut donc, dites vous, Mon Révérend Père, quet ous les Antiquaires, qui ont cru, et qui ont écrit ci-devant, que la colonne, qui se présente sur les mé-(p. 12, recto)dailles d’Antonin Pie, avec l’inscription DIVO PIO, était la même que la colonne historiale de Rome, se soient trompés. On ne peut pas douter que cela ne soit ainsi: la chose parle d’elle même. Je m’était laissé emporter au torrent, jusqu’a ce que j’eusse lu dans le Journal des Savans, l’extrait du petit ouvrage de M. de La Chausse (8). Alors, je n’ai pas eu de honte de me rendre à ses raisons, et a une si grande évidence. Je cherche la vérité, et je m’y attache, d’abord que je puis l’apercevoir de quelque main qu’elle vienne. La remarque de M. de La Chausse, doit cependant donner de la joie aux Antiquaires; puisque par la découverte qu’il a faite, il leur produit [a leur] deux colonnes d’Antonin Pie, celle-ci, qui n’est pas historiée, et l’autre avec l’inscription: FELICITAS AVG. que l’on connaît à Rome,depuis tant de siècles. Quoique la médaille qui est marquée de cette colonne,ne fasse voir aucune marque de sculpture, comme jel ’ai remarqué dans sa description; il est visible néanmoins que c’est la colonne historiale d’Antonin Pie, par la porte qui est au piédestal, et par celle, qui est à la lanterne qui marquent que l’on montait en haut par un escalier pratiqué en dedans, comme on le voit dans celle de Rome. L’inscription TR.P.COS.III qu’on y lit du côté de la tête prouve, évidemment, que la colonne fut élevée au commencement de son Empire; mais, elle ne prouve pas moins clairement, qu’on n’avait pas encore eu le temps de l’orner des sculptures, dont on ne voit (p. 13, recto) aujourd’hui, que les restes, qui ont échappé aux ruines du temps. Peut-être a-t-on frappé d’autres médailles sous le règne de cet Empereur, qui fut de près de vingt trois ans, depuis que les sculptures furent achevées, ou elles ont été marquées, et que les Antiquaires, qui viendront après nous,auront le plaisir de voir, si l’on en découvre. Si elles n’y paraissent pas, on aurait lieu de s’étonner de la négligence, ou de la grossièreté, ou malhabileté des graveurs de la monnaie de ce temps-là, après l’exactitude de ceux du règne de Trajan. Cette médaille, qui est au cabinet de M. Foucault, estsi rare, que l’on peut croire qu’elle est unique. En effet,il n’en est fait mention, ni dans Occo, ni dans le Mezzabarba, ni dans les médailles romaines, les plus rares, publiées par M. Vaillant (9). Ces termes: FELICITAS AVG. qui y servent d’inscription, signifient que c’était un grand bonheur à l’Empereur Antonin Pie, que ses belles actions fussent exprimées de son vivant, sur ce beau monument par ordre du Sénat, et qu’elles apprissent à la postérité,que l’Empire Romain, ou il était parvenu, en avait été la récompense. Le même zêle pour la vérité, qui m’a fait prendre le parti de M. de La Chausse, contre Votre Révérence, m’oblige d’adopter votre sentiment contre lui, au sujet de l’imperatrice voilée, que le jeune homme ailé portesur ses épaules avec Antonin Pie (10), en quoi il s’en est ecarté.Il y a lieu de s’étonner qu’il l’ait prise pour Faustine, la (p. 14, verso)[mere] jeune, femme de Marc Aurèle, et non pas pour la mère, femme d’Antonin Pie, à l’honneur de qui, la colonne de granite a été consacrée. A l’égard de la première raison qu’il apporte, que si cette impératrice <était Faustine>, femme d’Antonin Pie, l’inscription en ferait mention, on peut lui demander, si c’est Faustine, femme de Marc Aurèle, pourqoi elle n’en fait pas aussi mention ? Il y aurait eu beaucoup plus de raison de le faire. En effet, qu’un Empereur, et qu’une impératrice, tout à la fois, soit emporté aux cieux, sur les épaules d’un jeune homme, ou d’un génie ailé, et qu’on ne doive pas les prendre pour époux, et pour épouse, c’est ce qui n’a nulle apparence. Il faut avouer néanmoins, qu’il y a quelque chose, qui répugne dans la pensée de celui, qui a inventé cette représentation, en ce qu’il a joint la consécration de Faustine la mère, qui était morte, et qui avait été consacrée auparavant, avec celle d’Antonin Pie.Mais, cela ne rend pas la cause de M. de La Chausse, meilleure. On sent bien qu’il répugne davantage, de prendre cette impératrice, pour Faustine la Jeune. La seconde raison de M. de La Chausse, que si cette impératrice était Faustine, femme d’Antonin Pie, on aurait représenté un paon, au-dessus de sa tête,des médailles de cette impératrice, d’argent, et de grand,et de moyen bronze, qui la font voir après sa mort, sur le dos d’un aigle, qui l’emporte au ciel. Ainsi, Mon Révérend Père vous avez très bien remarqué, que M. de La (p. 15, verso) Chausse, n’a pas rencontré juste sur cet article, et il n’y a pas d’antiquaire, ce me semble, qui ne doive souscrire à votre sentiment. Enfin, voilà ce que j’avais à dire sur les Remarques quevous avez envoyées à M. Foucault.Je crois connaître assez que vous n’avez pas d’autre but, dans vos recherches, que de découvrir la vérité, pour être persuadé, que la liberté, que j’ai prise, ne vous deplaira pas. Je suis avec un grand respect Mon Révérend Père Votre très humble, et très obeissant Serviteur » (Paris, BnF, BNF 2011-09-ACM01-17, autographe, signé; transcription et notes de Guy Meyer ; Abdel Halim, p. 461=462, n° CXCVII).  
-Lettre du 11 mars 1701 (de Caen) : « Puisque vous avez désiré de savoir mon sentiment sur l’explication de la médaille grecque de Caracalla, du cabinet de M. Foucault, qui vous a été envoyée par le R. P. Hardouin, je ne vous dissimulerai pas qu’elle est très ingénieuse. Heureux ceux qui peuvent se divertir si agréablement, en se délassant de leurs études plus sérieuses. Si tout le monde n’a pas le même talent, ceux qui peuvent prendre quelque part du plaisir qu’il se donne à lui-même, lui ont au moins l’obligation de ce qu’il en est si libéral, et qu’il se fait un autre plaisir de le communiquer. Le R. P. a déjà donné des explications de quelques autres médailles, qui ne font pas moins admirer le raffinement dont il est capable en ces sortes de jeux d’esprit. Car, de penser qu’il les donne sérieusement, et qu’il soit persuadé de ce qu’il avance, c’est ce que l’on ne pourrait pas s’imaginer » suit la critique de l’explication du P. Hardouin (Abdel Halim, p. 368, n° CLI).  +
-Lettre du 1 avril 1701 (de Caen) : « J’ai pris la peine de faire moi-même le dessin de la médaille du cabinet de M. Foucault, dont le R. P. Hardouin vous demandait seulement une description » suivent quelques courtes remarques sur cette médaille dont la légende et le dessin ne sont cependant pas précisés (Correspondance de Caen ; Abdel Halim, p. 388, n° CLVIII).  +
-Lettre du 12 avril 1701 (de Caen) : « C’est donc par votre entremise que le R. P. Hardouin me fait l’honneur de me consulter sur les médailles du cabinet de M. Foucault. Il aurait pu vous épargner cette peine, s’il lui avait plu d’accepter l’offre que je lui fis dès l’année passée de s’adresser à moi directement, sur tous les éclaircissements qui pourraient lui faire plaisir. De quelque manière qu’il le juge à propos, je vous supplie de lui marquer, que je tâcherai toujours de le satisfaire, avec le même zêle, et avec la même passion, en tout ce qui dépendra de moi pour l’obliger. En même temps, vous pourriez bien l’assurer qu’il peut se fier autant sur mon exactitude que sur la vôtre : car je crois que vous avez sujet de même que moi, de vous plaindre un peu de sa défiance au sujet de la médaille d’Auguste que vous lui envoyâtes dernièrement, dessinée de ma main. Le Révérend Père vous demande s’il y a dans le cabinet de M. l’Intendant quelque médailles de Tibère, marquée de COS. IIII. dans son inscription » réflexions sur les médailles marquées de cette abréviation (Correspondance de Caen ; Abdel Halim, p. 396-397, n° CLXII).  +
-Lettre du 18 mai 1677 (de Paris) : Vaillant, l’Antiquaire du Roi, a entrepris l’histoire par les médailles des Séleucides.Il peut établir précisément les dates des souverains par les caractères grecs ou phéniciens [qui figurent sur les monnaies].Sa précision est telle qu’il a pu corriger Spanheim même (Oxford, Bodleian Library, MS Smith 46 fols. 221-222 (en latin).  +
-Lettre du (10 Février 1687 (de Smyrne) : « Je lui dis là-dessus que j’aurais l’honneur d’en écrire à V. E., que cependant dans la commission dont j’étais honoré étant nécessaire d’entretenir amitié avec tout le monde parce que l’on pouvait contribuer à la satisfaction que l’on attendait de ma diligence à la Cour pour l’enrichissement du Cabinet de sa Majesté il ne devait pas trouver mauvais que je continuasse à vivre avec Mr le consul de Hollande de la manière dont j’avais vécu depuis mon arrivée en cette ville … Je suis persuadé que V. E. est trop éclairée pour avoir envie que Mr le consul étendit à moi l’ordre qu’Elle lui a envoyé. L’amitié que j’ai avec Mr le consul de Hollande est une amitié de 8 ou de 10 ans qui est fondée sur plusieurs sortes de curiosités, celle des médailles en est une, auxquelles il s’occupe aux moments que les devoirs de sa charge lui donnent quelque relâche. Je ne m’entretiens avec lui que de ces sortes de choses, lorsque j’ai l’honneur de le voir quelquefois, et c’est pour moi une grande consolation dans un pays où il y a si peu d’entretien conforme à mon inclination outre l’avantage que je puis tirer de sa connaissance pour me bien acquitter de mon devoir et de mon emploi. Mr le consul de Hollande sait que je vois des marchands de sa nation qui sont mal avec lui, il ne le trouve pas mauvais sachant que je le fais dans le dessein d’acheter de leurs médailles, comme j’en ai acheté d’eux de fort curieuses » (Paris, Bnf, Manuscrits Fonds Français 7168, Girardin, Mémoires ; Abdel Halim p. 170-171, n° LXIII).  +
25 March 1575 (from Nancy): “S. acceptis abs te literis, id est ab antiquaris et geographo celeberrimo, non mediocrij gaudio sum perfusus, Abrahame solertissime. Atque non potui stais mirari, qui factum fuerit, ut tibi sim cognitus, qui nullius nominis homunico, antiquitatem quidem ante annos 30. Et amavi et colui, quantum mihi vacavit a facienda medicina mea: sed me totum illi uni devovere non potui. Enim verò pauca scripsi (eaque nondum typis chalcographicis mandata) de Moneta et numismatibus Romanis quorum non parvum cumulum, eorumque selectorum et rariorum, habeo. Et scripsi quidem primum Latinè (quod mihi minoris constitit :) deinde Gallicè, jussu illustrissimi Principis mei, qui superat omnes, de quibus hactenus audivi, eorumdem nummorum, tum aureorum, tum argenteorum, copiae, pretio, valore, et ut ita dicam, excellentiae. Itaque in eius gratiam de huiusmodi numismatibus libello quodam egj, et addidi brevem etiam rationem antiquae rei Nummariae, ς quantum potui, ut et is, et vulgus etiam Gallicum, eius non esset omnino expers. Subiunxi et ectypis ipsis, sat bellae primum in aere, caelo, deinde chartae, expressis, enarrationem, interpretationemque aversarum partium, seu mavis posticaerum, nummorum ipsorum. Rursum attexui et nonnulla de gemmis sclaptis (sic), et caelatura sive scalptura earum, tam laudatae, usrupataeque olim Romanis. Et ut numismatum, sic etiam gemmarum ectypa aliquot addidi, ac sum interpratatus, pro sensus mei et acuminis ingenii tenuitate. Quod postremum argumentum, haud scio an ante nos quisquam alius attrectaerit. […] Mitto duo numismata argentea, his inclusa literis ; quorum alterum prae se fert caput infesti illius Romani Veiovis, sagittas vibrantis. De quo Ovidius in Fastis, Martianus, Alexander, et plura Gellius. Postica pars nummi, Lares pulchrè deformatos ostendat. Alterum Africae caput habet, exuviis Elephanti tectum. Numisma est Q. Metelli Scipionis Imperatoris. Posteriore part inscriptio est Eppii, cuius meminit in Commentariis Julius Caesar. Neutrum libello tuo comprehenditur, ut neque alia quaedam capita, quae penes me sunt; veluti Fortunae Antiatis, in nummo Q. Rustij : sortis, in nummo M. Plaetor. Feroniae deae, in nummo P. Turpiliani IIIviri; Italiae : Hispaniae, in nummo Albini; Termini, in nummo Q. Titii si credimus Sebastiano Erizzo Italo. Boni consules munusculum meum, tametsi plus quam levidense. Si quid erit in meo cimeliarchio, quod tibi gratum esse intelligam, id ad te facile (mihi crede) transibit. Bene vale” (Chapel Hill [North Carolina], UNC University Libraries ; Hessels 1887, no. 55, p. 126-127).  
-lettre du 7 août 1686 (d’Aix-en-Provence) : en latin He refers to several works e.g. NORIS' consular letter, to certain points $word$ which he mentions that he has already replied, and to FABRETTUS' work on Trajan's column, of which work he disputes certain dates and facts. … He is making an accurate survey of the consular fasti, in which he finds Dodwell's work helpful, and he proceeds to details on the emperors' consulates and the decennalia. He maintains incidentally that Nerva did not resign. He refers to NORIS' treatise on the Syro-Macedonian chronology, based on coinage, and a forthcoming attempt at the Onuphrian calendar. He has advised N, to have every recourse possible to the Royal Vienna Library. The expert advice of MORELL and de MOLINET should be asked on the genuineness of the coins. (Oxford, Bodleian Library, MS Cherry 29 fols. 151-160).  +
-Lettre du 13 juin 1581 (de Rome) : « Non sò che la medaglia sia quell tanto pretiosa trouata nuouatamente dell’Antinoo, et le dico liberamente non uoglio essere in primo a ricercare l’impronto, perche essendo tanto rara il padrone non la uorrà fare commune. Ma se si facesse, V. S. sà che per sodisfare alla mia curiosità, n’hauerei bisogno d’uno in piombo. La tavola del Bembo uiddi molti anni sono in Padua, et da Moriglione (note : Maximilien Morillon, prévôt d’Aire, un des plus anciens amis de Granvelle, alors son vicaire-général pour l’archevêché de Malines) ne feci fare in carta una copia à penna molto ben fatta et al naturale co’l colore di rame uerniculato d’argento, che m’è stata tolta in Brusselles insieme con i libri, con le medaglie et statue et con quanto ui hauevo, et con le mie scritture et archiuio di quanto per l’Imperatore da me si era scritto, et altre cose rarissime, quà non saria stimata la tauola, perche non l’intenderiano, et saria bene che restasse in Roma o alla libreria Vaticana, o pigliandola Mons.r Ill.me nostro, non uedendo altro là che sia per farui la spesa » (Nolhac 1884, Lettre VII, p. 257-258).  +
-Lettre du Lettre 7 oct. 1581 (de Madrid) : « Ho havuto quelli impronti, di che la ringratio molto, et se bene io gli havevo già visti in Roma, m’è piaciuto assai di revederli quà, et apero placendo à Dio havere in Roma qualche giorno la vista de gl’Archetypi nella dolce compagnia di V. S. avisandola che le gente di quà pensano poco in cose simili, et io crederei che fariano meglio d’attendere a questo, che non d’occupare male il tempo, come ordinariamente fanno » (Nolhac 1884, Lettre X, p. 262).  +
Lettre du 15 février 1759 (de Marseille) :« [fol. 155 v°] Quand je trouverai des médailles de ville, j’aurai soin de les mettre à quartier pour vous. Je me flatte que vous voudrez bien aussi me conserver les impériales qui vous parviendront et que vous jugerez inutiles à vos suites. Comme vous savez que je suis encore bien pauvre, tout me sera bon, même le plus commun. J’ai l’honneur d’être avec toute la considération et l’estime possible, Monsieur, votre très humble et très obéissant serviteur » (Nîmes, Bibliothèque municipale, Ms. 147, f° 155).  +
Lettre du 11 janvier 1760 (de Marseille) : « Depuis que je n’ai pas eu l’honneur de vous voir, je n’ai pas fait d’autres acquisitions en médailles que quelques moyens bronzes et la tête de Marius Carausius et Allecty en petit bronze. Si le hasard vous faisait tomber entre les mains une ''magnia urbica'', vous me ferez plaisir de me la conserver. J’aurai la même attention à vous réserver les médailles des familles ou des villes que je trouverai. » (Nîmes, Bibliothèque municipale, Ms. 147, f° 156-157).  +
Lettre sans lieu ni date: "Le medaglie, ed altre cose antiche sempre sono state in pregio, e riputate da' moderni per memoria del valor di quelli uomini; onde così, e altrove meritatamente sono avute care. Io conoscendo questo, ho pensato alle volte, come potessi piacere alle persone virtuose, e nobili in qualche modo. E perchè io ho veduto la diversità, che usano gli Antichi, facendone alcune d'oro, altre d'argento, e infinite di bronzo, e trovarsene delle false; m'è venuto desiderio di gettarne parecchie in fogli di carta circa l'antichità della mia patria (con alcune moderne in compagnia) la quale siccome ebbe d'ogni tempo uomini valorosi, e grandi per arme, e per lettere, ed ogni altra professione, così n'ha tuttavia di rari, ed eccellenti. Ancorachè gl'ingegneri nostri s'abbiamo sforzato di continuo venire in supremo grado, però quelli, che viziosi sono stati, hanno avanzato tutti gli altri. Tal che io avendone fatto quattro libri, mi ho ingegnato di tener conto di tutte le cose più notabili, e più degne di memoria, non defraudando la virtù del suo debito onore, nè il vizio del meritato biasimo. Troverete molti altri belli, e curiosi particolari di nobiltà, di studj, e d'artefici: molte origini di famiglie nuove, molte memorie di quelle, che sono spente, e altre cose, che non sono per ogni cronica; e di tutto so, che n'avrete diletto, massimamente quando leggerete l'imprese, e i motti appropriati a ciascuno. Ora ve ne mando il saggio con questa lettera, acciocchè ne veggiate parte, e sappiate, che io non spendo tutto il mio tempo invano" (Bottari 1766 vol. 5, p. 95, lettre XXXV).  +
-Lettre du 8 octobre 1735 (de Florence) : « Anton Francesco Marmi avendo messo in miglior carattere, e ordine le due memorie di mano del Dati, e di Mons.re da Sommaia concernenti le Antichità Etrusche, e i disegni estratti dalle medesime; le manda all’Ecc.mo Sig.r Dottore, e Ab.e Anton Francesco Gori; acciocchè osservi se possono in alcuna maniera contribuire al suo Museo; e gli bacia divotam. le mani aggiungendo che prontam. gli farà restituzione dell’inviatogli libretto. [segue] [cc.54r-54v] Da ricordi di mano del S. Carlo Dati. Inscrizione creduta etrusca, scoperta in un masso a Tizzana luogo del S. Cammillo Capponi, datami disegnata dal Sen.re Alessandro Alamanni; singolare per essere affissa alla terra, la quale il Dori voleva fare intagliare nella Chimera che è in Palazzo Vecchio, in oggi in Galleria, vi è una voce, che è in una medaglia di Sicilia nel Golzio (Goltzius), ovvero nella Magna Grecia, credo sia in Caulonia. » (Firenze, Biblioteca Marucelliana, AX, f° 97r - online).  +
-Lettre du 4 décembre 1727 (de Palermo) : He regrets O’s. departure from Palermo before he (M.) had been able to profit by enlightenment through his erudition; unfortunately his work interfered. He had given Manchese your letter, who will forthwith send a book on the coinage and also some coins lately received. (Oxford, Bodleian Library, MS D’Orville 486 fols. 73-74).  +
-Lettre du 12 octobre 1731 (de Palermo): [ [A long letter in a far from easy script]. ] He is delighted at O’s. safe return but still more in expectation of his account of his journey in Sicily. He only wishes he had been able to show him more of the recondite objects of interest. He possesses some inscriptions that have been discovered to be added to Gualterius’ work, and Marquesius has an icon from the temple of Egesta; I will ask him to send you examples of his coins; I will send Gualterius’ book; and he mentions other collections of coins, and his possession of other works, e.g., Peter Ranzanus’ on the Origin of Palermo. ... (Oxford, Bodleian Library, MS D’Orville 486 fols. 168-169).  +
-Lettre du 8 juillet 1732 (de Palermo): [A rather baffling script.] He sends him two books on coinage from Ant. Marquesius and some coins from the Royal Palermo mint [if I decipher correctly]... (Oxford, Bodleian Library, MS D’Orville 486 fols. 194-195).  +
Lettre du 5 janvier 1559 (de Piedimonte d'Alife, aujourd'hui Piedimonte Matese): “Hò gran piacere delle cose antique trovate tanto in Medaglie, quanto in Iscrizzioni, e tanto più volontieri farò il mio ritorno quanto più presto potrò, e portarò qualche cosetta, che non vi dispiacerà. In Napoli viddi Medaglie assai in argento, & hebbi qualcheduna di quelle che non havevo costì, verbi grazia, un C. Numonio Vaala, un Papio Celso con la Lupa o Cagna & Aquila, un M. Plætorio con una mezza figura in faccia con certe lettere che non le leggo, ma credo habbia una M. Gentile, e cercate di vederla di nuovo, e dirmi che dicano, questa Medaglia è trista, il Vaala bonissima. Hò due Muse che l’una penso non haverla in Roma, un M. Ant. Cohort. Prætoriarum un M. Servilio e C. Cassio con un Cancaro, ma questa hà l'anima, un’altra senza nome con un globo circondato da quattro corone, e dall’altro canto Giunone con le corna. Hò ancora molte altre delle vecchie da barattar e donare. Delle Greche di argento un Θυριων di cinque dragme, & un di Napoli, & un ΚΥΑL un ΜΕΚΑΙΟΝ dove sono due Ocree. Di bronzo un Rodion grande & una Messallina con un Liceo, & una Medaglia grande e grossa come li Tani librili, dove dell’un canto è una testudine animale, dell'altro una ruota di carro senza lettere. Credo che Pelluce dica di non sò che Popolo di Grecia che faceva la testudine nelle Monete, vedetelo & avisatemi, che non hò libri quà. Alcune Medaglie triste d’Imperatori mi sono capitate nelle mani, e capitano ogni dì: hebbi una d’oro l’altro dì dell’Imp. Anastasio piccola, di bronzo un Rogerius Dux, un Costantino, e Zoe Greca, e Latina, e così altre varie” (Agustin 1772, Opera Omnia, vol. VII, Lettre I, p. 231).  +
Lettre du 24 janvier 1559 (de Piedimonte d'Alife, aujourd'hui Piedimonte Matese): "Sarà un gran peccato se le Medaglie e pesi escono delle mani vostre, ma io dubito delli uccelli di Palazzo non le rapiscano per se, e poi le disperdano. Vi ringrazio infinitamente di quelle belle Medaglie che mi conservate, e goderò ancora di vedervi arrichito di quell’altre, ma non vorrei che foste intrato in tanta spesa. La Medaglia di C. Cassio e M. Servilio hà la testa di una Donna in treccie & è coronata, come una Musa ò Vittoria: Dal rovescio un Cancaro che tiene con le forfici un acrostirio di una Nave: e dietro il Cancaro mi pare discernere un diadema sciolto, & un’altra cosa che non la conosco bene, come un vasetto ò fiore ò grillo. Delle muse l’una è Thalia della Mascara, l’altra è di quelle che suonano la Lyra, la quale si fà di due ovvero più modi; questa tiene la lira sopra una colonna, e con la destra mostra toccar le corde. Credo haver un’altra rotta in Roma che ha quella colonna, e lira, ma con la mano a basso col plettro, non sò se la chiamassimo Euterpe ò Polyhymnia. Non credo che vi scrivessi di un M. Lepido il quale è duplicato, perche in Roma hò uno, dove non si vedono queste lettere M. LEPIDVS ANN. XV. PR. H. O. C. S. le quali interpreto così: M. Lepidus annos XV. Prætor Hispaniam obtinuit citeriorem solus. Hà dell’un canto una testa di una Vittoria, dell’altro una statua equestre con un trofeo portato dall’Equite. Se havete altra interpretazione delle lettere, ovvero quella potete confermare con libri, fateci parte nella prima. Hò una legge XX. di M. Ant. un C. ANNI T. F. T. N. PRO COS. EX SC. e dell’altro canto L. FABI L. F. HISP. con le cose ordinarie, una testa di donna, & una quadriga. Hò un PAULLUS TER CONCORDIA, bellissima Medaglia con Perseo e li Figliuoli come le altre. Un C. SERVEILI M. F. con Castore e Polluce che voltano i Cavalli in traverso bellissimi. Il Sabula della Medusa assai buona. Il PROVOCO di P. LÆCA, C. MAL. che stà à sedere sopra certi scudi ò scogli, & una Vittoria l’incorona. C. Fontejo con un Jano & un trireme, un M. TULLI. commune, un L. IVLI. con li amori che tirano il carro di Venere. Hò certi Pisoni Frugi che si trovano per tutto, ma uno ha di sopra il Cavallo che corre una teila di un barbato & horrido come quelli di C. Vibio Pansa. Un L. LIC. CN. DOMIT. dell’altro canto L. POMPONIO; un Vittoriato bello di L. RUBRIO DOSSEN. QUADRIGATI Q. FABI LABEO CN. DOMIT. senza il Lione; L. SENTI. C. F. ARG. PUB. BIGATO SAFRAC. PLUT. con Castore e Polluce; M. Plætorio con l’Aquila e fulmine, penso d’haverlo ancora in Roma. Un Leon con la testa di Lione d’un canto, e dall’altro uno che sacrifica, questo è come Sestertio, ma molto bello; hò una dragma che d’un canto ha una testa di Giove, dall’altro una corona d’oliva & una cifra così (monogramme dessiné); qui faccio fine all’argento. Di quelle di bronzo Greche vi scrissi nell’altra. Hò piacere della Testudine che sia del Peloponneso, e che habbiate una d’argento. Se la mia fosse d’oro saria molto più bella, perche pesa due oncie e più. Desidero sapere se vi restorono in mano quelle due Medaglie d’oro Consulari, che mi ripigliaste al ripartire" ; "Tornando alle Medaglie hò trovato in Strabone l’interpretazione di due; una di Crotone con il Tripode, la quale hò quì in argento cugnata di un canto solamente, ma credo che si trovi con la testa di Apolline dall’altro canto. Voglio che significhi l’Oraculo Apolline Delfico fatto a Myscello, il quale voleva mutare l’abitazione à Sibari, e li fu risposto che non la facesse: le parole trovarete nel lib. VI. di Strabone. L’altra è di VALENTIA. con una testa di Donna, e di rovescio due Cornucopia pieni di fiori e frutti, questa hò di bronzo in Roma. Strabone dice una carta indietro che Hipponum fu poi detto Vibonia Valentia dove Proserpina coglieva i fiori e li portava in Sicilia, e che sono tanti in quel luogo che è vergogna alle donne compararli. La terza interpretazione sarà della Testudine che significhi σπευδε βραδεως la celerità de carri con la tardità di quell’animale. Vel da melius, vel his utere mecum" ; "Di Pedemonte alli XXIV. di Gennaro del LIX.” (Agustin 1772, Opera Omnia, vol. VII, Lettre II, p. 231-232).  
Lettre du 6 février 1559 (de Piedimonte d'Alife, aujourd'hui Piedimonte Matese): "Hò da dirvi una cosa degna delle vostre orecchie. Pochi giorni sono che un certo Trombetta mi fece ricercare se voleva comprare più di ducento Medaglie, perche mi serviria, e mi mandò la lista di alcune rare, e mai viste, verbi gratia, Josuè che fermò il Sole, Seneca, Laureolo, Lelio, Enea & altri di grande estimazione Greche e Latine. Io che gioii &c. feci che me le portasse di due giornate di quà; venne il prelibato Salvator Trombetta con un bravo sacchetto di Medaglie di bronzo & alcune d’argento de quibus infra. Mostrommi quella di Josuè, aggiungendo che ogni mercordì si tornava d’oro, essendo l’altri di argento, ne sim longus, era un Vespasiano d'argento, che mancando le lettere CAES. VESP. si leggeva. Seneca si ritornò DOS.SEN. Così Laureolo diventò L. AVREL. e Lelio L. ELIO VERO, ovvero Commodo. Enea non sò chi fosse, in effetto restassimo d’accordo, & io hebbi alcune bone Medaglie d’Imp. di bronzo, con le quali penso barattare in Napoli, & haver di quelle d’argento che ho visto rare. Trovai d’argento queste: un bigato con due Cervi & una Luna senza lettere con la testa solita e lettere di Roma. Un altro denario con Castore e Polluce à Cavallo con queste lettere C. TER. LVC. Credo sia C. Terentius Lucrio, dall’altra parte è Roma con una Vittoria piccola. Un falso denario bigato di L. AILI. con un XVI. dietro la testa di Roma, le dette sono à me rare, le altre che dirò duplicate: un HISPAN. ovvero Hispania A. POST. A. F. S. N. Albin colle falcie e l’Aquila assai bella Medaglia. Un bigato anzi di due Castori à cavallo. C. ANESTI con un Cane dietro la testa di Roma. Un Vittoriato L. RUBRI DOSSEN. con una testa di Nettuno & una Vittoria. Un Blasione che le lettere non si vedono, con tre figure. Un altro Denario brutto di due Castori C. IVNI. C. F. un altro non buono di L. POMPILIO CN. F. e di L. LIC. CN. DOM. pur bigato. Di bronzo una testa di Minerva con una ruota di rovescio con queste lettere IKECAPI. (nb: rétrograde) interpretatele voi se potete. Un’altra con un Cavallo d’un canto, con queste lettere ΑΡΠΑ. e di sotto ΝΟΥ, ma queste ultime guaste, dall’altro un Toro con questo ΕΛΛΟ. In molte altre di quel Minotauro coronato d’una Vittoria, che si vede con lettere in argento ΝΕΟΠΟΛΙΤΩΝ. In queste di bronzo sono certe lettere scritte al contrario così: KYNNAT. Non sò se voglia dire di Nuceria con qualche cognome. Ho tre medaglie con queste lettere LADINOD. Non le so interpretare, vedete il Stefano se dice qualche cosa. La prima hà un Giove & un’Aquila. La seconda una Venere & un Delfino. La terza una Proserpina con una Cornucopia. Hò tre altre di Vulcano di un canto, e dall’altro un cárro con due cavalli forse di Marte, che par ricordarmi esser in Omero e Vergilio, e forse in un marmo del q. nostro M. Gentile, che Vulcano accomodova le rote e l’arme di Marte, mentre egli faceva l’amor con la Consorte. Un Vulcano giovanetto e bello con un pileo in testa, e con le tenaglie dietro con queste lettere VOLCAN. forse dell’Isole Vulcanie sono queste Medaglie. Desidero sapere da VS. se trova in Poeti Greci Vulcano giovane, parmi se li convenga essendo marito di Venere. Hò altre Medagliuccie di Caleno e Roma di varie sorti, & una di Rodi con la rosa e la testa del Sole, ma dubito sia moderna. Hò ben un’altra antica con una testa di Bacco, & una Vittoria. A questo modo mi sono arricchito con non gran spesa, ma spero in Napoli far cose grandi. Aspetto una lettera vostra dove mi diciate quale desiderate delle duplicate, perche vele servarò, e non le darò in baratto. Benche ad ogni modo non darò quelle di argento. (...) Di Pedemonte alli VI. di Febraro del LIX.” (Agustin 1772, Opera Omnia, vol. VII, Lettre III, p. 232-233).  
Lettre du 17 février 1559 (de Naples): “Mi piacque saper se siano salvate le Medaglie e beneficii del nostro q. M. Gentile, & erami venuto in fantasia, come haverete visto in un’altra" ; "La Medaglia di M. Pletorio penso che dica CONSIDIVS, e credo si trova in altre C. CONSIDI. Quid si Confus, cui Consualia? Cercate qualche Medaglia più intiera, se il faremo Dio del Consiglio, diremo che sta in faccia, perche il buon consiglio non si vergogna, ne lascia per rispetti di dimostrarsi; mostra la testa & il petto dove è il sito di consigli, & il governo dell’anima, e dell’huomo: li altri membri sono istrumenti. Ricordatevi dell’Apologo di Menenio Agrippa, ancor che dica C. Considi, potremmo interpretare che sia quel Dio del quale fu derivato il nome della Famiglia. Credo che sia giovane, non perche il consiglio stia in quell’età, anzi han bisogno i giovani di consiglio, ma perche così si fanno tutti i genii e spiriti e virtù, forse per la purità e sincerità e simplicità che è necessaria nelle cose significate; vestito pare di toga e lato clavo e fino, perche è come Genio del Senato, e come consiglio publico. Ma voi ridete delle mie interpretazioni, & io mi trastullo in scrivere quicquid in buccam venerit. Hò da dirvi un’altra delle Medaglie di Napoli poiche ci sono, e vi rispondo prima che voi non credevate. Trovandomi in Napoli hò pensato al Minotauro delle Medaglie di questa Città, e credo il nostro M. Pyrrho non havea scritto cosa alcuna di queste Medaglie, quando vidi il libro suo, forse aspettando di far gran prove essendo di questo Paese. Dice Strabone che Napoli fu edificata da Cumani, Vergilio nel principio del Sesto dice che Dedalo fece il tempio d’Apolline à Cuma, dove fu la Sibilla Cumana. Sono intrato in fantasia che tutte le Medaglie del Minotauro siano de Cumani, ovvero delle Colonie de Cumani, e che essi per rispetto di Dedalo facessero batter le monete così. Sono in questa opinione confermato ricordandomi non solamente haverlo visto in quelle di Napoli, ma in oltre molte altre Medaglie di Città e Popoli di questo Regno. Se direte Dedalo fece il tempio non à sue spese, se venne per aria con le ali di cera era forse ignudo, e solamente artefice & esule, egli pose le mani, ma la Città fece la spesa. Io rispondo che credo più presto venne in una nave tanto veloce, che parea che volasse per paura grande, e portò seco denari & altre robbe, e guadagnò col suo artifico tanto, che puotè fare il bel Tempio. La testa di Donna è ò Parise ò Sibilla, credo che si trova spesso con Diadema, la quale non credo che portasse la Sibilla, ma in altre è con corona di lauro, e in alcune è la testa di Apollo. (...) In Napoli a XVII. di Febraro MDLIX" (Agustin 1772, Opera Omnia, vol. VII, lettre IV, p. 233-234; voir Carbonell Manils 1992-1993, p. 180 et Serafin 2013, p. XI, notes 55 et 56 et XXX).  
Lettre du 3 mars 1559 (de Naples): "Le Medaglie di M. gioan fran.co Caraffa ho visto et di bronzo ha cose stupende et di oro ancora, con alcune di argento di roversci di Augusto perfetti. Io penso barattar con lui alcune medaglie Greche et consulari, tra le quali è il Vaala et il Casca Longus, et una Urania un Pansa Extravagante, un ΒΡΕΤΤΙΩΝ di oro con Venere et Cupido sopra un delphino d’un canto, et d’altro la testa di Nettuno. Un Taras mirabile et un ΗΡΑΚΛΗΙΩΝ. di argento, et alcune di Imperatori. Ma come le havro in mano vene darò ragguaglio. Ha un Varrone eccelente, ma non lo vol barattare: ne manco un Ser. Sulp. che è belliss.o di una testa di donna et certi instrumenti di sacrificio et altre cose. Pure chi havessi alcun Pescennio Nigro Gordiano vecchio Didio Giuliano, Pertinace Albino, Pupieno, o Balbino di argento ben conservati cavaria cio che volessi. Non ho visto M. Terenzio anchora. Quanto alle medaglie di Carthagine e vera interpretatione, ma non nova. La mia medaglia non ha la testa galeata, anzi coperta delle exuvie di lione, che sia Didone non credo, Venere piu presto quella che ha li delphini. questaltra ha del Hercule, ovvero del Alexandro. La cosa della palma di Eustathio sta beniss.o io credeva che alludesse alla colonia Phoenicia, et al nome di Poeni Populi. Della testa del cavallo siamo chiari per Verg.o ma in quella medaglia della palma, e il mezo corpo del cavallo, et è gran cosa che Verg non dica cosa alcuna della palma. Vedete Silio Italico che penso dica qualche cosa, et Steph.o dice la parolla punica. M. Pyrrho scrive copiosamente ogni cosa nel suo libro. Il vostro ΦΑΙΣΤΙΩΝ credo che sia ben interpretato, ecceto che del toro si potria vedere se fossi qualche fiume. Ho a caro che vi piacciano le mie interpretazioni, et delle Neapolitane mi confermo tanto più per quella vostra ΚΝΩΣΙΩΝ, et perche non è cosa propria di Napoli, anzi di molte altre terre, et il testimonio di Verg.o è chiaro delle cose di Dedalo in Cume. Parmi ricordar essere in Paterculo al principio non so che di questo. Vedetelo di grazia, et avvisatemi. Del C. Consid. penso esser piu sicuro, che del consecratio, ma il volto credo sia del dio Conso come nellaltra scrissi. Di gratia conservatemi quelle che sapete che non ho io Consulari, il Varrone et il Palikano sopra tutte, et il Ahenobarbo et l’altre. desidero saper, se il Palikano è con li rostri. Il mio Tutor Regni è stupendo. Il vostro L. Lent. C. Marc. Cos. col giove ignudo pare che sia quel Lent. Marcellino Cos. che ho io col symbolo di Sicilia. La medaglia di Hercule che suffoca il lione non credo che la habbia M. Gioan. franc.o anzi credo che sia quella mia. (...) Da Napoli alli tre di Marzo 1559” (BAV, Vat.lat.4105, cc. 45rv; Agustin 1772, Opera Omnia, vol. VII, Lettre V, p. 234).  
Lettre du 15 mars 1559 (de Piedimonte d'Alife, aujourd'hui Piedimonte Matese): "Dottissimo & amicissimo M. Fulvio. La notte avanti che io partissi di Napoli hebbi la vostra delli IIIJ. e così non risposi, hora dirò che mi fu molto cara. Non accadeva ringraziarmi, ne egli ne voi del negozio del Sig. Alexandro Cervino. Hò à caro intender la Cifra delle Medaglie havute e barattate, & à quel modo desidero che le habbiate tutte. La medaglia dell’Ercole che tiene le due Serpi in mano con lettere ΚΡΟΤΩΝΙΑΤΑΣ. è assai bella, ma il Sig. Gioan Francesco la stima troppo; l’altra con la testa di Giove non sò qual sia. Credo certo che haverò alcune presto, e tra esse il Casca Longus; il Dido Giuliano di bronzo mi sarà caro, benche hò per le mani un’altro. Se si potesse haver quello di argento di Piero Luigi mi saria tanto più caro un M. Aquilio con una testa assai bella come di Augusto con raggi del Sole, con una biga di roverso con tre stelle di argento hò avuto hora: & un Marco Aurelio di bronzo trovato in una vigna del Vescovato. Inscrizzioni hò mandato molte al Padre Ottavio, fattevele mostrare. Il Lione suffocato & il Casca Longus vi mandarò come le habbia. Desidero saper che Poeta era quello che diceva già F. Onofrio che haveva il Seripando Arcivescovo di Salerno, parmi che dicesse Epicarmo. In un altra vi scrissi haver visto li suoi libri, ma allora non mi ricordai di cercar tal libro. Ut aliud ex alio. Palæpolitani Cumis oriundi•Cumani Chalcide Euboica originĕ trahunt. Classe qua advecti ab domo fuerant multum in ora maris ejus, quod accolunt, potuere &c. Livius lib. Vlll. pag. 188. notate questo per le Medaglie del Minotauro. Havendo scritto fin quì ho ricevuto cinque Medaglie di argento quali dirò, un M. FOVRI, L. F. PH ILI colla testa di Jano e la Vittoria che corona un Trofeo, un L. IVLI. con XVI. dietro la testa di Roma, e di rovescio li Castori à Cavallo; un M. ACILIVS M. F. scritto attorno la testa di Roma, dell’altro canto una Quadriga con un Marte ò Quirino (come credo) in essa, hà nella destra una clava, e nella sinistra un Trofeo, medaglia mai vista da me, e queste tre sono belle e ben conservate. La quarta è guasta nella testa, ma è come di Roma galeata, nel rovescio è uno à sedere in una bassa sedia, & alla sinistra stanno quattro figure la prima è di Soldato: alla destra tre ò quattro altre con le mani e bracci chinati alla figurina assisa; dietro la testa di essa è un longo bastone che tiene di sopra un non so che a modo di Trofeo, di sotto sono alcune lettere, le quali non si leggono eccetto un M.& un V.* Parmi haver visto un’altra Medaglia simile in Vienna appresso l’Imperatore ma in vece di lettere era IIIX. Voi mi diceste haver visto una appresso un banchiero con non sò che lettere. Di grazia datemi avviso che cosa cè di più, e chi la habbia, ovvero altra simile. Havea pensato che fosse qualche dedizione come quella della Medaglia di TI. VET. ma perche in questa par che la figurina seda honoratamente, dubito che sia qualche inaugurazione di Numa, ovvero altro Rè, con li Sabini d’un canto, e li Romani dall’altro. La quinta Medaglia era un quadrigato di M. FAV. C. F. havea l’anima. In due Medaglie di bronzo dall’un canto è un Cavallo con queste lettere ΑΡΠΑΝΟΥ. dall’altro un Toro con queste ΠΕΛΛ. desidero saper di qual Città siano. Questo basti hora; state sano. Da Pedemonte alli XV. di Marzo del LIX.” (Agustin 1772, Opera Omnia, vol. VII, Lettre VI, p. 234-235).  
Lettre du 6 avril 1559 (de Piedimonte d'Alife, aujourd'hui Piedimonte Matese): “Hor vengo alle Medaglie. L’Erculetto farà соn questa, vorrei che vi piacesse assai, l’altro con le serpi hò in Roma. Il luogo di Paterculo mi conferma in questo, che li Cumani havessero causa di far il Minotauro non solamente per Dedalo fabricatore del Tempio suo, come dice Vergilio e Servio, ma etiamdio per esser discesi dalli Ateniesi, e così nelle loro Colonie, come Napoli, restasse tal impresa. Il Palikano ad ogni modo mi sarà grato, & il Didio Giuliano, teneteli apresso di voi, e non barattate quelle che servate per me, perche io vi moverò lite, havendo mille promesse nelle lettere sottoscritte di man vostra. Il Casca Longo credo certo che vel potrò mandare da Napoli. Desidero che fate quella bella fatica sopra l’interpretazione delle Medaglie, ma ditemi un poco disteso il modo, che io vi potrò avvertire di qualche cosa. Mi havete rallegrato assai con dirmi tante belle cose come havete, e mi par mille anni à vederle una ad una. Del C. FLAV. HEMIS. non sò altro, ne mi ricordo haver visto tal cognome, benche trà li Storici sia Cassio Hemina, così però esser qualcuno di Casa Flavia detto Hemis, potria esser Hermes se fosse guasto, ma non credo costui sarà del tempo delle guerre civili de Triumviri, ò lì vicino, benche in tempo di Sylla fu un C. Flavio Fimbia amazato in Asia, e potria esser costui suo parente e Legato e Propretore. Vedete se tra Percussori nominati in una Philippica forse la II. fosse alcun Flavio. Quanto alla Medaglia Greca dove è l’Ape*, non hò libri da cercare ma mi immagino che sia Melissa qualche Donna Poetessa, come Saffo buona compagna che andava per molte Isole e Città di Grecia, onde per lascivia de i battitori di moneta fecero l’animale del suo nome, e qualche autor Greco dice che fu un obolo così detto. Cercate Svida & altri in questa parola il ΞHΝHΣ. voglio che sia in vece di ΞEINIΣ, e sia detto per quella Melissa hospita, eccetto se non è nome di Terra. La testa di Cervo colla palma mi imagino che significhi veloce Vittoria, come nelle Medaglie de Pisoni la Vittoria à Cavallo correndo, ovvero essendo le lettere ΕΦ. significa Vittoria d’Efesii dove era il Tempio di Diana in cujus tutela sunt Cervi. Questi ho detto per aprir la strada à trovar altre interpretazioni, se in queste non indovino cosa alcuna. Della Medaglia di M. Pletorio con quel Sors, appena che vi credo, pure stando così, dirò, che cecidit Sors super Matthiam: quando dice Livio e Valerio Massimo che fu data ad un M. Pletorio (non Lectorio) la dedicazione del Tempio di Mercurio, essendo egli Centurio primi pili: cosa fatta a posta per vergogna de Consoli, essendo lasciato a giudizio delli suffragj del Popolo, potria esser che frà Centurioni fosse messa la sorte, ovvero che Sors era il Dio de i Comizii, perche ad ogni modo nel cavar le Centurie, ovvero le Tribu prerogative era sorte. Potria esser ancora Pletorio di Preneste dove erano le Sorti, & il Tempio della Fortuna. Hà la testa di putto, perche essi si governano a caso senza ordine nè discrezione, e perche i putti cavavano le sorti essendo innocenti senza malizia, ancora perche sono allegri, e la Sorte buona fa rallegrare e rimbambire li vecchi. Il Cornificio augure non sò come sia fatto. Un C. Sulpicio con le teste delli Dei Penati con lettere D. P. P. hò avuto di roverso li medessimi. Dii in piede con un Porco non sò perche, è duplicata e bella quella Medaglia d’Augusto con molte lettere di roverso interpretata da me, quod viæ munitæ sunt ex ea pecunia, quam is ad ærarium detulit. Trovo in Svetonio nella vita d’Augusto: quo autem facilius undique urbs adiretur desumpta sibi Flaminia via Arimino tenus munienda, & postea in Cœllam Capitolini Iovis sexdecim milita pondo auri, gemmasque ac margaritas quingenties HS. una donatione contulerit. Parmi ricordare che mi dicesti in Roma haver visto una Medaglia d’argento dove era Italia con molte persone attorno uno che sedeva ò giaceva. Credo haver una simile come in altra scrissi, e forse è delle monete fatte in Corfinio, detta Italica per la congiurazione lì fatta di tutta Italia contro il Popolo Romano, secondo che dice Strabone, e credo Appiano & altri, & hora nell’ultima vostra vedo che è così, che dice Italia; procurate di haverla per voi e per me, ma nella mia credo che dica M. AVREL. Il Sig. Faerno con la pugna Cannense delli suo ilibri non si ricorda che non mi mostrò mai, ne prestò il suo Graziano, ne lo viddi mai, rendeteli mille saluti. Quel vostro admissus in regnum potrà star bene secondo le parole che siano congionte, perche secondo l’esempj del Nizolio non vuole dire li fu dato il regno, ma li fu permesso intrare nel regno. Il Plauto in Boetiis credo stia bene. Il mio andare a Sicilia penso che sarà certo più presto che nò, eccetto se S. Santità non l’impedisse. Dictum puta delle Medaglie Sicule e Libri, & Iscrizzioni. Non so come non havete saputo trovare il libro de Legib. ma non importa. State sano. Da Pedemonte alli VI. di Aprile MDLIX.” (Agustin 1772, Opera Omnia, vol. VII, Lettre VII, p. 235-236).  
Lettre du 17 avril 1559 (de Piedimonte d'Alife, aujourd'hui Piedimonte Matese): "Di grazia Sig. Fulvio excellentissimo & amicissimo non mi scrivete con tanta fretta, che in iscusarvi della strettezza del tempo, empite un foglio, dove mi potreste haver mandato l'indice delle vostre brave Medaglie, e tre ò quattro brave interpretazioni" ; "Hebbi l'altro dì una Medaglia di L. SCIPIO. ASIAG. è pur gran cosa che in tutte stia così. (...) Hæc hactenus. Valete. In Pedemonte alli XVII. di Aprile MDLIX." (Agustin 1772, Opera Omnia, vol. VII, Lettre VIII, p. 236).  +
Lettre du 29 avril 1559 (de Piedimonte d'Alife, aujourd'hui Piedimonte Matese): "Per ricordarmi (carissimo M. Fulvio) delle nostre delicie delle Medaglie, e di voi spesso, anzi sempre non mancarò con ogni occasione di darvi avviso delle Medaglie nuove, e di qualche interpretazione, e di alcuni pensieri a quello proposito, e benche siano impoliti e rozzi come nati in queste sassose montagne del Samnio il desiderio di aggradirvi faranno la scusa. Hò nelle mani una Medaglia di bronzo come penso NEΟΠΟΛΙΤΩΝ. benche le lettere siano in gran parte fuggite, ma la testa di Donna coronata di Lauro è come in molte altre di quei Popoli, eccetto che dietro quella par che si vedano queste tre lettere ΣΥΠ: dall’altro canto è una Lyra appoggiata ad un monticello [come penso tumulo della Sirena Partenope] & al basso doppo le lettere dette prima, un caduceo di Mercurio; non accade dirvi che Strabone, Plinio, e Vergilio, e l’interpreti confermano essere in Napoli tal Sepolcro, e cognome. Ma aspetto da voi l’interpretazione di quelle tre lettere se d’un nome solo sono, di quale? ovvero di due, come saria Sirena Partenope, e che fosse di essa la testa. Desidero sapere se Syrena si scrive, ovvero Sirena; e perche causa. Item se vi è capitata mai altra simile, ò sapete chi l’abbia, vedete se stà come io mi immagino in questa. Leggendo in Plinio alcune cose grandi di M. Sergio lib. VII. cap. XXVIII. mi sono ricordato esser nelle Medaglie M. SERGIUS SILUS (se ben mi ricordo) con una Statua equestre, & una spada in mano, vedete se si può applicar ad esso. Item lib. VIII. cap. XVI. che Lisimaco strangulò un Leone essendo da Alessandro serratto in una stanza con esso, vedete se in quelle piccole Medaglie è più presto Lisimaco che Ercole. Item lib. XII. cap. I. in fine dimostra la causa perche si trova nelle Medaglie ΓΟΡΤYΝΙΩΝ. Europa col Toro: dicendo egli haver in Gortyna una bella fontana con un Platano del quale scrivono molti dotti Greci e Latini, e che sotto quell’ombra Giove sforzó Europa. Aspetto li nomi di questi Dotti con altre belle cose à questo proposito. Desidero ancora sapere se nelle Medaglie in Smirna si trova Mater Deorum turrita, perche Plinio dice esserli dedicato un Tempio lì cap. IIII. lib. XIIII. Se in quelle de Locrensi fosse un fulmine, ovvero altre cose pertinenti ad Eutimo Olimpionico e Dio del quale parla Callimaco; leggete Plinio lib. VII. cap. XLVII. Se trovate M. Pirro salutatelo à mio nome, e diteli che hò una Medaglia di Commodo con un roverso di esto Commodo nudo con una clava in mano imitando Ercole, & appresso è la Dea Iside con testa di elefante & un Sistro in mano, & alli piedi una testa di Leone, che non havendo tal roverso nel suo Libro li mandarò un disegno. Scrivono li Istorici che Commodo quando portò quelle Isiace cerimonie per la terra urtava hor questo hor quello col naso, ò proboscide. Hò ricevuto la vostra delli XXII. con la alligata del Sigonio, al quale scrivo io come vederete nella sua che apposta la mando aperta, e potrete veder le parole latine, le quali non vi piacendo, ò mancando altra cosa fate voi altro polizino, e stracciate quello. Mi pare mille anni à vederlo fuora, Sed sat cito, si bene. Quella Medaglia di due Fortune Reduce & Аntiatum desidero havere. Mandatemi in una inclusa il Varrone Medaglia, la stampa del Ser. Sulpicio farò gettare se potrò, del resto delle vostre nuove, item del Libro mi movete grand’espettazione, e desiderio. Della Cloacina hò trovato non so che in Plinio lib. XV. cap. XXIX. credo bene che lo haverete notato. Del Gelone vostro hò piacere. Non altro, state sano. Da Pedemonte аlli XXIX. d’Aprile MDLIX.” (Agustin 1772, Opera Omnia, vol. VII, Lettre IX, p. 236-237).  
Lettre du 13 mai 1559 (de Piedimonte d'Alife, aujourd'hui Piedimonte Matese): “Del Varrone vi ringrazio, è assai bello benchè un poco suspetto dalla parte del volto, pare che sia stato imbrattato con volerlo gettare: pure credo sia antico, e un termine di Numa come penso, & il rovescio dello scettro tra l’Aquila e il Delfino, significa l’imperio di Giove e Nettuno à Pompejo Magno, dal quale hebbe Varrone la Corona navale contra li Pirati come dice Plinio in due luoghi. Sono intrato in fantasia che Pompejo descendesse da Pompo figliuolo di Numa per adulazione de suoi, leggete Plutarco nel fine della vita di Numa, benche le parole sono guaste; ma M. Pirro vele indrizzarà, se voi non saperete; è bello quel granchio del ΒΡΕΤΤΙΩΝ. Credo che dica non sò che de Pompilii, la qual Casata non si trova, ma nella vita di Pompejo lo dovrebbe dire. Horsù questa nostra Scienza caballistica delle Medaglie vuol questo. Ricordatevi di quella Medaglia di Pisone col roverso CN. MAGNO, e la testa di Numa, la quale hà due allusioni, & al Magno, & al Pisone, come derivati di un sangue comune di Calpo e Pompo figliuoli di Numa. E perche sarà lecito al Questore, ovvero Proquestore metter li suoi antecessori, e non quelli del suo generale? Di Pompo dunque dicevano venir li Pompej, e li Pomponj, come si vede nelle nostre Medaglie. Delli Calpurnj è in Horazio nell’arte poetica, ad Pisones Pompilii sanguis, ovvero Pompili, il qual verso se ben mi ricordo non fa contro la vostra osservazione delli ij nel genitivo. II vostro Asiatico Getulico mandatelo à M. Gentile, ovvero in Getulia come l’Asia Capta di un Amico nostro, per dir Getulico haverebbe scritto più lettere, & era cosa degna di leggersi due cognomi di due Provincie sottoposte all’Imperio Romano, pure vedete se Appiano parlando delle guerre d’Africa dica da chi fu la Getulia sottoposta, che penso sia tutto falso. La vera interpretazione è, che quel ASIAC. ò ASIAG. vuol dire Asiatico, e fu compendio ovvero errore dello Stampatore. Il Granchio del nostro M. Pirro hò in argento in Roma col ΒΡΕΤΤΙΩΝ. chiaro, e voi non foste ignorante, ma poco accorto. Del Sappho faremo fuochi e girandole come della Pace, & il luogo di Aristotele è bellissimo per trovare Archiloco tra le monete di Parij, come Homero e Sappho de quali parlava Polluce, il scriver ΜΥΤΙΛ. è vero ben confermato con medaglie e Stefano. Del M. ACILIO BALBO ho piacere, dello Strabone con Europa non mi ricordava, e forse C. CESARE L. F. Strabone del quale Cicerone scrive nelli libri de Oratore, e nelli Officii, che fu tanto buon Poeta & Oratore, e molto buon parlatore e facetissimo, di costui havete l’Epitafio bellissimo andando à S. Maria Maggiore, credo che velo mostrai una volta, fu fallamente giudicato Padre di Cesare Dittatore, & è falso ancora che si chiamasse Lucio il Padre di Cesare, essendo chiaro per li Fasti Capitolini CESARE C. F. C. N. L’Europa era nelle Medaglie di Valerij, se non hò mala memoria. Del Pio e Magno per Appiano mi piace, & in confermazione aggiungete una delle ultime Philippiche di Cicerone, dove nel far il S. C. lo chiama SEX. POMPEIVS. C. N. F. MAGNVS, e credo che promette farlo Augure in luogo di suo Padre. Di Planco e di Didio e Valerio Flacсо hò piacere, oltre il Didio di Sallustio vedete Appiano nelle guerre di Spagna, & avvertite a Didio, & à Postumio Albino con Hispan. Item al mio LEPIDUS. AN. XV. PR. H. O. C. S. non so se si trova stampato in Greco, ma io l’havea in volgare in ottavo stampato con tutto Appiano, credo nella stanza dove è la tavola di bronzo. Leggendo in Plinio hò trovato alcune cose per Medaglie & altre per li Autori Greci, come è un verso di Sofocle in Triptolemo: Et Fortunatam Italiam frumento cancre candido. lib. 18. cap. 7. e nel medesimo cap. dice di Menandro: Antiquissimum in cibis hordeum Atheniensium ritu. e lib. 19. cap. 6. un’altra cosa di Menandro, ma non sò se è il Comico, ovvero altго, del quale nel principio di Plinio, dove si trovano li nomi di Autori à ciascun libro: Ex Menandro qui Hiochresta scripsit. Ma nel 20. cap. 22. Blitum iners videtur, ас sine sароге, aut acrimonia ulla, unde convicium fœminis apud Menandrum faciunt mariti, io leggerei fœminæ faciunt maritis. Nel lib. 30. cap. 2. Menander literarum subtilitati sine æmulo genitus Thessalam cognominat fabulam complexam ambages fœminarum detrahentium Lunam. Torno alle Medaglie; ricordatevi delle Leontine dove è una testa di Lione, e certi grani di frumento, oltre il luogo delle Philippiche, credo nella seconda Plinio lib. 18. cap. 10. Cum centesimo quidem, & Leontini Siciliæ Campi fundunt, penso ancora si trova una figura in piede, la quale desidero che sia Gorgias Leontinus, cui prima statua aurea statuta est, in Cicer. & Plin. Alla Medaglia FLORALIA PRIMVS Plin. lib. 18. cap. 29. all’altra di P. CLODIO colla corona radiata, idem lib. 21. cap. 3. in princ. Alle Medaglie di Coo con Esculapio lib. 29. cap. 1. Hippocrates genitus Insula Coo in primis clara ас valida & Æsculapio dicata ubi templum &c. Del Caduceo di Mercurio belle cose lib. 29. cap. 3. in fine. Delli Fiumi di Thurii li quali forse sono nel Toro rappresentati nelle monete Θoρίων. ex Theophrasto. Idem lib. 31. cap. 2. Dell’acqua Marzia & anco lib. 31. сар. 3. e lib. 35. cap. 15. in fine. Del BON. EVENT. lib. 34. cap. 8. Del triente della Famiglia Servilia lib. 34. cap. 13. in fine. Io ho una Medaglia di argento con queste lettere C. TER. LVC. Trovo in Plinio lib. 35. cap. 7. Pingi Gladiatoria munera atque in publico exponi cœpta a C. Terentio Lucano, ma nelle cose stampate in essa non ci è cosa a proposito, se non una biga ordinaria, così mi basta credere che potesse leggerli così. Nel lib. 35. с. 10. in medio: Nicoma hus primis Ulix additit pileum, pinxit & Apollinem, & Dianam, Deumque Matrem in Leone sedentem. A proposito di Mamilio Limetano dove è Ulisse col pileo, ed altre con la matre del Lione. Ricordatevi del mio Spinther col bel vaso e lituo, leggete delli belli vasi che trovò costui in Plinio lib. 36. cap. 7. in fine. Del Nilo con li XVI. putti nel medesimo capo. Di Sylla con Jugurta lib. 37. cap. 1. La medaglia colla Sphynge non sò di Carisio ovvero d’altri, potria alludere al sigillo d’Augusto, del quale Plinio e Svetonio scrivono. Come un’altra col ranocchio al sigillo di Mecenate. Del Systro trovo belle cose in Isidoro lib. 3. cap. 21 in fine etymol. dell’uso d’Iside & Asiaci & Amazone. Desidero sapere se havete visto mai medaglia Greca con obelisco, perche hò alcune belle cose à proposito con altre che dirò in un’ altra, che hò disegnate per voi, che sì che vi hò servito questa volta? Lasciate carta bianca per aggiungere nel vostro libro, e non vi rincresca delle mie lettere longhe, e per penitenza scrivetemi più longhe, e state sano sopra tutto. Di Pedemonte alli XIII. di Maggio MDLIX.” (Agustin 1772, Opera Omnia, vol. VII, Lettre X, p. 237-238).  
Lettre du 29 mai 1559 (de Piedimonte d'Alife, aujourd'hui Piedimonte Matese): "Magn. Sig. Fulvio Carissimo semper aliquid Africa offert novi. Hò comperate ventidue Medaglie d’Argento par 35. Carlini quasi tutte duplicate, e così saranno al certo vostre se le giudicarete degne dell’Erario vostro. Dirò le più insigne, e la prima, e l’ultima è una Musa, la quale non so se hebbi da voi in Roma, è appoggiata ad una colonna colla mano alla gola meditando, e nell’altra distesa inanti par che habbia due tibie, о come in Roma ci pareva un volume di versi, e l’imponessimo nome di Calliope, perche in vero nel resto la positura è simile à quelli pili, che feci io cavar in disegno, dove era costei la prima delle muse. Hora credo siano tibie, e così sarà Euterpe, se così hà nome quella à chi si danno. Parmi ricordar che habbiamo sei fin hora. Thalia della Commedia, Melpomene della Tragedia, due che sonano la lira Terpsicore & Erato, (battezatele come vi piace). Urania colla sfera, e costei delle Tibie, mancano tre: Calliope, e Clio, & una che balla credo Polymnia. Vengo all’altre duplicate. Un M. ACILIO VALETV. & salute con quel roverso solito dell’HYGIA; un M. AQVILIO, con SICIL. ET VIRTUS, dove un soldato alza un amalato. Credo sia quel M. AQVILIO, quem defendens Antonius (sive Crassus) ejus deloricavit tunicam & ostendit cicatrices adverso pectore suspectus; benche in Cicerone dica M. AQVILIVS. Un LONGIN con la testa di Vesta, e quel Senatore con la tabella, forse Cassio quel giudice tanto rigoroso, ò vero per la legge Cassia Tabellaria. Quella della Cività Q. THERM. MF. la quale voleva che fosse di Cesare M. Gentile nostro. Una di CN. LEN. Q. EX. SC. col genio G. P. R. il scetro, la corona, il timone, & il mondo, come vincitore, e patrone del mondo per mar e per terra, & hora appena Signori di Tivoli. Un FARSVELIO MENSOR colla libertà e biga. Un M. FONTEIO colla capra, & amore, e due stelle, e fulmine, cose hierogliphice fin hora. Un bigato di L. FLAMIN. CILO. Un L. HOSTILIO SASERNA con una Vittoria senz’ale, ma carica d’un trofeo e d’un Caduceo. Un SEX. NONIO SVFENAS PR. L. V. PF. colla testa di Saturno. Un M. PLETORIO ÆD. COR. colla sella, e Cybele turrita. Un Q. POMPEIO RVFO, E SVLLA COS. senza le teste colle sedie sole. Una medaglietta improntata d’un canto, dove è Nettuno adirato contro il goffo Mastro che la fece, e queste lettere: ΠΟΜ. VLO. Credo che volessero dir Romulo, il quale fece à Nettuno Equestre li giochi Consuali, di quali dice Ovidio: Romule militibus sciti dare commoda festis. Item per le medaglie, dove si trova: REX ARETAS. non sò se sia di Scauro Ædile, ò d’altri. Si fa mentione di costui nel lib. IJ. cap. V. de Maccabei, e nell’epistola IJ. cap. XI. ad Corinth. benche non puo essere il medesimo, che ci vanno CC. anni dall’uno all’altro. Ma si vede che fu l’uno Rè dell’Arabi, l’altro Sig. di Damasco, e forse in Josepho trovarete che fu Socero di Erode Tetrarca. Parmi che si trovi una medaglia con un ponte dove dice LEP. al sicuro Æmilius pons. Dice Marcellino lib. XXVI. (secondo che trovo in Blondo) ab Æmilio Scauro: io credo può alla medaglia, e penso fossero i Lepidi differenti da Scauri, ancorche d’una famiglia di Æmilii. Di Melissa Concubina di Carneade fa mentione Valerio Maximo lib. VIII. cap. VII. à proposito di quella Greca, dove еrа l’аре, & il Lexicon greco dice che fu una moneta così chiamata. Vedete da chi lo piglia. Del Lisimaco suffocatore del lione lib. IX. cap. IIJ. Della statua di Gorgia Leontino lib. VIIJ. cap. ult. Delle corone di Oliva di due rami fatte, come in molte medaglie Greche, & alcune Latine, lib. II. cap. I. ὁδων πάρεργον. In Constantino Lascari trovo citato un certo Q Ноmericissimo, desidero saper se havete quel libro, e di che cose tratta. Di Feronia Dionys. lib. IIJ. referito da non sò chi la chiama ἀνδρόφορον, φιλος έφανον ò vero φερσεφόνην. Di Minerva Tritonia, ò vero Tritogeria, come si vede le medaglie Greche nella galea un Tritone trovo citato un luogo d’Aristofane ma non sò dove, & in Festo credo sia non sò che. Delle monete de Samij trovo una detta σαμόινη, del qual nome secondo Plutarco relato dal Lexicon Greco fu un certo navigio; vorrei saper dove lo dice Plutarco, e se fa à proposito di qualche Medaglia. Nel medesimo trovo che li Oboli furon detti per haver scolpito un Obelo, ò vero Obelisco, il quale rappresentava li raggi del sole secondo Plinio lib. 35. cap. 8. è citato Phocione per questo non so dove. Item κολύμσων numismatis genus. Saria mai quello de Tarentini?" ; "Torno alle Medaglie; se la Medaglia dove sono LARES è di L. Valerio, come io mi imagino, trovo in Val. Max. lib. IJ. cap. I. quel primo Valesio che diede origine alli Ludi Secolari nell’infirmità de suoi figlioli haver preghato li suoi Lares familiares da quali forse viene ancora il nome Valesii quasi Laresii, benche Zonara dica che à Valetudine io credo di qualche Valeso, o Voleso come penso che si trova nelli Fasti, & in una basi di M. Achille. Larei fono Dij Sabini, e prima si dicevano Lases: come dice l’uno e l’altro, Varrone, così Valesii & Valerii pur Sabini, credo ancora Fusii & Auselii, qui postea...Furii & Aurelii dicti. Volete una più bella fate sonar le саmapane, accender lumi e le girandole, e paghatemi la mancia, che hò trovato l’interpretazione delle lettere dove P. Ottavio, & io andassimo à Capitulo. M. LEPIDVS. AN. XV. PR. H. O. C. S. (vedete che voglio una bella medaglia delle rare) M. Lepidus annorum quindecim Populi Romani hostem occidit civem servavit. Non lo credete? Se trovo un Autore che lo dica, che direte? Or su leggete l’infrascitte parole : Æmilius Lepidus puer etiam tum progressus in Aciem hostem intremit сivem fervavit. Cujus tam memorabilis operis index est in Capitolio statua bullata & incincta prætexta S. C. posita. Vedete nella Medaglia la statua equestre, la qual cosa tacque l’Autore, item con un Trofeo, ò vero ferculo, al modo di quelli, qui opima Spolia Jovi pheretrio ferebant. Tocca questo il predetto Valerio Maximo lib. IIJ. cap. I. dicendo ancora : inter quæ Æmilia gentis pueritia coronam mereri spolia rapere valuit. Degnatevi veder Plutarco se dice questo & altri libri, perche io non hò alcuni. Se non vi piacesse quel PR. interpretare Populi Rom. dite prætextatus, perche in vero nella Medaglia non si vede punto in mezzo. Non so se vi è nella vostra Questo M. L. credo che sia quel medesimo Tutor Regis Alexandrini non quel Triumviro il quale hebbe ancora una cosa simile del figliuolo di Prisco Tarquinio, cum in prætextæ annis occidisset hostem bulla aurea donatum constat &c. & in Macrovio lib. I. Saturn. di Africano si narra altro e tanto in Livio, e Plinio, & altri qui civicam recusavit à patre Consule servato. Non posso rispondere all’ultima vostra per la celerità della mia andata in Sicilia. Adio Sig. Fulvio e tutti l'Amici. Di Pedemonte alli XXlX. di Maggio MDLlX.” (Agustin 1772, Opera Omnia, vol. VII, Lettre XI, p. 238-239).  
Lettre du 5 juin 1559 (de Messina): "Alla vostra lettera delli XIX dellaltro rispondo hora di qua delle Carybdi et Scyllae che mi fu cariss(im)a con tanta gran copia di interpretatione erudite delle medaglie. Et quanto al Pisone Prefetto di Pompeio è buono il luogo di Appiano, ma non contradice al capriccio mio, che li Pisoni, et Pompei, fossero descendenti di Numa, et battese l'autore commune piu presto, che il propio. Nasidio stampo la testa del suo capitano, non la sua: ma come testa divina la honoro etiam col delfino et tridente, come ad altro Nettuno; nota est historia. Il ASIAC. overo ASIAG credo sia compendio o errato o affettato, et il intiero si legge nelli Fasti capitolini come penso. (...) Del LVCRIO non vi scartate cosi presto: perche credo si trova anchora, ma non so dove. Spinther non credo fossi P.M. ma augure, perche Cesare fu Pont(ifex) Max(imus) solo in quelli tempi, et credo morisse Spinther prima di Cesare, al manco Cesare non lo dice nel lib. 1. delle guerre civili; scrivetemi le parolle che dice. So bene che il vaso et lituo significano il Augurato, ma quel bel vaso tanto differente daltri, ha doppia interpretatione, et e piu bella inventione; io lasciai quella piu nota. Del Q. Cornuficio ho piacer, benche mi è novo. Credo si trova citato Cornificio da Quintiliano, et alcuni credono sia sua la arte di rhet(ori)ca ad Herennium, in quib(us) il nostro don Basilio q(ondam) Zanchio. Desidero saper quali siano le vostre otto Muse. Come le teste di Pansa overo Plutone ho un Pisone di quelli che correno il pallio, et sopra il cavallo et il puto, o Vittoria è una testolina simile. Piacemi quel luogo di Phurnuto. Di M. Antonio coll'hedera è cosa certa et chiara. Non mi piace, che dove chiaramente si legge LEIBERTAS facciate Concordia per solo il velo, il quale si da a tutte le virtu, et dee minori; tanto piu Flaminio, et altri. Quel luogo di Cicerone applicato a questo, et alla Concordia non mi par a proposito. Piu presto alla legge tabellaria Cassia si puo applicar la liberta: ut sit libertas in ferendis suffragiis. Manco credo siano di due leggi quelle due medaglie di Q. Cassio et di Longino, ma piu presto d'una sola Cassia tabellaria introdotta da L. Cassio Longino della quale, et delle altre tabellarie Cicerone lib. III. de legib. Quella lege, ut quem populus damnasset etc. fu fatta contra Popillio Laenate et altri simili damnati et non fu degna di grande honore. Quella di PISO CAEPIO sta ben interpretata. La cosa delli epuloni di Caldo è vera anchora. Nelle parolle tradotte da Suida de Moneta, non mi piace quello che dicesti: quod numisma i(d est) moneta inscripta in eius templo asservabatur. Vorrei che si leggesi quod nummi i(d est) moneta signata in eius t(emplo) a(sservabatur). Credo Cicerone et Livio dicano Moneta a monendo, quod monuerit, ut caveret nescio quid. Pure si potra dir l'un et l'altro. Delli Lari sta bene. Del termino di FRVGI non vedo cosa degna di dirsi. Del Cassio Longo et Servilio Casca credo sia vero. Il luogo di Dione della medaglia EID. MAR. mi era noto. Di Cerere colla conochia credo dica Plinio anchora non so che; non so se trovasse quella. La cosa di Torquato non è splicata anchora. Del mancar il .S. et il M seguendo vocali ce molti auttori, et si vede nelli poeti, et nelli piu antiqui si toglie il S. etiam sequente consonante. ma non per questo si dovrebe lasciar nel scriver. Di TRIVMPVS ce la ragione che dice Cicerone. Del PILIPVS quella medesima et altra che dice Festo, che li antiqui non duplicavano le consonanti. De Victrice Catonis in Livio et P. Victore pro Virgine credo esser stato io il primo, multum latrante Lycisca i(d est) M(esser) G. Faerno, et ha il torto: anchora che è di materia solida che non si puo storcer facilmente come una meza colonna. Del Iuno Sospita Maxima Sororia non accepto questa sororia, vorrei Servatrix piu presto, o altra cosa, ma piu presto credo sia errore, vedendo si in tutte l'altre R che vol dire Regina cognome di Giunone indubitato. Ho risposto alla vostra et non ho altro che scrivervi (...)" (Vat. Lat. 4104 f.352; Carbonell i Manils 1991, pp. 423-432).  
Lettre du 20 juin 1559 (de Messine): "Di medaglie hò avuto due d'argento, le quali hò molto care, un Hieronymo Rè di Siracusa il cui ritratto l'ho in altre medaglie in Roma, ma senza nome. Le lettere dicono: IEPONYMOY. BAΣIΛEΩΣ. KI. Quel KI. è contrasegno della Zecca, ovvero nome della terra Cithara, ò altra dove fù battuta. Hà di roverso un Fulmine molto bello. Fu questo l'ultimo Rè del tempo di M. Marcello. L'altra medaglia è d'un Rè de' Goti che non so in qual tempo fosse. DN. REX.CVNTHA. NVNDV. queste sono le primizie di Sicilia, come havrò altro di buono vi darò avviso" ; "Post scripta. Delle Historie di Sicilia si cava interpretazione di alcune medaglie, verbi gratia MEΣΣENIΩN. Quadriga & Lepus ab Anaxila, qui Messanam condidit, & Leporem en Italia in Siciliam primus intulit, & in Olympiis quadriga vicit Aristoteles lib. 3. Rhet. Pollux lib. V. Idem in Rhegynorum mammis, quod utriusque Civitatis Tyrannus fuit. Per le medaglie d'oro colla testa di Apolline, e colla Tripode nelle monete Siracusane, si trova in Pausania lib. V. & in Plutarco e Strabone come Archia fondò Siracusa, & al medesimo tempo Miscello fondò Crotone, & hebbero per Oracolo Delfico, che Siracusa saria ricca Città, e l'altra più sana, le parole dell'Oracolo recita Pausania, e di quelle di Crotone Strabone, come un'altra volta scrissi; e tornando al Lepore forse che nelle medaglie de Locrensi si vede l'Aquila col Lepore per dimostrar qualche vittoria de Locresi contro i Messanesi. Io hebbi in Roma credo dal Card. Vitelli una medaglia di Taurominio, ovvero d'altra Città di Sicilia con la testa di Apolline, & il cognome Archagete, si trova in Tucid. lib. VI. & Appian. lib. V. Græcorum primi Chalcidenses ex Euboea in Siciliam transeuntes cum Theocle Naxum Coloniam deduxere & Aram Apollini Archagetæ statuerunt. V. S. veda se questi Autori dicono questo, perche io lo cavo da altri; è bello che tengono quà due teste in gran venerazione l'una come di Scipione, l'altra come di Annibale, & il Vice Rè le fece cavar di getto, e subito le riconobbi esser l'una Adriano Imp. l'altra L. Vero fratello di Marco" (Agustin 1772, Opera Omnia, vol. VII, Lettre XIII, p. 240).  
Lettre du 22 juillet 1559 (de Messine): “M. Fulvio singolarissimo e carissimo. Non spenderò parole in rispondere alle vostre delli XVII. di Giugno e VII. di Luglio, ne dirò del Festo altro, se non che trovo alcuni errori , e che bisognerà riscontrarlo un’altra volta con l’originale, il quale bisognerà ricuperarlo da M. Carlo al quale resto però obligato assai per la fatica usata. Alle medaglie hò visto qui cose stupende delle Greche mai viste, delle quali cè un Sonatore di Liuto di esse innamorato, anzi pazzo, e spende le centinara di scudi, & ha cose rarissime. Pigliate le poste per venirle à vedere, farommi dar la lista à bell’agio. Hora dirò di quelle che hò avute, due d’argento assai belle l’una didrachma di una testa di Jove di mezzo rilievo mirabile con lettere ΖΕΥΣ benche non sia simile alli altri, di roverso una donna che sede in un’ara quadrata con un Caduceo in mano ΕΙΡΗΝΗ e poi ΛΟΚΡΩΝ. L’altra tetradrachma con una testa di Lione, ovvero una maschera di Lione stupenda, e dietro una testa di donna ΡΙΓΙΝΩΝ. Di bronzo hò havute molte, parte come quelle che hò in Roma, parte d’altre. ΙΕΡΩΝΟΣ di due sorti col ritratto, e la statua Equestre dietro. Altra la testa di Jove con il Tridente fra due Delfini. ΙΕΡΩΝYΜΟΥ ΒΑΣΙΛΕΩΣ, il ritratto col fulmine di roverso, questa hò in argento & in bronzo bella. ΑΓΑΘΟΚΛΕΟΣ ΒΑΣΙΛΕΟΣ. Una testa di donna colla faretra di Diana ΣΩΤΕΙΡΑ dietro d’un ΛΕΟΣ. Un Alessandro coll’exuvie di Lione in testa, e dietro una Minerva minante come dice Festo. ΜΑΜΕΡΤΙΝΩΝ. che è la Città dove son hora in varie sorti. Una la testa di Giove, con roverso di un Soldato che combatte di scuto e lancia, l’interpretazione è chiara che sia Marte detto Mamerte, del quale presero il nome costoro, come dice Festo copiosamente. La seconda di un giovane laureato la testa con lettere ΑΡΕΩΣ. di roverso un’Aquila sopra un fulmine. La terza una testa simile con roverso d’un Toro bravo. La quarta simil testa con roverso d’un Giovane che mena un Cavallo, tutte hanno un Π. come che Polluce fosse come credo al manco costui del Cavallo. PHΓΙΝΩΝ oltre di quella d’argento, un’altra di bronzo simile, e la terza di simil testa di Lione, e dietro una Lira; la quarta due teste di giovani pileati con due stelle di Castori col roverso un huomo nudo con un scettro in mano longo nella sinistra, e nella destra un uccello; la quinta una testa di Giove con una donna in piede, con una patera ovvero scudella nella destra di roverso; la sesta una testa di Jano con roverso di Jove in sedia appoggiato ad un scettro con un Π. appresso; la settima una testa di una donna ovvero d’un Apolline con roverso di un Tripode; l’ottava di una bella donna con li capelli nodati dietro come di Venere col roverso di un’altra donna in sedia con un scettro à traverso tenuto con un Π. ΣΥΡΑΚΟΣΙΩΝ. La prima una testa di Giove bellissima, ma dissimile d’altri con queste lettere ΖΕΥΣ ΕΛΕΥΘΕΡΙΟΣ. dietro un fulmine con un uccello piccolo. La seconda di una donna bella la testa coronata di foglie di canna, con un Toro di roverso. La terza una testa galeata come di Minerva, di roverso un Cavallo marino detto pistrice. La quarta una testa di donna in treccie, ovvero un Apolline con un Pegaso di roverso. La quinta una testa di giovane coronato di lauro con un Trofeo dietro, e di roverso un’AquiIa sopra con fulmine, in altra con un Cornucopia. La sesta la testa di Minerva galeata, e di roverso due Delfini hanno in mezzo una stella. La settima la testa di Giove, e nel roverso una donna a sedere. L’ottava simil testa, e dietro una donna in piè appoggiata ad un scettro. TAYPOMENΙTAN. La prima d’una testa di donna con roverso d’un Toro pacifico. La seconda simil testa e di roverso un Soldato appoggiato ad un’hasta ò scettro con una patera nella destra. La terza una testa di Giove con roverso di una donna in piè, con una Vittoria nella destra. La quarta una testa di donna laureata, ovvero di Apolline, con roverso d’un Tripode. La quinta simil testa e nel roverso una lira. KENTOPΙΠΙΝΩΝ. La prima una testa di donna laureata, e dietro un Citaredo. La seconda simil testa, e di roverso una lira. ΛΕΟΝΤΙΝΩΝ. La prima una testa di donna, e dietro un Lione mansueto. La seconda simil testa, e dietro mezzo Lione fiero. ΚΑΤAΝΑΙΩΝ. una testa di Ammone cornuto, e nel roverso una donna con le bilance nella destra AΙTNA. una testa di donna, e nel roverso un cornucopia & un gubernaculo. ΛΟΥΚΑΝΟ. una testa di Soldato barbato con un Pegaso nella galea, con roverso di Minerva in piede con galea, clipeo, & hasta ΒΡΕΤΤΙΩΝ. Una testa di donna la quale è coperta con un cancro, con roverso d’un altro cancro. La seconda una testa di Soldato come quella de Lucani con roverso di una Vittoria che corona un Trofeo. Medaglie di Cartagine, la prima un arbore di Palma con frutti, e di roverso una testa di Cavallo. La seconda una testa di donna coronata di foglie di canna, e di roverso un Cavallo avanti un’arbore di palma. La terza simil testa di donna, e nel roverso una testa e collo di Cavallo. La quarta simil testa, e dietro tutto un Cavallo. Un altra medaglia hà una testa di huomo barbato, & un’altra di donna, e nel roverso un uomo nudo appoggiato ad una colonna con un ramo in mano, e di sotto un modio con lettere ΚΑ...Un altra medaglia con una testa di donna velata, e sopra la testa una colonna piccola, e nel roverso una Diana con una face nella destra, e nella sinistra un scettro, ovvero hasta, & un cane in due piedi che li fa carezze, con queste lettere ΣΥBA..MEΣΑΛΑΣ. Hò molte altre senza lettere, le quali lascierò hora per esser alcune fruste, & aspetterò di haverle intiere, e con lettere. Parmi che vi hò straccato, ma non forse saziato, per un principio parmi che non hò perso li passi. Quel luogo di Orazio ad Numonium Vaalam, mi piace con aggiunger che li antichi duplicavano le vocali longhe, come dicono alcuni antichi grammatici, & habbiamo chiaro esempio nelle medaglie di Sylla Feelix, & altre parole sono nelle tavole delle leggi di Crepanica, e di Genova, così credo si dicesse Vala, come scrive Orazio, ma per esser l’A longo, è nella medaglia duplicato ΑΑ. Hæc hactenus. Addio. In Messina alli XXII. Luglio MDLIX.” (Agustin 1772, Opera Omnia, vol. VII, Lettre XIV, p. 241-242).  
Lettre du 17 octobre 1559 (de Messine): "(...) hò piacere del Tudesco tanto ricco di ritratti di medaglie, desiderava saper il nome. Al mio Mastro di Casa scrivo che lassi vedere à V. S. & à lui insieme quanto si trova nel mio povero Tesoro. (...) Da Messina alli XVII. di Ottobre MDLIX” (Agustin 1772, Opera Omnia, vol. VII, Lettre XV, p. 242).  +
Lettre du 2 décembre 1559 (de Palerme): "Magn. Sig. Fulvio. Hò guadagnato molte medaglie Greche, & hò raddoppiato molte per donar à V. S. (ad antidora) di bellissimi mastri, e di gran varietà; è vero che sono di bronzo e non di argento & oro, pazienza. Delle Consulari, e perche non Civiche? Hò havute due, una di una Musa che sona la Lyra ò Cithara, credo simile à quella mezzo rotta che hò in Roma; hà il plettro nella destra, e la lyra tiene nella sinistra, e non hà appoggio di colonna come un’altra che hò io qua ancora. Un’altra medaglia non più vista da me che mi ricordi di P. CRASSO PRO. PR. da un lato con una vittoria che porta un Caduceo nella destra, e nella sinistra una ruota, e di roverso Q. METELLO con certe lettere che non posso interpretare. E' una figura di una Donna che hà un freno in mano, e nella testa un canestro ò capitello di colonna: forse è Nemesi descritta da Pausania, e l’altra Vittoria felice e veloce. Le lettere sono da un canto P. CRASSVS. PRO. PR. Dall’altro Q. METEL. TI. dal lato sinistro, e dal destro PIO. IMP. e sopra la mia Nemesi G. T. A. per dire qualchecosa quel TI. potria essere errore per fare SCI. e saria Q. Metello Scipione, ovvero Q. F. Pio Imp. Se havete visto altra simile vedete come stanno queste lettere, perche questa medaglia è alquanto frusta di questo lato. Quel G. T. A. interpreto hora (ma non mi piace troppo) Genius totius Asiæ ovvero Africæ. Item una medaglia Greca di bronzo, da un lato la testa di Diana, dall’altro un Porco cinghiale con queste lettere ΦΙΝΤΙΑ ΒΑΣΙΛΕΩΣ. Desidero sapere chi fu questo Rè, e se per qualche diversità d idioma potria essere Pittias, del cui nome fu una Città in Sicilia (hora detta Pittinco) appresso Plinio. Vedete Stefano che dice, & altri, che io sono quà senza libri, & il vostro e nostro Onomastico. Hò gran piacere d’intendere che le mie medaglie piaceno à quel Gentilhuomo Todesco. Di quà hò trovato Tetrico Juniore Imp. medaglia non vista da me prima, e Michele Costantino e Teofilo in oro, & alcune altre che non haveva Latine e Greche. De his hactemus. (...) In Palermo à II. di Decembre MDLIX” (Agustin 1772, Opera Omnia, vol. VII, Lettre XVII, p. 242).  
Lettre du 28 janvier 1560 (de Palerme): “Molto Magnifico Sig. Per varie occupazioni non risposi a V. S. avendomi colla sua di XXVIII. dato buone nove del nostro Faerno, e delle Medaglie d’Iside e di Fintia in Pausania che mi è molto a caro, al manco vedremo in stampa tutte quelle belle cose del nostro Faerno, & esso darà la mano alli amici dalle fenestre del Palazzo, & la Biblioteca Vaticana non mancarà a tutte l’hore, ma dubito che farà il sordo spesso etiam alli amicissimi, purche non faccia il muto si può comportare, egli mi invita al venire quanto più presto possa, & altri parlorono à S. Santità di mè, la quale si degnò con un’onoratissimo breve richiarmarmi, e parvemi veder quella legge colla quale fu revocato di esilio M. Tullio. Io andarò molto presto, e penso che sarà questo Pontificato molto buono per Letterati. Quanto alle Medaglie hò fatto guadagno di tre che non haveva, e le due desiderava molto, almanco l’una avrei comparata sei scudi, & è di quel Palikano con le rostra, à tergo Libertas. Fu costui Tribuno, e ridusse la Tribunicia potestà tolta da Sylla, come si vede in Valerio Massimo, Asconio Pediano, & in Sallustio, e con ragione è la libertà e li rostri, perche non havevano libertà d’ascendere nelli rostri li Tribuni per far Leggi, ne per rogar il Popolo di cosa veruna dopo la Legge di Sylla. Ma dal Tribunato di costui col ajuto di CN. Pompejo, e di Crasso fu ridotta, e quella Legge rivocata. La seconda Medaglia è della Venazione di Regulo con la testa sua simile ad un’altra che hò in Roma di altro rovescio forse di Livinejo Regulo, ma credo la testa d’Attilio Regulo antico, sebben per adozzione era d’altra famiglia. La Venazione è bella di tre fiere, e due Combattenti. La terza hà d’un canto la testa di Nettuno, e d’altro un Trofeo & un Capitano con queste lettere MARCVS IMP. Non so chi fosse costui, forse fu Pompejano Capitano nelle guerre civili de i Figliuoli di Pompejo, vedete se nelli commentarii di Cesare si fa menzione d’alcun nome simile. Il resto verderemo e goderemo questo Marzo ò Aprile. (...) In Palermo à XXVIII. di Gennaro MDLX” (Agustin, Opera omnia, VII, 1772, p. 243, lettre XIX).  
Lettre du 3 juin 1560: "In una di argento di quatro drachme vel circa è un Hercule nudo con una clava nella destra con la quale alta percuote, et con la sinistra tiene un toro per il corno destro con certe lettere fugite. Ha di roverso un altro Hercule nudo sacrificante overo thurificante perche colla destra vuota una patera sopra un altare, il quale altare è circundato di un serpe, colla sinistra Hercule tiene la clava appogiata in terra et dietro lui una gru overo altro uccello. Le lettere sono guaste, ma simile a queste ΗΥΨΙΑΣ. Desidero saper se v(ostra) s(ignoria) ha visto altra simile, et con quali lettere, et interpretatione. Ho in bronzo un'altra medaglia della quale penso haver trovato una bella interpretatione, benche essa non è bella, ma brutta, et mal conservata. Di un canto è la testa di una donna piu honesta che bella, dellaltro canto doi giovani portano due persone sopra li humeri. Io credo che sia moneta di Catania, et la testa della Pieta, li duoi giuovani quelli duoi fratelli che portarono suoi padre et madre fuora della terra in un incendio de quali fa mentione Pausania lib. IX et Vergilio overo altro auttore nel Aetna alla fine: Namq(ue) optima proles Amphion fraterq(ue) pari sub munere fortes etc. Credo nelli nomi fussi varieta fra li historici. V(ostra) s(ignoria) mi fara gratia di chiarirsi et con medaglie et con libri, se sono fuor di strada, overo in essa. Tra le medaglie di Syracusani ho alcune con una testa come di Giove ma molto piu bella, che le ordinarie con queste lettere ΖΕΥΣ. ΕΛΕΥΘΕΡΙΟΣ. Daltra parte è un fulmine. Penso che si trova in Aristotele lib. V Politic. che morto Hierone li Syracusani fecero una statua d'oro a questo Jove per esserli tolta la servitu delli delatori del tyranno. Cosi interpreto unaltra con queste lettere nella testa ΔΙΟΣ. ΕΛΕΥΘΕΡΙΟΥ. et dietro una acquila con un fulmine ΣΥΡΑΚΟΣΙΩΝ. Et un altra con la testa di Diana ΣΩΤΕΙΡΑ, et con un fulmine di roverso volendo dire che Diana et Jove li havesse liberato, et che Diana fosse suo nume tutelare di Syracusani : credo che lo dica Diodoro Siculo lib. VI, dove dice delli pesci della fontana di Arethusa sacri a Diana, et della isola Ortygia, la quale era una parte della citta di Syracuse appresso Cicerone, Vergilio et Livio et altri. Questi pesci credo che siano quelli istessi, che si vedono nelle belle medaglie Syracusane di argento, a torno di una testa di donna con la quadriga di roverso. Silio Italico lib. XIV. Hic Arethusa suum piscoso fonte receptat Alphaeum sacrae portantem signa coronae . Et perche ho una medaglia et forse piu (per parlar piu a gusto di v(ostra) s(ignoria) dove è una testa di una bella donna coronata di foglie di canna con un toro di roverso con duoi pesci ΣΥΡΑΚΟΣΙΩΝ, havendo letto che li fiumi si facevano come tori, nella fabula di Acheloo et Hercule, et altrove, sono in pensiero che sia la testa di Arethusa et il toro Alpheo piscoso. Non voglio tacer un'altra fantasia de altre medaglie pur Syracusane con un Pegaso di roverso le quali in argento et in rame si trovano molte in Roma, et qua. Et io seguendo Julio Polluce quelle che non haveano lettere le interpretava medaglie di Corintho. Hora vedo che Bellerophonte et altri Corinthii vennero con Archia, et fundarono Syracuse come trovo scritto da un historico moderno il quale cita Thucyd(ide) lib. VI, Strabone lib. VIII, Dionys(io) Halicar(naso) lib. I. et al interprete di Theocrito, ma non dice dove. V(ostra) s(ignoria) mi faccia gratia di vederlo dove parla Theocrito di Bellerophonte . Questo Archia dicono che fossi delli descendenti di Alcaeo figluolo di Hercule, et per questo penso che in alcune medaglie di Syracuse si trova una testa di un giovane con le exuvie di Hercule La qual testa io credeva che fosse di Alexandro ." (Vat. Lat. 4104, f. 327; Carbonell i Manils 1991, pp. 423-432)  
Lettre du 20 juillet 1560 (de Palerme): "Molto Magnifico Sig. Senza perder tempo in altro hò avute le Medaglie seguenti; una piccola come un obolo, da un canto una testa di Giove con un canestro sopra, che alcuni cono sia di Giove Capitolino, & io per questa potrò interpretar le altre, perche si leggono attorno queste lettere DEO. SANCTO. SARAPIDI. Nel roverso un fiume à giacere sорга un mostro di Nilo con un arundine, ovvero papiro nella destra, e nell’altra un Cornucopia соn queste lettere attorno DEO. SANCTO. NILO. Di sotto si legge ALE che significa esser battuta in Alessandria, e forse nel tempo di Juliano Apostata. Un’altra in argento piccola come un Sestertio, ma di mastro eccellente; una testa di Giovane effeminato coronato di Edera (Bacco senza dubbio) di roverso un Satiro perfettissimo che sede con un Thyrso nella destra, e nell’altra un Scypho ansaro molto bello alzato con lettere NAΞΙΟΝ III di bronzo. Un fiume che giace con l’urna nella sinistra & un Cornucopia alzato nell’altra. A tergo due pilei con due stelle sopra, & in mezzo una noctua con queste lettere ΣΩ per dire ΣΩΤΕΙΡΑ riferendosi à Minerva, come li pilei à Castore e Polluce. Al basso di ogni cosa sono queste lettere ΚΑΤΑΝΑΙΟΝ. II fiume di Catania si dice Acis tanto celebrato da Poeti nella Favola di Polifemo. Cicerone dice Catina, li Greci Catana. IV. Un corvo, ovvero un Aquila & un ramo di lauro da un canto, dall’altro una Croce dentro un circolo con queste lettere ΑΓΥΡΙΝΑΙΟΝ. Fu Tiranno di Agira cacciato da Fimoleonte Apolloniades, come penso che scriva Plutarco, forse à questo nome allude il Corvo & il Lauro dicati ad Apolline. V. Un Sestertio con una bella testa di Donna vergine con un pesce dietro, e lettere attorno ΣΥΡΑΚΟΣΙΩΝ. forse Arethusa. A tergo un Polypo ben fatto. VI. Un altra testa di Donna [Cerere S.] coronata di spiche, e nel roverso due spiche, che fanno un altra Corona, & in mezzo le lettere predette ΣΥΡΑΚΟΣΙΩΝ. VII. Altra simil testa, ma nel roverso una spica fertilissima con lettere ΓΕΛΩΩΝ. da Gela Città di Sicilia fertile di grano. VIII. Un altro Sestertio con mezzo corpo d’un Minotauro con lettere sорга ΓΕΛΑΣ. A tergo un Uomo clipeato à cavallo. Tucidide lib. VI. dice che Eutimo Cretense con certi di Rhodo & di Creta edificoro Gela. Che li Cretensi portassero l’insegna del Minotauro è verisimile, e l’altro siа una statua equestre data al Fondatore. Ho un’altra di bronzo con tutto il Toro, & una testa di una furia. IX. Una testa di Giove ΔΙΟΣ & un fulmine di roverso ΛΟΚΡΩΝ. X. Un foglio solo d'Edera, e di roverso un Cavallo senza lettere. Non sò che Poeta dice che il vino serve di Cavallo alli Poeti. Hora vengo alla lettera della S. V. delli XXI. di Giugno dolcissima e dottissima. Anderò volentieri à Roma per vedervi, e le vostre ricchezze, per intender le lettere della medaglia di Acheloo; aspettaremo che si trovi alcun altra medaglia. Il luogo di Teocrito mi piacque per intender quelli Pegasi di Siracusa. Quella vostra ΠΑΝΟΡΜΙΤΑΝ non si trova ne in questa Città, ne in quest’Isola, che io sappia. Quelle di Antioco sono belle, e quella interpretazione τύρω ἱερας ἀσυδω non mi dispiace; ma l’Homero passa tutte. Le Medaglie Garrafelche desidero saper dove andaranno. Vorrei che il Faerno si impadronisse di esse. VS. si degni conservarmi in grazia di Monsignore Illustrissimo suo, e delli Amici, e stia sano. Di Palermo alli XX. di Luglio MDLX" (Agustin 1772, Opera Omnia, vol. VII, Lettre XX, p. 243-244).  
Lettre du 21 août 1561 (de Rome): “M. Alessandro Corvino mi hà fatto havere tre medaglie di bronzo Greche di Imperatori bassi, ma di Città rare. ΖΕΥΓΜΑΤΕΩΝ. con un tempio sopra un monte con scale e muraglie attorno, & un Cane ò Lepore marino. Un altra con queste lettere ΠHΓΑΙ con una Donna che giace appresso una fontana con una spica in mano & un Cornucopia. Stefano interpreta di ΠHΓΑΤΟΙ e l’altra di ΖΕΥΓΜΑ. La terza dice ΠEPΓAIΩΝ. & hà un altare ovvero tavola con tre Urne sopra. Le hò care, benche non le intenda, per sua rarità e per essermi donate. La mano dell’Illustrissimo, e state sano. Da Roma alli XXI. di Agosto del LXI” (Agustin 1772, Opera Omnia, vol. VII, Lettre XXIII, p. 244-245).  +
Lettre du 1 octobre 1561 (de Venise): "Molto Magn. Sig. Questa lettera sarà tutta in materia di Medaglie. In Bologna mi visitò il Conte Sertorio amico di V. S. e mostrommi alcune medaglie buone d’argento, & oro. La più buona era di una testa di Ercole & il roverso di una donna ignuda posta a sedere sopra l’exequie di Ercole con lettere ΤΡΑΧΙΝΙΩΝ. Credo fossi Dianira, e quella terra è nota nelle Tragedie & nelle Tusculane di Cicerone, dove morì Ercole; è d’oro di quattro, ò cinque scudi di peso, e vale cinquanta. Viddi una medaglietta di argento con la testa galeata simile in faccia a Trajano con lettere COCLES, ed all’altra parte li due castori a cavallo con le lanze, e di sotto una testa galeata con lettere, che dimostrano esser restituita da Trajano; è antica, e ben conservata. Viddi una Musa di quelle che ci mancano, che sviluppa un libro. Penso che sia Clio, benchè mi pare haver visto la testa, che ha due volumi posti come X dietro, e credo sia quella mezza mia, se ve ricordate. Item viddi un HISPANIA. testa di donna con due dardi, ed un brochiero, & non sò che roverso con lettere di GALBA. IMP. Viddi un Catone alquanto suspetto, pure è bello con li capelli cirrati, e senza barba, come si vede nelle medaglie di C. CATO, ma più vecchio con roverso di un Elefante, e di un pileo. Credo che la testa sia fatta per il vecchio Catone, & il resto per l’Uticense, il quale in Africa difendeva la libertà Romana, & allora potria esser battuta quella moneta. Viddi molte medaglie d’oro d’Imperatori, e mostrava esser cupido d’altre, & io li preghai, che mi facesse una copia o gettito di quelle tre medaglie Consulari, e mi promise di farlo. Pure vedete se in baratto si potranno havere, è cortese gentilhuomo. In Venezia hò visto le medaglie Greche di M. Andrea Lauredano. Hà infinite, e molte belle, e molte duplicate di quelle, che non havemo, & è operæ pretio che cercate commodità di venire a vederle, e barattar seco. Il vostro Piero Luigi lo assassina con mille modi. Ha molti di quelli Rè di Asia, Siria, e Macedonia di ritratti assai belle e varie, pure li mancano assai di quelle che havemo. Le latine vedrò avanti che finisca questa, come penso. Hà un corno di Rhinoceronte, molti denti di Elefanti, e corni di Alicorno, e Porcellane, Crocodili, Teste, Vasi, Statue varie, e belle, e brutte ancora, e qualche Iscrizzione Greca buona, & è un galanthuomo in mostrarle, e conservarle. Hà certi fogli di Papiro con lettere e pitture Egizzie non viste da me. Hà Camei, & intagli assai belli & altre cose. Hò comparato per XII. (scudi). le medaglie infrascritte. Un Pompejo col roverso intiero delle tre statue intiere, & appunto quali mi imaginai, che vale un Tesoro. Un Calligola col roverso di Augusto con lettere latine di argento rarissimo, e ben conservato. Due Augusti di argento perfettissimi con roversi l’uno d’Egitto Capra col Crocodilo, e l’altro di SIGNIS RECEPTIS. con un soldato signifero bellissimo. Un Tiberio di argento con roverso di un Trionfo cosa rara. Un Tito con l’ancora, e delfino. Un altro con un Tripode, e un pesce. Un Imperatore Magn. Maximo raro. Una bella medaglia pur d’argento con una testa d’una donna con un T. dietro, e d’altro lato un gran Cornucopia dentro una corona di oliva con lettere EX. SC. Una brutta di Catone con lettere M. CATO PRO. PR. col roverso di VICTRIX sotto una Vittoria che sede. Queste sono le Latine, vengo alle Greche. Una di dragma bella con una testa di Cerere in faccia bella col roverso di Nettuno nudo col tridente, e pesce con lettere ΒΟΙΩΤΩΝ, e dentro ΔΞ & un Clipeo. Un altra con una Cicada ò vero Ape grande con lettere ΕΦ. non so se è delli Efesii col roverso d’un Cervo avanti un arbore di palma con lettere ΖΩΠΥΡΟΣ. Una drachma con una bella testa di donna coronata di pampani simile alla vostra innamorata col roverso d’un bove inanzi una vite alta con lettere ΙΣΤΙ. Un altra di una testa di Sole radiato col roverso della rosa bastarda di Rodij con alcune lettere minute. Di Bronzo un triente grande con una bella testa galeata di Minerva, e di roverso una noctua distese le ale in faccia con lettere non legibili. Un asse con testa di donna laureata con roverso di un nudo, che con la destra minaccia un fulmine, e nella sinistra tiene una clava con lettere ΑΜΒΡ. di Ambraciote come credo, è di buona mano. Un altro buono ancora con testa di Mercurio, e roverso di un Cittadino, che porge una palma con lettere puniche à torno. Un altro pur buono con testa di Diana Venatrice, e roverso d’un tripode dentro una laurea con lettere ΑΠOΛΛΩΝΙΑΤAΝ. Una testa in altro di donna capillata con un lauro inanti con molte lettere, trà le quali si legge ΑΝΤΙΟΧΟC con roverso d’un tempio, e certe lettere non lette ancora. Un quadrante piccolo Romano con testa di un Luperco, e roverso d’una prora & un Clipeo con lettere METELLVS. Più oltre quattro intagli, e mezzo, nel quale mezzo sono Paride con le tre Dee bellissime in un pezzo di Cornelia. In un altra è la testa di Faustina Maggiore; in altra un Marte con un Tropheo, & una Vittoria piccola. In altra è un Giove nudo che si copre con un pallio, tutte belle cose. E più un Ametisto con intaglio di tre figure, un huomo, & una donna, & un putto tutti marini. Se vi pare che habbia comperato caro avvertite, che son fuori di Roma. Hò lasciato sei medaglie grande d’argento Greche per XVIII. Scudi, pure credo haverle per qualche cosa manco, e saprete presto le loro qualità. Postea hò avuto le VI. medaglie grandi per XV. (scudi). Un Demetrio mirabile. Un Laberinto con una testa d’un Rè Epiphanio. Un Perseo Rè. Un altro Rè di Tiro. Una di Siracusa con lettere puniche. Una Diana con sette stelle, col roverso d’una clava, & una corona quercea. L’altre particolarità saprete poi. Basta che vi moverò expectatione, & bene Valete. Da Venegia Regina delle gondole il dì I. Di Ottobre MDLXI. A Mons. Illustriss. il mio besa manos humiliss” (Agustin 1772, Opera Omnia, vol. VII, Lettre XXVI, p. 245-246; Missere Fontana 1995, p. 236, note 121; Cunnally 2016, p. 30, note 61).  
Lettre du 30 octobre 1561 (de Trente): "Molto Magn. Sig. Fulvio. Erami smenticato di rispondere alla vostra delli XV. benche hò scritto al mio [α] Martino sopra la cosa delle medaglie che son più vostre che mie, e li libri altresì. Hò gran piacere che siate giunti in Roma nelle vostre delicie di amici e libri & antiquità. Il Conte Sertorio mi mandò un gettito di quelle tre medaglie che vi scrissi della Musa, & Hispania, e M. Catone. L’Ercole è bello e non mi parse allora moderno. Non viddi io quelle Consulari del Loredano, ma le Greche sono admirande. Havrò à caro che veniate à vederle con molte cose da barattare. Il Perseo mio è assai bello, ma il Demetrio è perfettissimo, con un Nettuno nudo di roverso singolare. Le medaglie d’oro Consolari mi piaceranno tutte quante, e la Statua equestre di Augusto, e pigliatele, conservatele per me, che vi sarò obligato. Della tavola delle Tribù, aspetto con desiderio che mi mandate la copia. A Monsign. Illustriss. basio la mano, & a V. S. mi raccomando. Da Trento il dì XXX. di Ottobre del LXI" (Agustin 1772, Opera Omnia, vol. VII, Lettre XXVII, p. 246).  +
Lettre du 17 novèmbre 1561 (de Trente): “Hò io una medaglietta di bronzo con quelle lettere di Papirio Carbone; non sò niente de Nicea o Carbone. Le medaglie vederò volontieri, & à VS. questa estate anzi alla primavera. (...) Da Trento alli XVII. di Novembre del LXI” (Agustin 1772, Opera Omnia, vol. VII, Lettre XXVIII, p. 246).  +
Lettre du 8 janvier 1562: "Le lettere di quella medaglia mi pareno chiare -Iovi. Optimo. Maximo. Senatus. populus. que. Romanus. votum. solvit. pro. salute. Imperatoris. Caesaris. quod. per. eum. res. publica.in. ampliori. atq. tranquilliori. statu. est ." (Vat. Lat. 4104, f. 317; Carbonell i Manils 1991, pp. 520-524)  +
Lettre du 6 mai 1566 (de Lerida): “Molto Magn. Sig. mio. Tandem aliquando ho havuto li mei libri et medaglie et antiquita le quali assetandole non posso non ricordarmi spesso di V. S. specialmente ritrovando anchora alcune polize o lettere sue dove trata come sempre di cose di elegantia et di dottrina (...)" ; "Tra le medaglie trovo meno alcune d’oro et argento et bronzo. pure queste mi giovano. Ho alcune poche piu havute in Trento et in Barcelona. Di qua si trovano poche et quelle di tristi maestri et carateri. Ho condotto qua un stampatore col quale et con una piccola universita di studii mi intratengo. ma mi mancano persone del mio gusto. (...) Vale mì dulcissime Fulvii. Da Lerida alli VI. di Maggio del LXVI.” (BAV, Vat.lat.4105, cc. 243rv; Agustin 1772, Opera Omnia, vol. VII, Lettre XXX, p. 246-247).  +
Lettre du 6 août 1566 (de Lerida): “Delle medaglie mi manca un Pescennio Nigro d’argento che mi diede il Padre Onofrio, et alcune altre. Del L. Servius Rufus col Tuscul è cosa rara, et volentieri leggerei L. Sergius, perche non ho essempio che Servius fosse nome di famiglia. (...) Valete. Da Lerida alli VI. di Agosto del LXVI" (BAV, Vat.lat.4105, c. 241r; Agustin 1772, Opera Omnia, vol. VII, Lettre XXXI, p. 247).  +
Lettre du 12 novèmbre 1566 (de Rome): "Credo che habbiate altre medaglie di Ser. Sulpicio Rufo III. Viro con M. Bibulo Imp. Quanto al Tusculo pensiamoci un poco piu. Se mi mandate un impronto di essa in piombo overo in altra materia o metallo, forse che trovaro qualche cosa. Fatemi intender che è del S. Hannibal Caro et salutatelo di parte mia et havendo qualcuna delle sue compositioni Latina o vulgare mandatemela che mi sara cariss.a" ; "Bisogna che il vostro aatron ad ogni modo agiuti M. Pyrrho per poter mandar fuori tanto belle fatiche dalle antiquita, purche lasci da canto la sua Faustina, se qualcuna habbia, che hora mai è tempo. (...) Vale a xij. di Novembre del LXVI" (BAV, Vat.lat.4105, cc. 245rv; Agustin 1772, Opera Omnia, vol. VII, Lettre XXXII, p. 247-248; voir Missere Fontana 2009, p. 441, note 81).  +
Lettre du 10 février 1567 (de Tamarite de Litera): “Di gratia non aspettate che il corriero habbia ligato le balze o baligie, ed accommodatele nel cavallo per scrivermi un polizino dove io aspettava un libro di inscritioni et medaglie et versi Grechi et Latini et mille trati brani in dechiaratione di essi. Horsu patienza per questa volta che io ancora sarò Parthis mendacior che non vi mando piu di quelli poëti, perche son fuora di Lerida alla visita. Il partito del patrone con M. Pyrrho mi piace sia concluso, et rallegratevi con l’un et l’altro di parte mia. Ma vorrei che attendessero alla stampa di libri perche godesse il mondo di tante richeze. Il libro del Goltzio non ho visto si e bello come ditte, non sara dispiacer vederlo, con tutto che sia imperfetto. et qual è al mondo che non sia imperfetto? vederò un altra volta la memoria di C. Duilio nella orthografia d’Aldo. (...) Da Tamarid alli X. di Febr.o del LXVIj” (BAV, Vat.lat.4105, c. 247r; Agustin 1772, Opera Omnia, vol. VII, Lettre XXXIII, p. 248).  +
Lettre du 24 février (1571) (de Lérida): "(...) in medaglie trovo in argento CN. CORNEL. L. F. SISENA et in bronzo dal tempo di Augusto APRONIVS. MESSALLA. III. VIR. / SISENNA. GALVS. A. A. A. F. F et in altro SISENNA. MESSALLA. APRONIVS. GALLVS. III. VIR. A. A. A. F. F et in altro SISIINA. PR. COS. L. SATI" ; "Quanto alli duoi prenomi di Sulpicio iurisconsulto, non ho cosa certa, ne credo si possa dimostrare in antiquita, li moderni pigliano di granchi spesso. Ser. Sulpicius Q. F. Lemonia Rufus si trova nelle Philipp.e parlando con parolle di S. C. sopra la statua di esso Sulpicio et in una med.a di argento SER. SVLPICIVS. RVFVS. III. VIR / M. BIBVLVS. IMP. La quale moneta credo fussi fatta dal figliuolo del iurisconsulto essendo Bibulo Imp. in Asia, o Syria se non mi inganno, al tempo del proconsulato di Cicerone in Cilicia. La nostra dove si legge L. Servius Rufus, è forse errata per dir L. Servilius, overo L. Sergius Rufus overo diremo, che fossi nome di familia Servius in sola questa vostra medaglia" ; "Delle monete di C. Mario Pro III. Viro del tempo di Augusto no ci ho altra consideratione; che come si trova Pro COS. Pro PR. Pro Quaest. cosi Pro III. Viro. chi fosse costui, non mi sovviene. di tre di questo nome sara chiaro, che avanti Augusto furono. C. Mario III. COS. et il figliuolo morto in Preneste, il terzo fu il finto nepote del quale nelle epist. fam. ce mentione. Si trova in argento C. MARI. C. F. CAPIT. S. C / C. MARIVS. C. F. C. N / C. MARI C. F / M. MAR (...) Di medaglie dette Consulari ho visto poche in Hispagna, et ho fatto poco studio in esse, solamente ho considerato sopra la interpretatione di quella del fratello di Africano L. Scipione ASIAG. al quale tutti dicono Asiatico come a posteri di quali fu uno Consule ant. 670. A. C., che nelli fasti capitolini tanto esso Lucio come quellaltro sono detti Asiatici, et si trova (non appresso me) una medaglia di argento cosi inscritta L. SCIPIO. ASIATIC. Tuttavia quella piu frequente non è ben copiata dal curiosiss.o Hubert Goltzio, il quale scrive ASIA. G. (Goltzius 1566, pl. 122, ndr) Io ho visto molte cosi scritte L. SCIP. ASIAG et dubitando della interpretatione mi sono risoluto in Asiageta overo Asiagetes, et ho in mio favore un solo verso di Sydonio Apollinare assai guasto et corroto (...). Vale. a 24. di Febr.o 1571. in Lerida" (BAV, Vat.lat.4105, cc. 70r-71r).  
Lettre du 23 août 1572 (de Lerida): "Hò inteso non sò in che modo che VS. fa stampar un libro de familiis Rom. desidero saper il certo, & in qual modo si trattano dette famiglie, perchè io haverei tirato inanti questa impresa, & desiderava mandarlavi, come hora vi mando il saggio di cinque famiglie, come vedrete, & volendo stampare con le vostre queste mie vi mandarò altre venticinque, che in tutte faranno da trenta ò trentadue. Havea ancora raccolto i nomi di tutti i fasti, e medaglie, e tavole mettendo solamente i nomi, e non tutta l’inscritione, & alcuni luoghi di autori, e libri antichi, come il Vergilio, e Terentio del Bembo, & le Pandette di Fiorentio, ma di quest’ultimo libro mandarò presto fuora un libro con gran curiosità delli Nomi proprij posti in dette Pandette di Fiorenza. (...) Da Lerida à XXIII. di Agosto del LXXII” (Agustin 1772, Opera omnia, vol. VII, Lettre XXXVI, p. 250).  +
Lettre du 22 octobre 1572 (de Monzone): “Sig. mio Osservandissimo. Ringratio molto VS. di tanta sua cortesia, e di quanto mi scrive alli XIX. di Settembre benche sono disgraziato, che non hò lettere sue eccetto che fuor di Lérida, dove hò i miei Libri, e Medaglie, pure scrivendone molte, alcune potrò havere, e rispondere nel mio regno, che così mi pare poter chiamar la mia Bibliotheca" ; "Del libro vostro de familiis, ò vero de imaginibus, vedo qual sia l’argumento; dubito che il Goltzio havrà stampato più medaglie, ma non tutte, ne in quel ordine. Le inscritioni, non stariano male almanco quelle piu antiche sin alla morte di Augusto. Le mie famiglie ancora credo che staranno à pelo e con questa credo mandarvi ò tutte, ò vero una gran parte. Fate la censura in esse che vi piacerà, cancellando, e mutando vi pare, e piace. Hò pur visto certe grandi la più parte false, le imagini di uomini dotti non hò visto, fatemi grazia di mandarmi un libretto, il Murco vi manderò quanto prima, e l’altra medaglia di Servilio, e tutte quelle, che vorrete, come ritornarò a Lerida, che ora non posso. La stampa delle medaglie Greche saria parte di comento in Stefano, & un altra di Colonie, e municipij serviria per molti libri, & io vi potrò servire di alcune di Spagna, e d’altre. II Dione historico LXXIX. & LXXX. vederò volentieri, e pagarò la spesa del copiare molto più che volentieri. Il libro di M. Pirrho, non è arrivato in Spagna, credo restassi in mano di F. Onofrio" ; "Così leggendo Erodi uno greco, & latino trovo errori di Poliziano nelli nomi proprij, che il greco si confa con le medaglie. Verbi gratia chiama Albino il compagno di Pupieno per dir Balbino, come è in Greco, e nelle medesime chiama Diadumeno pro Diadumeniano, così qualch’un altro che hora non l’hò in fantasia. La opinione delli ratiti per dire li nummi, che hanno rate, non par vera, poiche nelle medaglie non si vede rate che hora si dice Zatara ma prora, e così pare haverla detta prora Ovidio, e forse Macrobio, e Plutarco; altri dicono puppe di Aburi, si trova un Jurisconsulto Aburius, se non è Alburnius Valens condiscipulo di Salvio Juliano nella Schola di Javoleno Prisco al tempo di Adriano Imp. Li nomi proprij delli Digesti mandarò fuora come potrò: sono raccolti, & aspettono il barbiere che li pulisca. Delle famiglie mancano tre Licinia, Manlia, Marcia, che si copiano. La Fulvia chе vi mandai per memoria di vostro bel nome si metterà doppo la Fabia, avanti la Fouria, anzi doppo, e così le tre che restano haveranno il luogo suo, quando vi capitaranno. Sono tutte 32. computando le prelibate tre, e le cinque che mandai prime. (...) Da Monzone alli XXIJ. di Ottobre del LXXIJ” (Agustin, Opera omnia, VII, 1772, p. 250-251, lettre XXXVII).  
Lettre du 4 novembre 1572 (de Lerida): "Con questa vi mando (M. Fulvio sing.mo) le tre famiglie ultime Licinia, Manlia, et Marcia, havendovi mandato un mese prima le altre, se arrivarono a tempo di stamparle nel suo ordine, le potrete ordinare seguendo le prime lettere, se si sono ritardate almanco stiano in fine con li errori della stampa. Mandovi anchora tre medaglie archetype, perche vi potiate servire quanto vi torna commodo, et poi satio come del melle, per non dar altro essempio men honesto, me le potrete rimandare. Le due sono ricercate dalla S. V. il Murco, et il Servilio con l’acrotirio, anzi col cancaro et stola, forse segni celesti del natale di questi percussori, overo constellatione presa per amazar Cesare, et poi navigare, .i. fugire. questa medaglia del carcino o carcinomate è stampata dal Goltzio, quella del Murco non la trovo in duoi libri del detto. La terza ho avuta in Lerida da un mendico che la appicò con un filo ad un putino che portava in braccio, è stampata dal prelibato Hub. Goltzio con qualche differenza, pure è rara, et non vista da me in Italia, che mi ricordi. Il terzo dono mio è di un foglio di cose notate in pressa sopra un libretto di Dionysio, dove chi sa, se trovarete qualche cosa a proposito? noctuas Athenas, ma che volete? Voi mi scongiurate, che vi dica alcuna cosa pensata di nuovo sopra le medaglie. Se non vi servo, patienza, almanco desidero servirvi cogitatione verbo et opere, come se dice nel Confiteor. (...) in Lerida alli IV. di Novemb. del LXXIj” (BAV, Vat.lat.4104, c. 106r, Agustin 1772, Opera Omnia, vol. VII, Lettre XXXVIII, p. 251-252).  +
Lettre du 20 février 1573 (de Tarragone): “La medaglia del P. LENT. hò ricuperata, quando ricuperarò l’altre vi servirò con altre, & forse prima. Il mancamento delle parole della Marcia fam. si mandarà con questa (α). Il buon F. Onofrio in molte cose precipitava il giudizio, & se ben era diligente, pigliava di granci, ut omnes nelle famiglie; soleva persuadersi facilmente, che uno fosse figliuolo d’un altro per piccola sospettione. Come Huberto Goltzio nelle medaglie di Fasti facilmente agionte in molte, & intendo che Huberto è solamente artefice come Pirro & Enea, & un altro del Prontuario. (...) Da Tarragona alli XX. di Febraro del LXXIII” (Agustin 1772, Opera Omnia, vol. VII, Lettre XXXIX, p. 252-253).  +
Lettre du 10 avril 1573 (de Lerida): "Molto Magnifico Sig. mio carissimo. Eccovi il sommario di certo numero di medaglie di diversi Rè, & persone, & tutte le colonie, che hò trovato trà le mie, perche mi pare sono à proposito per le vostre imaginationi. (...) Da Lerida alli X. di Aprile del LXXIII" (Agustin 1772, Opera Omnia, vol. VII, Lettre XL, p. 253; voir Tondo 1987, p. 235; Serafin 2013, p. XI, notes 59).  +
Lettre du 12 juin 1573 (de Lerida): “Quanto al vostro Malleolo non correte in fretta se havete C. MALLE. nella medaglia fate bene ad interpretare С. Malleolus, ma non è necessaria interpretatione, dove si vede C. MAL. perche si trovano Mallij in fasti, e libri differenti da Manlij. Malleoli sono Poblicij, e credo il Goltzio, od altri habbia stampato M. Poblici, Malleolus (Goltzius 1566, pl. 99, ndr), così quella medesima con HERCVLES C. POBLICI Q. F. se havessi MAL. ancora saria di Malleolo, il contrasegno del malleo non è argumento in Darij, perche Malleoli sono di viti appresso Cicerone, e Varrone, e l’Agricoltura fu cagione di molti nomi, e cognomi" ; ”Se il Sig. Duca di Ferrara vorrà comparar le mie medaglie, & antiquità ò vero il vostro, e mio Patrone con qualche M. di scudi li farò un presente del vostro DARDIANO GAN. PROPOSIT. Ma che Mitridate con Augusto si trovi parmi un altro stupro, e quel POIMH TAΛKOY non intendo punto. Con un altra hò mandato una lista di medaglie di Colonie, d'imagini, hò ricercato con questa occasione li due libri del Goltzio, e vedo infiniti errori per non intendere li nomi delle Colonie, ò vero municipij & in tutte fa nomi di IIviri li nomi delle Terre. Nelle medaglie di CN. Magno si trova un M. POBLICI LEG. PRO PR. il quale forse è di Malleoli un C. MALLIVS C. F. hò notato trovarsi in compagnia di L. LIC. CN. DOM. ma non hò tal medaglia, anzi sì, ma non si legge altro che C. MAL....C. F. in quell'altra con L. METEL. & A. ALB. si legge C. MAL. & hò un altra, dove si legge chiaro C. MAL. un altra G. MA. tutte queste sono ambigue, se non di Mallij, ò vero Malleoli, e quel MA. ultimo è più equivoco, & hà quel Malleo nella testa. (...) Da Lerida alli XII. di Giugno MDLXXIII" (Agustin 1772, Opera omnia, vol. VII, Lettre XLI, p. 253-254).  +
Lettre du 25 janvier 1574 (de Lerida): p. 255: “Pure vi ringrazio ter, & amplius, & per la medaglia del Rè Ariaratho, in contracambio vi mando il vostro ITI tanto desiderato, ma credo con poco guadagno, pure è bella cosa cavarsi la voglia, se ben con le giande ò maroni di Spagna. Mandovi ancora parte dell’historici antiqui, & non sò che baje di emendationi di Cicerone, & Livio, poiche havete così buon stomaco, che patiresti più che questo. Penso ancora mandarvi una lista di Triumviri Monetali sotto Augusto. Quelli vostri Quartumviri non li trovo, Dio voglia che non siano Municipali, & ch’il vostro capriccio lambicandolo un altra volta non si disfaccia in fumo come la quinta essentia. Pure assicuratevi bene prima, an sint, postea quid sint, & quales. A me il luogho di Dione lib. 54. è chiaro, che dice li XXviri essere stati XXVI. ma nota quali sei fossero tolti via non già li Quatuorviri Monetales, che non ci furono mai. Sed IVviri viar. curand. extra urbem & IIviri Campaniæ. Li IIIviri A. A. A. F. F. credo siano dal tempo che si batte prima l’oro, non prima, perchè altrimenti, non sariano Auri flatores; nota Plinio il tempo tanto dell’oro, quanto dell’argento, se bene il numero d’anni è guasto, ma facile d’emendar per li fasti. Credo che dica del Argento primo quattro anni avanti il primo bello Punico che fu se non erro del 489. levate 4. restan 485. Dell’oro dice li primi denarij erano grandi, li secondi piccoli, secondo il valore di assi di rame prima di dieci libre, poi di XX. onze, & alla fine di XVI. & alcuna volta di XXXII. & poiche si trovano denarii con la nota XVI. col nome LIVLI, & Vittoriati col nome M. PORCI con la nota di VIII. è cosa probabile, che li Triumviri fossero in quel tempo fatti ordinarij Magistrati. Prima credo si chiamassero Mensarii, & si trovano in Livio Vviri, & IIIviri extraordinarij. Cosi credo li vostri Curatori & IIII (si qui sint) essere extra ordinem fatti per qualche commodità, ò necessità. Nelli denarij di Cesare si trovano con queste lettere A. A. A. F. F. Credo un Maridiano ma non dice IIIvir. In Pomponio Jurisc. si nota esser fatti questi Monetali Magistrati ordinarij. Il luogho di Cicerone è chiaro: malim Auro Argento Æге fuissent. Ad Atticum hò notato un altra menzione d’un Monetale 165.6. Monetali autem adscripsi quod illi ad me pro Cos. questo luogho penso che fossi doppo il ritorno di Cicerone fugitivo dell’Acie Pharsalica: in tempo d’altri Impp. doppo Augusto si trovano inscritioni, una in Tivoli d’un Plautio Silvano, & un altra in Hispagna in Tarracona. Al P. F. Onofrio cancellate quello che dice delli Sigg. della Sanità IIIviri valetudinis per non intender la medaglia di M. ACILIO. Credo lo dica un altro non sò se il Ericio (Erizzo, ndr), il quale fa una gran arenga, per provare che medaglie non siano monete, & tutti i testimonij, che adduce di antiqui dicono il contrario. Credo bene che alcune non fossero monete come hoggidì accade" ; "Li vostri Arsacidi non l’intendo bene; trovo in Strabone Arsace esser detti li Rè in Persia; li vostri pajono Rè Ptolomei di Egipto. Vedo ancora che Cleopatra si chiama nelle medaglie Regina Regum, come questi vostri. La statua Hispanorum è cosa incerta, & perche di Galba? furono Galbe in Hispagna, & si trovano medaglie con quel nome. Si trova ancora una di Postumio Albino con la testa di Hispan. La cosa del Capio Brutus, & del Regulus, non vi voglio contradire per cortesia, quel Servilius che sia Ahala, quando amazò Sp. Malio non mi piace; non fu pugna equestre quella, nè manco nella medaglia si legge Ahala. Il libro de Familiis aspetto, & indurvi delle corretioni Ciceroniane fatte a modo vostro, non lasciate quella ad Atticum lucos, & parata aliorum contemno, dove dice vicos che piacque assai a P. O & fu capriccio mio. Come è del P. Vatinius, pro Vattieno, & si conferma con un libro, & con Val. Maxim, così trovo in quel de natura Deor. cincinnatas pro cometas in duoi luoghi in libri scritti a mano. Pescennio stà come dice F. Onofrio nella fine de Fasti che io trovai una medaglia in Vienna tra quelle dell’Imp. Fred. & dove altri leggevano Pescennius Nigerius, io lessi Niger. Iust. idest Justus, & tutti l’historici lo chiamano Niger niuno Nigerius" ; p. 256: "Arsaces il primo fu padre di Arsaces il secondo: costui fu padre di Pampatio terzo padre di Farnaces quarto & di Mithridates quinto padre di Phraates sesto Rè; à соstui successe Artabano suo Zio fa il settimo padre del ottavo Mithridates Magno, non è costui il Pontico di cui habbiamo monete col nome; il nono fu Orodes fratello di costui, & padre di Pacoro, & Phraates decimo, & undecimo; l’ultimo è Tyridates. Si vede ancora la interpretatione della medaglia di Augusto SIGNIS RECEPTIS. Molti altri Rè de Parthi hò ridotti nel Cronico di Gregorio Monaco fin al tempo di Machometto. Dice costui che arrivarono li Arsaci fin al tempo di Alexandro figlio di Mamæa. Volaterano ancora fa un altra lista & cita Appiano, il quale non hò ricercato. Item ut aliud ex alio. In Vitruvio lib. 8. hò letto di due fontane mirabili appresso il Sepolcro di Euripide. Aggiungete al libro de Imaginibus questa baja ancora. Del Pytheo si trova ancora in Vitruvio che fu architetto lib. VII. in prologo, & alibi, come riferisce Philandro. Mandovi li nomi di Triumviri del tempo di Augusto, & è di notar il tempo, che si conosce in questo modo, che dove la medaglia dice PONT. MAX. è doppo la morte di M. Lepido, dove TR. POT. si troverà forse il tempo preciso in Dione. In Appiano, & in Justino hò imparato, che Mitridate Eupator Dionisio, il quale fu vinto da Lucullo, & Pompejo, fu figliolo di Mitridate Evergetes, & fu nipote di Farnace, & pronipote d’un altro Mithridate. Tanto che questi non sono li Arsace, ò Arsacide, ma si chiama Rè di Ponto. Nelle medaglie si trova questo cognome di Eupator, & fu detta una Città da lui Eupatoria, & forse un herba. Il nome di Evergete è commune con altri Rè. Questa faccenda sarà della S. V. quando rifarà il libro de Imaginibus aggiungendo li ritratti di tutt’i Rè che si trovano in medaglie. Io mi accorgo, che hò ciccalato troppo (...). Da Lerida alli XXV di Genn. del LXXIV” (Agustin 1772, Opera Omnia, vol. VII, Lettre XLIV, p. 254-256).